Nota del 9 marzo 2019
Nel venticinquesimo anniversario riproponiamo l’intervista di Marco Respinti a Régine Pernoud (1909-1998)
Marco Respinti, Intervista con Régine Pernoud, Cristianità n. 227-228 (1994)
Santità, famiglia e società nel Medioevo
Régine Pernoud è la specialista che, nell’ambito della comunità scientifica internazionale, ha saputo fornire alcuni fra i migliori strumenti per sfatare la “leggenda nera” sull’ampio periodo di civiltà cristiana romano-germanica noto con l’espressione spregiativa, d’origine proto-illuministica, “Medioevo” — una “leggenda nera”, bene o male, ancora largamente diffusa (cfr. Marco Tangheroni, La “leggenda nera” sul Medioevo, in Cristianità, anno VI, n. 34-35, febbraio-marzo 1978) —, insieme offrendo chiarezza, sguardo panoramico e abbondante messe di dati e di documentazione, nonché facilità di comprensione e di utilizzo degli stessi.
Régine Pernoud ripercorse “i più significativi parametri della vita — dal punto di vista umano e cristiano — esaminati in relazione alla civiltà medioevale”, in un’ampia e articolata intervista, a cura di Massimo Introvigne, dal titolo “Il Medioevo: l’unica epoca di sottosviluppo che ci abbia lasciato delle cattedrali”, comparsa in Cristianità (anno XIII, n. 117, gennaio 1985). In occasione di un breve tour di conferenze che ha portato la specialista francese in Italia nel mese di novembre del 1993, ho potuto approfondire con lei — appunto basandomi su tale intervista, quindi, in un certo senso, continuandola — il tema affidatole, ossia Il santo e il cittadino: due ideali a confronto. La studiosa francese ha trattato il vastissimo tema, sostanzialmente riprendendo alcune tematiche già affrontate nelle sue pubblicazioni.
Régine Pernoud ha tenuto una prima conferenza a Milano, il 23 novembre 1993, nella Sala della Provincia, invitata dal Centro Culturale di Milano, già Centro Culturale San Carlo, introdotta dal presidente del sodalizio promotore, dottor Camillo Fornasieri. Una seconda conferenza si è svolta a Bologna, il 24 novembre 1993, organizzata dal Centro Culturale Enrico Manfredini nella propria sede e, nell’occasione, la studiosa francese è stata introdotta dal presidente del sodalizio promotore, dottor Raffaello Vignali.
Per quanto riguarda i dati anagrafici e le pubblicazioni della studiosa francese, rimando alla nota Régine Pernoud: elementi bio-bibliografici, comparsa in Cristianità insieme all’intervista curata da Massimo Introvigne, ricordando che dal 1985 la studiosa francese ha cessato di dirigere il Centre Jeanne d’Arc di Orléans, e che, nel frattempo, sono state pubblicate le seguenti traduzioni italiane: La donna al tempo delle cattedrali (Rizzoli, Milano 1986); I santi nel Medioevo (Rizzoli, Milano 1986); Storia della borghesia in Francia. Dalle origini all’inizio dell’età moderna (Jaca Book, Milano 1986); Giovanna d’Arco (Città Nuova, Roma 1987), in collaborazione con Marie-Veronique Clin; Riccardo Cuor di Leone (Rusconi, Milano 1989); Giovanna d’Arco. Una vita in breve (Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo [Milano] 1992); I templari (Effedieffe, Milano 1993); Bianca di Castiglia. Una storia di buon governo (ECIG, Genova 1994) e La Vergine e i Santi nel Medioevo (Piemme, Casale Monferrato [Alessandria] 1994).
Attualmente, fra l’altro, la studiosa francese sta lavorando a un’opera dedicata alla figura di santa Ildegarda di Bingen.
Régine Pernoud ha voluto e saputo collegare l’epoca della civiltà cristiana medioevale all’attualità, proponendo la praticabilità e la bellezza dell’ideale della santità cristiana e richiamando la fecondità della cultura che scaturisce dalla fede vissuta e incarnata — un ideale e una cultura non esclusivamente legate e, dunque, esaurite, con determinati periodi storici —, indicando santa Giovanna d’Arco e san Nicola di Flüe, oltre a san Francesco e a santa Chiara d’Assisi, quali preziosi modelli per il cristiano, nell’ora presente.
