Di Guido Santevecchi dal Corriere della Sera del 11/08/2020
Maxi-operazione a Hong Kong: in manette Jimmy Lai e i figli. Poi tocca a una giovane attivista
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PECHINO «Collusione con potenze ed elementi stranieri» è l’accusa che ha portato in carcere a Hong Kong Jimmy Lai, 72 anni, proprietario di due giornali schierati contro il governo e critici del partito comunista di Pechino: il quotidiano Apple Daily e la rivista Next Magazine.
Jimmy Lai è finora l’esponente più importante tra le decine di arrestati in base alla nuova legge sulla sicurezza nazionale cinese entrata in vigore a Hong Kong l’1 luglio. Con l’editore sono finiti in prigione i suoi due figli e quattro dirigenti del gruppo Next Digital. La retata è proseguita con la cattura di Agnes Chow, una giovane attivista democratica vicina a Joshua Wong. Il prossimo nella lista sembra inevitabilmente lui.
Jimmy Lai è stato prelevato a casa al mattino, poi scortato in manette nella redazione di Apple Daily, mentre i cronisti filmavano e diffondevano in diretta la scena. Impressionante: più di 200 agenti a caccia di documenti tra le scrivanie dei cronisti, in uno show di forza che è un ulteriore monito. Quando un giornalista ha chiesto a un agente qual era il motivo della perquisizione, un ufficiale lo ha preso a spintoni e ha gridato ai colleghi: «Ricordate la sua faccia, se insiste, arrestate anche lui»
Jimmy Lai è nato a Guangzhou, nella Cina continentale, aveva cominciato a fare fortuna come industriale dell’abbigliamento; trasferitosi a Hong Kong è passato alla stampa. Racconta di aver deciso di dedicarsi alla pubblicazione di giornali indipendenti e anti comunisti dopo lo choc per la repressione di Piazza Tienanmen, nel 1989. L’anno scorso ha incontrato il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence e il segretario di Stato Mike Pompeo a Washington, mentre Hong Kong era scossa dalle proteste del fronte democratico. Ora Pechino ha deciso di chiudere la partita con l’opposizione e le sue figure simbolo. Lai è accusato di collusione con lo straniero, anche se quegli incontri sono precedenti alla legge di sicurezza nazionale. Ma questa è teoria, per l’arresto basta ipotizzare che i contatti siano proseguiti. L’editore ha anche passaporto britannico. Nonostante la paura, c’è stato un sussulto di solidarietà popolare: una corsa ad acquistare azioni del gruppo editoriale, che nel pomeriggio alla Borsa di Hong Kong sono schizzate in alto guadagnando il 187%. Qualche analista però sospetta che dietro ci siano anche manovre oscure. La retata è anche un segnale agli Stati Uniti, che si sono impegnati in una campagna punitiva nei confronti del governo di Hong Kong. Dopo l’imposizione della legge cinese il presidente Trump ha ritirato lo status commerciale speciale per l’ex colonia britannica; la scorsa settimana ha messo in una lista nera 11 dirigenti politici hongkonghesi e cinesi, tra i quali la governatrice Carrie Lam, per aver soppresso il dissenso. Pechino ieri ha reagito mettendo nella sua lista nera 11 americani, tra cui i senatori Rubio, Cruz e Cotton e il direttore di Human Rights Watch.
A questo punto è chiaro che il Partito-Stato non si fermerà nell’azione di normalizzazione del suo territorio ad amministrazione speciale, nonostante lo sdegno internazionale, nonostante il trattato firmato con Londra per la restituzione del 1997 contenesse l’impegno a mantenere la formula «Un Paese due sistemi» fino al 2047. Pechino risponde che è stato proprio per salvare la sovranità di «Un Paese» di fronte alla rivolta che è stato necessario introdurre la legge che impedisce la sovversione (equivalente di opposizione anti-comunista).
La legge sulla sicurezza nazionale è stata un punto di svolta. Sanziona «sovversione, secessionismo e collusione con forze straniere», una formula molto ampia che di fatto mette al bando l’opposizione antigovernativa.
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