di Michele Brambilla
Nel ventennale (2000-2020) dell’istituzione della festa della Divina misericordia da parte di Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005), il 19 aprile Papa Francesco si reca nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, cuore pulsante di questa devozione nella città di Roma, dove celebra la Messa e recita il Regina Coeli. Prendendo spunto dalla pagina del Vangelo di questa festività (cfr. Gv 19, 20-31), che narra l’apparizione del Risorto all’apostolo san Tommaso, il Papa osserva che «domenica scorsa abbiamo celebrato la risurrezione del Maestro, oggi assistiamo alla risurrezione del discepolo».
Cristo non si arrende davanti all’incredulità di Tommaso, ma gli riserva il privilegio di mettere le dita nelle piaghe lasciate dalla crocifissione. Commenta il Papa: «la risurrezione del discepolo inizia da qui, da questa misericordia fedele e paziente, dalla scoperta che Dio non si stanca di tenderci la mano per rialzarci dalle nostre cadute», come fa ogni padre con i figli quando imparano a camminare.
«La mano che ci rialza sempre è la misericordia» di Dio, che non lascia mai indietro nessuno. Francesco vuole diventi il valore portante della ricostruzione post-pandemia: «la misericordia non abbandona chi rimane indietro. Ora, mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua proprio questo pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente», che andava per la maggiore nell’Occidente pre-virus. «Si trasmette a partire dall’idea che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me. Si parte da qui e si arriva a selezionare le persone, a scartare i poveri, a immolare chi sta indietro sull’altare del progresso. Questa pandemia ci ricorda però che non ci sono differenze e confini tra chi soffre. Siamo tutti fragili, tutti uguali, tutti preziosi» agli occhi di Dio. «Quel che sta accadendo ci scuota dentro: è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità». La Divina misericordia diventa il fondamento di una vera e propria restaurazione sociale, sul modello delle prime comunità cristiane: «impariamo dalla comunità cristiana delle origini, descritta nel libro degli Atti degli Apostoli. Aveva ricevuto misericordia e viveva con misericordia: “Tutti i credenti avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (At 2,44-45)».
Poiché sussiste il pericolo di dare a questi versetti una interpretazione fuorviante, il Santo Padre preferisce rileggerli assieme a santa Faustina Kowalska (1905-38), la veggente della Divina misericordia: «santa Faustina, dopo aver incontrato Gesù, scrisse: “In un’anima sofferente dobbiamo vedere Gesù Crocifisso e non un parassita e un peso… [Signore], ci dai la possibilità di esercitarci nelle opere di misericordia e noi ci esercitiamo nei giudizi” (Diario, 6 settembre 1937). Lei stessa, però, un giorno si lamentò con Gesù che, ad esser misericordiosi, si passa per ingenui. Disse: “Signore, abusano spesso della mia bontà”. E Gesù: “Non importa, figlia mia, non te ne curare, tu sii sempre misericordiosa con tutti” (24 dicembre 1937)».
Lunedì, 20 aprile 2020