La studiosa ha descritto la santa “pulzella d’Orléans” come “un personaggio incomparabile per purezza, per limpidezza e per amore verso il prossimo, ivi compreso il nemico che ella era decisa a scacciare”; una “ragazza di diciannove anni che s’impone, in mezzo alla confusione generale, a guerre e a discordie, e che libera un intero paese, il quale sembrava definitivamente schiacciato dall’invasore straniero e sconvolto da divisioni intestine”, “[…] con il proprio sacrificio”. Santa Giovanna d’Arco “[…] non potrebbe essere un modello assai attuale per il nostro mondo dilacerato?”: se fu “modello di santità per il suo tempo” può ben essere una “speranza per il nostro”.
Intanto, “[…] più o meno nello stesso periodo storico, in un paese non lontano — la Svizzera — vi fu un santo che portò la pace ai propri concittadini, san Nicola di Flüe, nato nel 1417, anche lui contadino e analfabeta”. Il santo fu dotato di “[…] una tale saggezza che nel suo villaggio gli venne chiesto di essere giudice e consigliere”. Poi, “[…] un giorno, a cinquant’anni, egli abbandonò la sua casa — con il consenso della consorte Dorotea —, per andare a vivere — a un centinaio di metri dall’abitazione — nella solitudine e nella preghiera continua”. “Un giorno — ha proseguito la storica francese —, dopo quattordici anni di vita solitaria, in un’epoca in cui i cantoni svizzeri non andavano d’accordo fra loro”, “[…] dopo una riunione sull’accordo confederale, che si concluse nel massimo disordine, ognuno decidendo di tornare a casa propria, qualcuno sollecitò l’eremita a intervenire: richiesto il suo parere, oltre ad alcuni consigli pratici, il messaggio che mise tutti d’accordo diceva “unitevi con un legame d’amore e di fedeltà””. “Oggi — ha ricordato Régine Pernoud — egli viene riconosciuto come padre della patria sia dalla Svizzera cattolica che da quella protestante”: “In un certo senso è figura di cittadino portatore di un messaggio di pace in un paese lacerato”.
Infine, quindi, “[…] in quest’anno dell’ottavo centenario di Chiara d’Assisi, l’appello che s’impone in fatto di santità, sarà probabilmente quello del Cavaliere e della Dama, Francesco e Chiara.
“Francesco d’Assisi: spogliatosi di tutto quanto, nel nostro tempo, rende accettabile un cittadino — il commercio, il denaro, gli onori —, per essere solo il Santo, l’amico di tutti, colui che un giorno si vedrà, in pieno combattimento, passare le linee e attraversare la “terra di nessuno” per andare a esporre la sua fede al Sultano d’Egitto e per farsi ascoltare da lui. Chiara: la Dama che, con ostinazione, per tutta la propria vita, ha rivendicato e finalmente ottenuto il privilegio della povertà; forse ella riuscirà a riportare il senso della condivisione — che rischia di diventare a breve sempre più indispensabile, da noi e all’estero, di fronte alla marea montante delle miserie del mondo — nella nostra società dei consumi. E ricordiamo che, oggigiorno, Chiara è, curiosamente, la patrona del mezzo di comunicazione più straordinario di tutti i tempi, la televisione. Non potremo contare su di lei per dissipare la feccia che insudicia i nostri schermi, quella che sfigura la verità? Potrà santa Chiara riportare, in tutti i campi, il gusto della chiarezza?”.
