Giovanni Cantoni nel ricordo dei suoi militanti
Marco Respinti, Cristianità n. 401 (2020)
Il relativismo è un demone antico dai molti volti. E antica, persino vecchia, è la sua versione popolare, addirittura pop: la confusione, lo spaesamento. Della confusione e dello spaesamento attuali la culla, in ambito ecclesiale, è stato il disastro noto come «postconcilio», seguito al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), dalla fine degli anni 1960 a tutti gli anni 1970 e oltre, con una prima battuta di arresto coincidente con l’avvento al Soglio di Pietro di Papa san Giovanni Paolo II (1978-2005), nel 1978. Eppure quel postconcilio non è stato dissimile a tutti i postconcili seguiti a tutti i Concili della Chiesa Cattolica. Per un verso. Per un altro è stato incomparabile, dato che, rispetto al pregresso, il tempo ha fatto, ineluttabilmente, il proprio corso e con esso, non ineluttabilmente, ha marciato il processo plurisecolare di allontanamento da Dio a cui, post peccatum, è dato il nome di Rivoluzione. A questo processo però, appunto perché non ineluttabile, si è opposta una reazione altrettanto plurisecolare, il cui andamento storico è stato magistralmente ricapitolato dal pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira(1908-1995), fondatore dell’associazione Tradizione, Famiglia e Proprietà, nel volume Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, del 1959 (1).
Nel 2009, cinquantenario di quest’opera, l’italiano Giovanni Cantoni (1938-2020) ne ha dato alle stampe l’edizione definitiva, arricchendola di materiali della «fabbrica» del testo e di documenti. Era del resto stato proprio Cantoni a tradurre e a pubblicare la versione italiana del volume, e addirittura a chiederne all’autore, nel 1977, una prosecuzione che tenesse conto di una fase nuova del processo rivoluzionario — dopo la pseudoriforma protestante, la Rivoluzione Francese e il comunismo — simboleggiata dal Sessantotto (e non solo dal 1968), ovvero quella del relativismo compiuto. E qui il cerchio si chiude, o si apre.
Nel clima del relativismo ecclesiale del postconcilio, Cantoni fonda infatti in Italia Alleanza Cattolica, associazione di laici dedita allo studio e alla diffusione della dottrina sociale della Chiesa, che s’ispira proprio all’insegnamento di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, dunque tematicamente militante contro il relativismo postsessantottino. Nel 1973 Cantoni fonda quindi il periodico Cristianità, organo ufficiale dell’associazione, usando un titolo che è una bandiera, un ideale: il farsi civiltà, dopo essersi fatta cultura, della fede cattolica. Con il numero appena pubblicato, Cristianità giunge oggi al n. 400.
Negli anni del postconcilio Alleanza Cattolica alzò una bandiera nella morta gora del conformismo, interrogandosi su quale strada la Chiesa stesse imboccando e soprattutto interrogando l’Autorità. Cantoni amava descrivere la posizione associativa nei termini di una «opposizione di sua maestà» il Papa, non di «opposizione a sua maestà». Tanto fermo quanto sempre rispettoso, Cantoni chiedeva conto al successore di Pietro di quell’«autodemolizione» della Chiesa, che era peraltro stato proprio Papa Paolo VI (1963-1978), oggi santo, a denunciare con lucidità nel 1968. Cantoni temeva infatti come il fuoco proprio il relativismo, quel solvente antico e onnipervasivo capace di sciogliere ogni e qualunque legame e principio, anima e quintessenza della Rivoluzione.
Cantoni ebbe allora il merito storico di reintrodurre nel panorama culturale italiano il concetto di contro-rivoluzione, assente nella Penisola almeno dall’Anti-Risorgimento del conte Clemente Solaro della Margarita (1792-1869), con la sagacia di Joseph de Maistre (1753-1821), il quale ammoniva: la Contro-Rivoluzione «[…] non sarà affatto una rivoluzione contraria, bensì il contrario della rivoluzione» (2).
