«Senza contemplazione», avverte il Papa, «è facile cadere in un antropocentrismo squilibrato e superbo». Il Pontefice addita in proposito l’esempio di don Malgesini, il sacerdote comasco assassinato il 15 settembre, che ritiene senza dubbio un martire della carità.
di Michele Brambilla
Il 16 settembre Papa Francesco scende, come è ormai consuetudine, nel Cortile di S. Damaso per l’udienza generale. «Per uscire da una pandemia», dice, «occorre curarsi e curarci a vicenda. E bisogna sostenere chi si prende cura dei più deboli, dei malati e degli anziani». Il Pontefice insiste particolarmente sull’atteggiamento nei confronti delle vecchie generazioni: «c’è l’abitudine di lasciare da parte gli anziani, di abbandonarli: è brutto, questo». Il Santo Padre fa riflettere tutti sul termine ispanico per definire coloro che aiutano le persone più in là con gli anni, «cuidadores», sottolineando che «il prendersi cura è una regola d’oro del nostro essere umani, e porta con sé salute e speranza. […] Questa cura, dobbiamo rivolgerla anche alla nostra casa comune: alla terra e ad ogni creatura», dato che siamo tutti interconnessi.
Francesco chiede: «qual è l’antidoto contro la malattia di non prendersi cura della casa comune? È la contemplazione», saper cogliere la presenza del Creatore persino negli oggetti “usa e getta”. «Le creature hanno un valore in sé stesse e “riflettono, ognuna a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 339)», non sono solo una risorsa per le attività economiche dell’uomo. «Senza contemplazione», ripete ancora una volta il Pontefice, «è facile cadere in un antropocentrismo squilibrato e superbo, l’“io” al centro di tutto, che sovradimensiona il nostro ruolo di esseri umani, posizionandoci come dominatori assoluti di tutte le altre creature. Una interpretazione distorta dei testi biblici sulla creazione ha contribuito a questo sguardo sbagliato, che porta a sfruttare la terra fino a soffocarla». Il Santo Padre denuncia: «sfruttare il creato: questo è il peccato. Crediamo di essere al centro, pretendendo di occupare il posto di Dio e così roviniamo l’armonia del creato, l’armonia del disegno di Dio. Diventiamo predatori, dimenticando la nostra vocazione di custodi della vita. Certo, possiamo e dobbiamo lavorare la terra per vivere e svilupparci. Ma il lavoro non è sinonimo di sfruttamento, ed è sempre accompagnato dalla cura: arare e proteggere, lavorare e prendersi cura… Questa è la nostra missione (cfr Gen 2,15)». Il trattamento che riserviamo ai nostri simili dipende da come guardiamo all’ambiente naturale e viceversa: «questa è una legge universale: se tu non sai contemplare la natura, sarà molto difficile che saprai contemplare la gente, la bellezza delle persone, il fratello, la sorella. Chi sa contemplare, più facilmente si metterà all’opera per cambiare ciò che produce degrado e danni alla salute. Si impegnerà a educare e promuovere nuove abitudini di produzione e consumo, a contribuire ad un nuovo modello di crescita economica che garantisca il rispetto per la casa comune e il rispetto per le persone».
Lo sguardo contemplativo coglie nell’uomo anzitutto un fratello per il quale Cristo ha dato la vita. Il Papa ricorda con commozione il recente sacrificio di don Roberto Malgesini, un prete di Como assassinato il 15 settembre da un immigrato irregolare che gli aveva chiesto aiuto: «mi unisco al dolore e alla preghiera dei suoi familiari e della comunità comasca e, come ha detto il suo vescovo», mons. Oscar Cantoni, «rendo lode a Dio per la testimonianza, cioè per il martirio, di questo testimone della carità verso i più poveri», che non ha mai disgiunto azione e contemplazione.
Giovedì, 17 settembre 2020