D. Quali sono le caratteristiche della figura del “cittadino” ?
R. Attualmente, in Francia — dove si parla spesso di “diritti del cittadino” e di suoi doveri, come quello di pagare le tasse —, è il modello per definire l’uomo in base ai suoi rapporti con lo Stato. Ritengo molto interessante notare che del cittadino si tratta unicamente in termini di individuo, un’espressione desunta dal nostro Codice Civile, che contempla solamente gli individui — soli e isolati —, senza alcuna prescrizione sulla famiglia. Lentamente, nel tempo, la “legge” ha soppiantato la fede. I valori riconosciuti, ammessi e portati come esempio dalla nostra civiltà sono quelli della democrazia e del governo del popolo: ossia, quelli di un regime che emana leggi, la conformità e l’obbedienza alle quali fa il cittadino. Il tipo del cittadino venne caratterizzandosi soprattutto durante il secolo scorso, secondo uno schema di sviluppo preordinato: una prima età di formazione nelle scuole laiche; poi, l’assolvimento degli obblighi militari, sindacali, di voto, di pagamento delle tasse, di osservanza di certe regole d’igiene e d’etica… magari l’apprezzamento di gesti umanitari… Infine, la “terza età” fatta di pensione e di partecipazione alle attività organizzate per questa condizione. Resta il problema della pianificazione della morte, a cui viene data una risposta forse dall’eutanasia… La storia del diritto mostra che, dal secolo XVI — quindi nell’epoca moderna —, i modelli sono stati ricercati nell’antichità pre-cristiana, un tempo storico decisamente incisivo sull’elaborazione dell’immagine del cittadino. La ricerca della libertà è stata così condotta in favore dell’individuo, ossia di un uomo che agisce solo per sé stesso — in quanto unico soggetto responsabile — e che non si fida più d’altri, se non della propria volontà e del proprio discernimento privato. Da noi si dice: il francese ama tanto la libertà da volerla solo per sé… Hyppolite-Adolphe Taine, del quale non si può negare la perspicacia, del nostro Codice Civile disse: è stato fatto per un trovatello destinato a morire celibe… Il cittadino francese viene modellato dal diritto, in una visione legalistica dell’esistenza; l’isolamento è la caratteristica del cittadino-individuo moderno.
D. Il santo e il “cittadino” si pongono come contrastanti?
R. Sì, la solitudine e l’isolamento del cittadino si contrappongono al mondo del santo. Il santo, per esempio, è un tipo umano in grado di generare un ambiente: una famiglia, un monastero — che si fonda sul modello familiare —, oppure, talora, semplicemente un’influenza che riunisce altri attorno a sé e che lo costituisce punto di riferimento. Il santo svolge naturalmente il ruolo di “lubrificante”, richiamando molti… Il rapporto fra il santo e l’ambiente umano circostante — il popolo — è fondamentale e costituisce la vera dimensione democratica della vita. Non esiste santità non radicata in una vox populi, in un riconoscimento pubblico, come ha mostrato lo storico André Vauchez, in La santità nel Medioevo (trad. it., il Mulino, Bologna 1989). Si tratta di un fatto straordinario… Il fautore della democrazia moderna può, dunque, star tranquillo: i santi sono sempre stati inizialmente indicati e riconosciuti dalla gente comune. La santità emergeva proprio dal culto e dalla venerazione popolare tributata alla persona. Così, la condizione del santo — dell’uomo di fede — è completamente diversa da quella del cittadino moderno, creato dalla legge astratta. Ciò nonostante, quanti sono stati canonizzati fra i detentori di cariche o fra gli investiti di poteri pubblici, mostrano l’inesistente contraddizione fra la santità e l’essere cittadini autentici. I casi di san Tommaso Becket e di san Tommaso Moro, in Inghilterra, lo dimostrano: uomini santi, entrati in contrasto con il potere pubblico — quant’è difficile mettere in pratica l’evangelico “dare a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare”… —, ma santi indicatori anche dell’ordine di valori che un buon cristiano e un buon suddito devono rispettare. Se esiste pericolo di confusioni e di sovrapposizioni fra dimensione temporale e dimensione spirituale, san Luigi IX, re di Francia, e san Ferdinando III, re di Castiglia, mostrarono concretamente un’alternativa.
D. Il santo non è il “puro” o il “perfetto” del catarismo, né il tipo umano definito dal puritanesimo, eresie dominate dalla visione di un’utopistica e impossibile società terrena perfetta, caratterizzata dal misconoscimento dell’autentica concezione cristiana del peccato originale…
R. Il santo cristiano è l’uomo che vive di fede. Per esempio nel catarismo — ma non solo in esso — il “santo” viene presentato come un uomo puro in modo astratto e disincarnato, e giunge, a volte, anche alla follia… Vive un ruolo ideale, assunto freddamente: questa non è la santità cristiana. I santi cristiani sono spesso uomini comuni, magari assai modesti, uomini dai mille aspetti, viventi la santità soprattutto come amore: anzitutto saper amare sé stessi e aver coscienza dell’amore di Dio verso di noi; poi, amare tutto quanto conta nella vita, nonché il proprio prossimo come sé stessi e come Dio ci ama. Da questo deriva tutto il resto. La fede e la pratica delle “sètte” vengono vissute diversamente. Il santo cristiano non deve osservare “pratiche” particolari fini a sé stesse: studiando le vite dei santi cristiani si impara un fatto straordinario e sorprendente, ossia che non se ne trova uno uguale a un altro. Ogni santo lo è divenuto in modo diverso, a volte con una personalità propria ed estremamente forte. Un esempio evidente è quello di san Benedetto Giuseppe Labre, vissuto nel secolo XVIII, all’epoca della douceur de vivre, e che fece la figura del clochard. L’ambiente umano circostante, intanto, ne riconosceva la santità. Non esiste un modello uniforme per la santità, come esiste, invece, per il cittadino.