Quando Cantoni guardò con favore a monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991) lo fece individuando in lui l’espressione compiuta, nella gerarchia cattolica, dell’«opposizione di sua maestà»; e quando questi cominciò invece a inclinare verso l’«opposizione a sua maestà», se ne distaccò prima di chiunque altro, all’inizio degli anni 1980. E così, senza perdere gli antichi nemici di sinistra, Cantoni si guadagnò nuovi nemici a destra. Su una cosa non transigeva: la fedeltà al Vicario di Cristo, opportune et importune, senza papolatrismi e con la schiena sempre ritta.
Il 18 gennaio Cantoniha concluso il proprio «piccolo Medioevo» (3), come amava dire, vale a dire la propria avventura terrena.
Acribico, attento al dettaglio così come al quadro di fondo, pignolo e meticoloso, maestro di metodo e di analisi, capace di sintesi e artista della citazione (e pure della boutade), Cantoni è stato discepolo — in senso stretto e in senso lato — di diversi maestri. Due almeno vanno ricordati: lo storico elvetico Gonzague de Reynold (1880-1970) e, più di recente, il pensatore cattolico colombiano Nicolás Gómez Dávila (1913-1994), che pionieristicamente scoprì e portò in Italia.
Dall’europeista neerlandese Hendrik Brugmans (1906-1997) ha poi tratto una suggestione che ha trasformato in spuntoper una nuova attualizzazione della riflessione contro-rivoluzionaria e per un ragionamento maturo sul senso dell’Occidente, tra fine di un mondo e «nostalgia dell’avvenire», emblematizzata dal volume Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa che cura assieme a Francesco Pappalardo (4).
Nel 2008 matura una «prima conclusione» di sé — è un’altra delle sue espressioni tipiche, rivelatrice di un metodo peculiare — licenziando la raccolta ragionata di saggi, un vero percorso «forte», Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo (5), opera che fa il paio — se a un’ermeneutica di Cantoni qualcuno fosse interessato — con ilFestschrift chei militanti della sua famiglia, Alleanza Cattolica, confezionano per lui, A maggior gloria di Dio, anche sociale. Scritti in onore di Giovanni Cantoni nel suo settantesimo compleanno (6).
«La cristiana certezza della impossibilitàdella sconfitta definitiva — in questo caso dell’abbruttimento totale — non ci esime dal contrastarne ogni eventualità parziale e dall’operare affinché, lentamente o rapidamente, come Dio vorrà, l’uomo perda l’eccessiva fiducia che nutre nella ragione e torni a sentirsi, com’è, bisognoso di verità e di cura, cioè di dogma e di rito, di dottrina e ascesi, scoprendo come le modalità della vita religiosa non si son punto allontanate da lui e dal suo mondo, ma vivono una vita latente e potenziale, sotto i camuffamenti più impropri e più strani». Cantoni scrisse queste parole nella Prefazione che firmò a Mito e realtà (7), del fenomenologo rumeno del sacro Mircea Eliade (1907-1986). Sono il senso della sua militanza e il viatico migliore, ora, alle porte del Cielo.
Note:
(1) G. Cantoni, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione nel cinquantenario (1959-2009): «istruzioni per l’uso», cit.
(2) Joseph de Maistre, Considerazioni sulla Francia, trad. it., con una Prefazione di Guido Vignelli, Editoriale Il Giglio, Napoli 2010, p. 125.
(3) Giovanni Cantoni, Il «piccolo Medioevo», che trascrive il «grande Medioevo», in Cristianità, anno XVLI, maggio-giugno 2018, pp. 23-26.
(4) Cfr. Giovanni Cantoni e Francesco Pappalardo (a cura di), Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa, D’Ettoris Editori, Crotone 2006, testo riveduto nella I ristampa corretta, 2007.
(5) Cfr. G. Cantoni, Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo, Sugarco, Milano 2008.
(6) Cfr. PierLuigi Zoccatelli e Ignazio Cantoni (a cura di), A maggior gloria di Dio, anche sociale. Scritti in onore di Giovanni Cantoni nel suo settantesimo compleanno, Cantagalli, Siena 2008.
(7) Mircea Eliade, Mito e realtà, trad. it., Borla, Leumann (Torino) 1966, p. 17.