Di Domenico Airoma dal Centro Studi “Rosario Livatino” del 27/05/2020
È davvero curioso che il sistema Associazione Nazionale Magistrati–Consiglio Superiore della Magistratura stia implodendo proprio in epoca di pandemia. Come il Covid-19 ha messo a nudo tragicamente tutta la fragilità della cosiddetta modernità, di un mondo che ha preteso di costruire sé stesso sul mito della onnipotenza dell’uomo-Dio, così un virus, il trojan, inoculato su un telefono cellulare, ha fatto venir giù quel velo del giudiziariamente corretto che copriva la realtà delle toghe italiane.
Sono due le domande a cui tocca cercare di dare una risposta: perché è accaduto e, soprattutto, che cosa succederà.
1. Le cause della pandemia. A differenza di quanto accaduto per l’origine del coronavirus, su cui ancora si accapigliano gli scienziati, la pandemia giudiziaria ha un’origine da laboratorio, nel senso che l’inoculazione del virus è stata decisa da alcuni inquirenti a caccia di prove di ipotizzati fatti corruttivi; ma l’esito della caccia è andato ben al di là delle intenzioni. Infatti il cavallo di Troia, una volta entrato nel recinto di quella cittadella, ha funzionato da detonatore, trovandosi al cospetto di un ambiente saturo di gas mefitici. Come si era arrivati a tanto?
Il tramonto delle famiglie ideologiche ha segnato anche la magistratura. Non che fosse un bene la teorizzazione dell’uso della giurisdizione per nuovi ed alternativi assetti di potere. Non lo era; come non lo è nessuna forma di strumentalizzazione del giudicare per fini diversi da quella che deve restare la sola divisa del magistrato: dare a ciascuno il suo. Il problema, però, è che alle correnti come gruppi contrassegnati da appartenenze ideali o ideologiche, sono subentrate lobbies sempre più trasversali, animate da un unico obiettivo: spartirsi incarichi e prebende, formare alleanze tra controllori e controllati. E a ciò si andavano sommando gli effetti di un vero e proprio mutamento antropologico dei magistrati italiani.
A partire dagli inizi del nuovo millennio, alcuni fattori contribuiscono a mutare il volto della magistratura italiana. Innanzitutto, bisogna fare i conti con una magistratura oramai ringiovanita per più del 50%. L’abbassamento dell’età pensionabile determina un’emorragia dei magistrati più anziani e, con essi, di gran parte di coloro che erano stati i protagonisti delle prime fasi pre e post tangentopoli. La platea dei magistrati va arricchendosi sempre più di giovani dalla mentalità post-ideologica, attenti soprattutto al proprio status ed alla carriera.
In tale contesto le correnti subiscono una lenta ma inesorabile mutazione: si presentano sempre più come compagnie di assicurazione e di sostegno nella scalata ad incarichi di vertice. Diventano, perciò, maggioritari quei gruppi che, più degli altri, si mostrano capaci di assicurare benefici e prebende. Ciò che rende, inoltre, altamente instabile ed effervescente l’intero ambiente della magistratura è l’azzeramento dei vertici degli uffici (dovuto, in larga parte, al già evocato pensionamento anticipato) nonché la temporaneità degli incarichi direttivi; fattori che scatenano appetiti di carriera difficilmente contenibili e, soprattutto, impossibili da soddisfare per tutti.
Questo, in sintesi, l’ambiente ed il contesto che si scontra con il trojan e dà vita alla pandemia Palamara.
2. Cosa succederà? Gli effetti della deflagrazione sono lungi dall’essersi esauriti e condurranno probabilmente a una modifica irreversibile dell’intero paesaggio della magistratura italiana. Vi è da registrare, in primo luogo, l’effetto rianimatorio che l’incendio ha avuto, sia pure temporaneamente, per Magistratura Democratica, in evidente crisi di consenso nel contesto di una magistratura post-ideologica.
Non toccata inizialmente dalla propalazione degli esiti delle captazioni virali, la corrente di sinistrane trae forza per riaffermare una presunta superiorità morale e soprattutto per difendere il proprio modo di fare politica. Emblematici sono più di un passaggio della relazione tenuta da Maria Cristina Ornani, Segretario generale all’ultimo congresso di Area Democratica per la Giustizia, nata dall’unione di Magistratura Democratica e del Movimento per la Giustizia. Dopo aver dato un giudizio senza appello sulle compagini politiche e sui movimenti che si sono affacciati da ultimo sul panorama europeo ed italiano, l’esponente di MD rivendica il diritto-dovere di continuare a fare politica attiva, proprio marcando, ancora un volta, la differenza fra chi incarna quel modello di magistrato e tutti gli altri, compromessi con il potere o silenziosamente complici.