D. Qual è il rapporto fra il “cittadino” e l’ideologia democratica nata con la Rivoluzione francese, un avvenimento all’origine della nuova visione del diritto e dell’uomo stesso? Forse la democrazia rivoluzionaria e ideologica moderna — che spesso assume toni totalitari — soppresse la società dell’uomo di fede, la società dei focolari e delle famiglie?
R. Sì, ma teniamo presente che, anche durante l’”età della fede” — quell’epoca che inizia a declinare sensibilmente nei secoli XIV e XV —, vi furono momenti assai difficili, durante i quali si doveva avere basi particolarmente solide per salvaguardare e mantenere la fede; per esempio, nel momento in cui vi furono addirittura tre Papi contemporaneamente… Nel corso dei secoli XVI, XVII e XVIII la visione delle cose propria dell’epoca precedente venne morendo; la stessa idea di regalità mutò, in Francia, in modo sensibile: avevamo un re e, a partire da Francesco I, possiamo dire di aver avuto un monarca. Il monarca — a differenza del re — pretende di avere diritto sugli spiriti degli uomini, o diritto di nominare i vescovi e di designare i superiori dei monasteri: un fattore molto grave che configura quanto va sotto il nome di “assolutismo”. Si comprende bene, dunque, l’attesa di cambiamento da parte della popolazione e la necessità oggettiva di ritornare alla libertà concreta: aspirazioni esistenti alla vigilia della Rivoluzione, del resto degenerata molto rapidamente in qualcosa di diverso… Bisogna stare attenti a non caricare tutto sulle “spalle” della Rivoluzione francese, scordando il periodo precedente…
D. La qualità della vita sociale nel regime della democrazia moderna appare, dunque, diversa da quella propria della società delle famiglie?
R. Molto diversa. Per esempio, nell’epoca feudale, un servo della gleba vive su un fondo annesso alla proprietà padronale e sa che nessuno lo caccerà da tale fondo; anche se vi possono essere difficoltà, sa di poter vivere per sempre su questo suo piccolo terreno — quello che lui coltiva e che è annesso alla proprietà padronale —, il quale, dopo di lui, passerà ai suoi figli. Questo costituisce un fattore di sicurezza familiare e sociale.
D. Qual è l’importanza e qual è il ruolo svolto, nel Medioevo, dall’istituto familiare, soprattutto in rapporto alla santità?
R. Si possono individuare intere famiglie nelle quali la santità è quasi una caratteristica che si prolunga nel tempo. La famiglia reale d’Ungheria ne è un esempio straordinario: i primi santi furono re Stefano — Waïk, da pagano — e la madre Sarolta. Poi i numerosi discendenti — santi e sante, abitatori dell’intera Europa —, fino a sant’Agnese di Praga, canonizzata nel 1989, appena qualche giorno prima della liberazione della sua città e del crollo del Muro di Berlino. Vi sono anche esempi di santità domestica, come quella di santa Brigida di Svezia: una santa straordinaria che si sposò ed ebbe tutti i problemi caratteristici della sua condizione, per esempio con i figli; anche tutto questo fece parte della sua santità.
L’epoca medioevale è completamente estranea alle discriminazioni fra i sessi. Nell’Alto Medioevo vi furono ordini monastici duplici, con edifici, rispettivamente, per i monaci e per le monache; sane tradizioni riprese, per esempio, a cavallo dei secoli XI e XII, nel monastero di Fontevraud, fondato dal beato Roberto d’Arbrissel. Lì, la massima autorità era una badessa, denominata mater monasterii. Il termine mater richiama ancora una volta la struttura familiare, benché ampliata. La famiglia è una comunità umana dove ognuno ha un ruolo proprio; a quei tempi, non si parlava mai di un individuo senza riferirsi al gruppo di provenienza sociale originario, soprattutto la famiglia. Inoltre, la stabilità della famiglia spiega perché il giovane poteva godere di ampie libertà concrete: la famiglia stessa era un punto costante e saldo di riferimento.
