di Lorenzo Cantoni
La persona di Giuseppe, sposo di Maria, è stata spesso accostata dall’arte, che ha cercato, percorrendo la via pulchritudinis, di colmare i suoi silenzi e quelli dei Vangeli su di lui, così come di sondare il mistero della sua esperienza accanto a Gesù e a Maria.
A partire dal Medioevo l’arte s’interessa estesamente a san Giuseppe, con un’ulteriore accelerazione quando, nel 1479, papa Sisto IV (1414-1484) ne istituisce la festa entro il calendario romano e quando, l’8 dicembre 1870, il beato Pio IX (1792-1878) lo proclama patrono della Chiesa universale*. Proprio nella solennità di San Giuseppe, il 19 marzo 2013, Papa Francesco ha celebrato la Santa Messa d’inizio del suo ministero petrino.
Il quarto volume della collana Arte e Fede delle Edizioni Musei Vaticani è dedicato a san Giuseppe, e offre un’occasione unica per riflettere sul santo e su come diversi artisti lo abbiano rappresentato. Il testo segue l’itinerario della vita del santo ed è corredato da un esteso apparato iconografico, che copre un arco di tempo che va dalla fine del IV al XX secolo.
San Giuseppe appare nell’arte sempre in relazione a Maria, sua sposa, e/o a Gesù, di cui è padre legale. La sua vita è orientata a loro: in molti casi la sua figura appare discosta, periferica, a proteggere la Sacra Famiglia senza alcuna esigenza di essere il protagonista dell’immagine.
È l’uomo dei sogni, come l’omonimo figlio di Giacobbe, che obbedisce fedelmente agli ordini del Signore; colui che accoglie Maria sua sposa incinta per opera della Spirito Santo e la conduce a Betlemme negli ultimi giorni della gravidanza, per il censimento, in obbedienza al decreto di Cesare Augusto; che è presente alla nascita di Gesù e all’adorazione dei pastori e dei magi; che guida la fuga in Egitto; che ritorna con la famiglia a Nazareth. Giuseppe e Maria portano Gesù al Tempio per la circoncisione e lì lo perdono quando ha dodici anni. È da Giuseppe che Gesù impara il mestiere di falegname, a cui si dedicherà per la maggior parte della vita, prima di annunciare pubblicamente il Vangelo. Sono i nuclei essenziali della vita di san Giuseppe su cui si concentrano le opere d’arte. A questi si può aggiungere quello della morte, che si presume sia avvenuta con l’accompagnamento di Gesù stesso.
L’assenza di sue parole nei Vangeli canonici, così come la carenza di dettagli su di lui, hanno chiesto agli artisti d’integrare quanto in essi contenuti con elementi provenienti da testi apocrifi o da altre tradizioni. È il caso, per esempio, della verga con cui viene abitualmente rappresentato, che richiama al racconto di una “competizione” per diventare sposo di Maria, vinta da Giuseppe perché, fra i vari pretendenti, solo la sua verga fiorisce, a indicarne il valore eccezionale e la vocazione divina.
Non abbiamo informazioni sull’età di Giuseppe: le immagini sono dunque polarizzate fra la rappresentazione di un vecchio, custode di Maria e di suo figlio, e quella, meno frequente ma più plausibile, di un giovane, coetaneo della sua sposa.
Non è qui possibile percorrere estesamente questa via della bellezza così come può farlo chi legge l’opera di Sandro Barbagallo. Possiamo però fermarci a contemplare due immagini, entrambe relative alla fuga in Egitto.
La prima rappresenta il Riposo durante la fuga in Egitto (1570) dell’urbinate Federico Barocci (1535-1612). “L’artista riesce a trasmettere un momento di felicità domestica, nonostante la scena sia all’aperto. Maria, seduta in primo piano […] è intenta ad armeggiare con una ciotola. Gesù, anacronisticamente già grandicello, gioca sorridente con un san Giuseppe maturo e dall’espressione gioviale, qui rappresentato mentre porge al Bambino un ramoscello di ciliegio” (p. 62).
La seconda rappresenta il sogno di san Giuseppe per il ritorno dall’Egitto, del pittore napoletano Bernardo Cavallino (1616-1656), datata al 1645 ca. “Opera particolarmente interessante per l’interpretazione nello stesso tempo affettuosa e allusiva che ne dà l’artista, nella quale san Giuseppe ci appare con la testa reclinata sul braccio, poggiato su un tavolo nell’angolo più buio del quadro. Un’unica fonte di luce, in linea con i canoni caravaggeschi, illumina le altre zone dell’opera, in cui si vede la Vergine Maria che si è addormentata osservando il figlioletto, abbandonato ad un sonno profondo e coperto dallo stesso manto-lenzuolo azzurro usato dalla madre” (pp. 65-66).
* Cfr., in questo sito, la Preghiera a san Giuseppe di Papa Leone XIII (1810-1903); il commento di don Piero Cantoni all’Esortazione apostolica Redemptoris Custos, di san Giovanni Paolo II (1920-2005), del 15-8-1989 e l’intervento di Papa Francesco all’Angelus del 22 dicembre 2019.
Giovedì, 19 marzo 2019
*San Giuseppe nell’Arte. Iconologia e iconografia del Custode silenzioso del Redentore, di Sandro Barbagallo, Edizioni Musei Vaticani, Città del Vaticano 2013.