Il Papa spiega il principio di sussidiarietà e ricorda che nessun essere umano è sacrificabile.
di Michele Brambilla
«Per uscire migliori da una crisi come quella attuale», sostiene Papa Francesco nell’introduzione all’udienza generale del 23 settembre, «[…] ognuno di noi è chiamato ad assumersi la sua parte di responsabilità, cioè condividere le responsabilità. Dobbiamo rispondere non solo come persone singole, ma anche a partire dal nostro gruppo di appartenenza, dal ruolo che abbiamo nella società, dai nostri principi e, se siamo credenti, dalla fede in Dio», che non può essere conculcata in alcun modo. Aprendo una parentesi assai dolorosa, il Santo Padre denuncia che «in alcune società, tante persone non sono libere di esprimere la propria fede e i propri valori, le proprie idee: se le esprimono vanno in carcere. Altrove, specialmente nel mondo occidentale, molti auto-reprimono le proprie convinzioni etiche o religiose» per non essere censurati dal “politicamente corretto”.
Dice il Papa, citando un suo antico predecessore: «affinché tutti possiamo partecipare alla cura e alla rigenerazione dei nostri popoli, è giusto che ognuno abbia le risorse adeguate per farlo (cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa [CDSC], 186). Dopo la grande depressione economica del 1929, Papa Pio XI (1922-39) spiegò quanto fosse importante per una vera ricostruzione il principio di sussidiarietà (cfr Enc. Quadragesimo anno, 79-80). Tale principio ha un doppio dinamismo: dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. Forse non capiamo cosa significa questo, ma è un principio sociale che ci fa più uniti», nel senso che sottolinea la comune dignità di tutti gli uomini e valorizza i talenti di ciascuno.
La pandemia ha spinto a una maggiore spesa pubblica: «da un lato, e soprattutto in tempi di cambiamento, quando i singoli individui, le famiglie, le piccole associazioni o le comunità locali non sono in grado di raggiungere gli obiettivi primari, allora è giusto che intervengano i livelli più alti del corpo sociale, come lo Stato, per fornire le risorse necessarie ad andare avanti», ma non può durare a lungo. Il Papa non teme, infatti, di ricordare che «dall’altro lato, però, i vertici della società devono rispettare e promuovere i livelli intermedi o minori. Infatti, il contributo degli individui, delle famiglie, delle associazioni, delle imprese, di tutti i corpi intermedi e anche delle Chiese è decisivo. Questi, con le proprie risorse culturali, religiose, economiche o di partecipazione civica, rivitalizzano e rafforzano il corpo sociale», preservandolo da una uniformazione ideologica e incrementando la creatività del singolo. «Ciascuno», infatti, «deve avere la possibilità di assumere la propria responsabilità nei processi di guarigione della società di cui fa parte. Quando si attiva qualche progetto che riguarda direttamente o indirettamente determinati gruppi sociali, questi non possono essere lasciati fuori dalla partecipazione». Il rischio, infatti, è quello di cristallizzare la situazione dei bisognosi mantenendoli in uno stato di soggezione.
L’uomo ha una dignità che non può essere asservita o eliminata da un progetto politico/economico: fu il tragico errore dell’epoca delle ideologie (1789-1989), di cui l’aborto legalizzato è uno dei frutti più avvelenati. Ecco perché, a margine dell’udienza, il Pontefice benedice una campana, portata a Roma dai pellegrini polacchi, che si chiamerà «La Voce dei non Nati». Francesco spiega che «essa accompagnerà gli eventi» della Fondazione “Sì alla Vita” «volti a ricordare il valore della vita umana dal concepimento alla morte naturale», sul quale si sofferma la lettera della Congregazione per la dottrina e la fede Samaritanus bonus, emessa giusto il 22 settembre.
Giovedì, 24 settembre 2020