di Michele Brambilla
Nella cattedrale di San Lorenzo a Perugia è conservata una tela importante del pittore urbinate Federico Barocci (1535-1612), la Deposizione di Cristo, dipinta nel 1569.
Al centro della composizione si staglia, inequivocabile, il corpo morto di Gesù, che viene calato dalla croce da ben cinque uomini (uno è nascosto dietro il palo verticale), indaffaratissimi, tra i quali si scorge, in alto a destra, la barba di Nicodemo. La croce è letteralmente “puntellata” da due grandi scale, sulle quali si arrampicano un giovane biondo e un uomo più maturo: il primo sorregge il busto di Cristo, il secondo ha già tolto dal capo del Signore la corona di spine e stringe le tenaglie con le quali l’uomo aggrappato sul braccio sinistro della croce toglierà l’ultimo chiodo dalle mani del Redentore.
L’apostolo san Giovanni, vestito di rosso, abbraccia i piedi di Gesù, pronto ad accogliere tra le braccia l’intero corpo quando il giovane che sostiene il busto lascerà la presa. Lo sguardo di san Giovanni è intensamente puntato sugli occhi esanimi di Cristo, quasi a cercarvi la luce della Verità che lo ha convinto a seguire il Messia tre anni prima. Barocci riassume in questo modo il tema fondamentale del Vangelo scritto dall’apostolo: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. […] eppure il mondo non lo ha riconosciuto» (Gv 1,9-10).
La luce pervade tutto il dipinto, accendendo i colori e dando alla tela un senso di grande serenità, nonostante la drammaticità della scena: è la luce primordiale (il biblico «fiat lux!»), quella della Creazione per la quale tutto è «cosa buona» (Gn 1,3-4). Creazione e Redenzione si ritrovano così unite nella medesima celebrazione pittorica, esattamente come nella liturgia della Chiesa, che legge il primo capitolo della Genesi come prima lettura della Veglia pasquale nel rito sia romano sia ambrosiano.
Le pie donne si gettano sulla Madonna, svenuta ai piedi della croce, ma il volto della Vergine sembra più estatico che addolorato. Dal punto di vista iconografico, il velo nero e l’abito bianco potrebbero facilmente farla confondere con la terziaria domenicana santa Caterina da Siena (1347-80), che il pittore non ha inserito nel quadro in maniera esplicita. L’equivoco è accresciuto dalla presenza discreta, sulla destra, del concittadino san Bernardino (1380-1444), titolare della cappella in cui la pala è collocata, che indossa un saio grigiastro (se ne intravede appena il cordone francescano). Santa Caterina era animata da devozione molto intensa alla Passione di Cristo e san Bernardino spronava le folle che ne ascoltavano le prediche a invocare Gesù come «Jesus Hominum Salvator», coniando il monogramma «JHS», che sarebbe poi diventato il simbolo anche dei Gesuiti. Da notare, inoltre, il manto dorato della Maddalena: è lo stesso che indosserà nel Trasporto di Cristo al sepolcro (1582), dipinto a decoro dell’altare maggiore della chiesa della Santa Croce in Senigallia, in provincia di Ancona.
Inserendo san Bernardino e alludendo a santa Caterina nelle vesti della Madonna, Barocci vuole indicare che la Pasqua di Gesù non è un evento di 1500 o di 2000 anni fa, bensì un fatto che interpella l’uomo anche oggi, la Grazia che sostiene tutt’ora l’apostolato dei discepoli del Signore.
Sabato, 11 aprile 2020