Resiste e pare nuovamente egemone una magistratura che pretende di giudicare non solo eletti ed elettori, ma anche di definire il nuovo arco costituzionale, fulminando con il marchio dell’infamia sociale tutti coloro, giudici compresi, che non si allineano. Tuttavia, non sono queste posizioni a rappresentare il dato qualitativamente più interessante, direi la dominante dei prossimi anni in magistratura. Si tratta, infatti, di posizioni che risultano avere scarso seguito in magistratura, soprattutto fra i più giovani. Peraltro, sono espressioni di una magistratura ostinatamente legata ad un mondo che non c’è più e che necessita per rivitalizzarsi di individuare di volta in volta un nemico nuovo.
La dominante, invece, che sembra caratterizzare, anche per il futuro, il panorama della magistratura è quella di un’elevata frammentazione, fatta da magistrati sempre più rancorosi e conflittuali, per usare un’immagine cara al prof. De Rita. La più gran parte di magistrati, infatti, riversa il proprio rancore anti-sistema o astenendosi dalle consultazioni (emblematico è il 25% circa di astenuti alle recenti elezioni suppletive per il CSM) o sostenendo soggetti che si presentano come ostili alle correnti ovvero premiando – in maniera fino ad un certo punto sorprendente – chi non rinnega il sistema correntizio poiché ritenuto tutto sommato protettivo contro derive movimentiste e rigurgiti ideologici. Una polarizzazione sempre più marcata, che taglia fuori posizioni di compromesso, che si esprime con toni sempre più accesi e che connota di fluidità emotiva l’intero quadro.
3. Un nuovo associazionismo? Vi è un altro dato sui cui riflettere. Si fa, infatti, strada una nuova forma di associazionismo, che prescinde dall’Associazione Nazionale Magistrati, sempre più in evidente crisi di rappresentatività; una modalità di aggregazione per temi, che riprende la questione del modello del magistrato, dinanzi ai cambiamenti dell’età post-moderna. Presentandosi come alfieri di una magistratura attenta al profilo tecnico-professionale, questi magistrati esercitano un forte fascino nei confronti soprattutto dei giovani magistrati e scelgono la frontiera dei cosiddetti nuovi diritti per rivendicare un ruolo di avanguardia elitaria nell’attribuire tutela a desideri e pretese che vanno ben al di là del tessuto costituzionale: quest’ultimo è percepito oramai come superato, o comunque da rileggere secondo un’interpretazione convenzionalmente orientata, centrata cioè sulla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, siccome applicata dai giudici della Corte di Strasburgo.
Ritorna, sotto nuove vesti, la polemica contro il formalismo e la legalità positiva; i giudici sono chiamati a incarnare la missione loro assegnata da quella parte della dottrina che ritiene che le questioni attinenti in particolare al bio-diritto non possano essere affidate alle mutevoli maggioranze parlamentari ma vadano attribuite a chi è capace di assecondare la nuova corrente antropologica.
A fronte della necessità, espressa da talune coraggiose opinioni dissenzienti, di porre vincoli e limiti alla discrezionalità interpretativa e di adottare criteri predefiniti di decisione, vi è chi non esita a ritenere, che sia in atto un ineluttabile passaggio dalla centralità delle fonti alla centralità dell’interpretazione o delle interpretazioni, dal momento potestativo e autoritativo del diritto a quello applicativo; con tutto quel che ne consegue sulla funzione della giurisdizione, che viene sempre più intesa come esercitata non “in nome del popolo italiano”, ma “in-vece del popolo italiano”.
Il trojan, insomma, ha fatto esplodere una questione morale, ma non la questione morale della magistratura che è, invece, strettamente connessa alla funzione svolta, nel contesto post-moderno, dalla giurisdizione: sempre più il vero detentore del potere nell’epoca del politicamente corretto. L’unica reazione – forse non l’unica di principio, ma certo tale nei fatti – praticabile è quella che ha portato a scelte contro-corrente come la costituzione del Centro Studi Rosario Livatino.
L’obiettivo è proporre, e sforzarsi di incarnare, un modello di magistrato dal forte spessore morale e realmente indipendente, anche nello stile di vita; e, al contempo, disposto a partecipare con coraggio e serietà di argomentazioni alla discussione pre-politica, soprattutto quando sono in questione principi e valori fondamentali. Il dovere è non dimenticare che lungo questa storia, descritta provando a esaltare le linee di forza, vi sono stati tanti magistrati che hanno fatto il loro dovere senza piegarsi al potente di turno, sia esso partito, ideologia o circoli di potere di qualsivoglia matrice.
Il sogno è quello di interessare e conquistare le giovani generazioni che, proprio per essere post-ideologiche, possono –ne sono convinto- essere attratte da idealità forti e comportamenti coerenti.
In nome della Giustizia.
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