di Michele Brambilla
Papa Francesco prosegue sulla linea cronologica dei Patriarchi biblici e, nell’udienza del 10 giugno, presenta la figura di Giacobbe, figlio di Isacco, nipote di Abramo. «Il racconto biblico», evidenzia il Santo Padre, «ci parla del difficile rapporto che Giacobbe aveva con suo fratello Esaù», che era il primogenito. Il Pontefice si sofferma sul particolare che «fin da piccoli, tra loro c’è rivalità, e non sarà mai superata in seguito. Giacobbe è il secondogenito – erano gemelli -, ma con l’inganno riesce a carpire al padre Isacco la benedizione e il dono della primogenitura (cfr Gen 25,19-34). È solo la prima di una lunga serie di astuzie di cui questo uomo spregiudicato è capace».
«Costretto a fuggire lontano dal fratello» furibondo, Giacobbe «nella sua vita pare riuscire in ogni impresa» grazie alla sua astuzia. «Con tenacia e pazienza riesce», infatti, «a sposare la più bella delle figlie di Labano» l’Arameo, fratello di Rebecca, che era la moglie di Isacco (Gn 25,20), «ma gli manca qualcosa. Gli manca il rapporto vivo con le proprie radici», che si trovano nell’Alleanza tra Dio e la discendenza di Abramo. Giacobbe decide pertanto di riunirsi al suo clan.
«Giacobbe», allora, «parte e compie un lungo viaggio con una carovana numerosa di persone e animali, finché arriva all’ultima tappa, al torrente Jabbok. Qui il libro della Genesi ci offre una pagina» che il Papa ritiene «memorabile»: in Gn 32,23-33 Giacobbe passa una notte intera a lottare contro uno sconosciuto, che si rivela essere un angelo del Signore, il quale gli cambia il nome (diventa “Israele”, cioè “colui che ha combattuto con Dio e con gli uomini”, come è scritto in Gn 32,29) e gli colpisce il nervo sciatico: il patriarca rimarrà zoppo a perpetua memoria del combattimento notturno con il Signore.
Il Papa cita in proposito il Catechismo: «la tradizione spirituale della Chiesa ha visto in questo racconto il simbolo della preghiera come combattimento della fede e vittoria della perseveranza» (CCC, 2573). Giacobbe, dice il Pontefice, si era sempre sentito sicuro di se stesso, «ma in quella notte, attraverso una lotta che si protrae a lungo e che lo vede quasi soccombere, il patriarca esce cambiato. Cambio del nome, cambio del modo di vivere e cambio della personalità». Prima «era un uomo impermeabile alla grazia, refrattario alla misericordia; non conosceva cosa fosse la misericordia. “Qui sono io, comando io!”, non riteneva di avere bisogno di misericordia. Ma Dio ha salvato ciò che era perduto. Gli ha fatto capire che era limitato, che era un peccatore che aveva bisogno di misericordia e lo salvò».
Il Santo Padre ammonisce che «tutti quanti noi abbiamo un appuntamento nella notte con Dio, nella notte della nostra vita, nelle tante notti della nostra vita: momenti oscuri, momenti di peccati, momenti di disorientamento». Proprio nel corso di quei passaggi dolorosi «Egli ci sorprenderà nel momento in cui non ce lo aspettiamo, in cui ci troveremo a rimanere veramente da soli. In quella stessa notte, combattendo contro l’ignoto, prenderemo coscienza di essere solo poveri uomini – mi permetto di dire “poveracci” – ma, proprio allora, nel momento in cui ci sentiamo “poveracci”, non dovremo temere: perché in quel momento Dio ci darà un nome nuovo, che contiene il senso di tutta la nostra vita; ci cambierà il cuore e ci darà la benedizione riservata a chi si è lasciato cambiare da Lui».
Venerdì, 12 giugno 2020