Invece, l’epoca moderna — come ho detto — è caratterizzata dal legalismo e dalla conseguente perdita di libertà concrete.
L’atteggiamento medioevale è completamente diverso: non esisteva una legge astratta, ma usi e costumi concreti, regolatori della vita civile e sociale; la fede era un elemento essenziale per dare ragione dell’esistenza e della speranza. Dunque — come già ricordato —, non esistette un modello stereotipo di santità; vi furono figure del Nuovo e del Vecchio Testamento a cui ispirarsi, ma non un canone… La comunità — segnatamente quella familiare — è necessaria per lo sviluppo della persona: ciò che conta è il focolare. Esiste un magnifico documento, il Catasto fiorentino, oggetto di particolari studi d’ordine fiscale: mentre in Francia, oggi, dal punto di vista fiscale, i soggetti sono gli individui, nel documento citato i soggetti erano i focolari domestici, ossia le famiglie. Se ne desume che, a quei tempi, la famiglia costituiva il tessuto vivente della società, dunque il mezzo con cui il giovane poteva realmente raggiungere la propria maturità personale, oltre al fatto che, senza questo tessuto familiare, il giovane manca del necessario “nutrimento” per la crescita.
Invece, il cittadino compie il proprio dovere di stato… quando si reca a depositare la sua scheda elettorale nell’urna…
D. Quale ruolo svolse la famiglia nella realtà della società medievale?
R. Un ruolo enorme…
D. È possibile affermare che il discrimine fra la vita sociale e politica medievale e quella moderna è costituito dal ruolo — nella prima epoca centrale e nella seconda accessorio — dell’istituto familiare?
R. Certamente: questo è il punto cruciale. La nascita del cittadino e dell’individuo rappresenta la negazione dell’istituto familiare.
D. La dottrina sociale della Chiesa cattolica riconosce nella famiglia la cellula fondamentale di ogni edificio sociale e politico…
R. Forse questo rappresenta un resto del retaggio medioevale… Il giusto proposito dev’essere proprio quello di riscoprire il ruolo centrale della famiglia. Lo credo fermamente. È molto interessante rilevare le misure adottate nel Medioevo, nei confronti della famiglia, dalla Chiesa cattolica: per esempio, il consenso dei genitori al matrimonio dei figli non esiste più, dal secolo VIII in avanti. Il matrimonio è valido anche senza il consenso dei genitori, un fattore che indica reale e concreta libertà di scelta. Nel secolo XVI, al termine del Concilio di Trento, si restaurò la necessità del consenso dei genitori, anche sotto minaccia di scomunica: un fatto grave, all’origine di certe rivendicazioni di libertà. Molta gente pensa, al contrario, che nel Medioevo tutto dipendesse dall’alto… Tale epoca godeva invece di autentiche libertà, fondate — come ho detto più volte — sulla fiducia e sulla stabilità della famiglia, garante maggiore di libertà.
D. Il pregiudizio attuale sulla politica e sulla cosa pubblica afferma che queste importanti realtà sono corrotte moralmente e materialmente; se, da un lato, la corruzione materiale in quanto tale è propria — almeno potenzialmente — di tutte le epoche storiche e di tutte le realtà umane, dall’altro, l’epoca medioevale conobbe re e regine poi canonizzati anche per meriti raccolti con l’azione pubblica. Si può ben dire che la santità può essere frutto della carità politica…
R. Sì. Per esempio, re san Luigi IX di Francia ebbe un profondo senso della giustizia: nel 1247, apprestandosi a partire per la crociata e non volendo lasciarsi alle spalle alcuna ingiustizia, ordinò inchieste, affidate a frati che godevano della fiducia popolare. Avevano l’incarico di accertare i torti praticati dai funzionari regi a danno della gente; negli Archivi Nazionali di Parigi esistono ancora tutti i rapporti, nei quali accanto a fatti più gravi, si trovano anche lagnanze di poco conto. Il re fece sorvegliare i suoi stessi funzionari perché non commettessero abusi. Ancora, san Ferdinando III re di Castiglia si definì sovrano di tre religioni — la cristiana, l’ebraica e la musulmana —, rifiutando l’introduzione, in Spagna, del Tribunale dell’Inquisizione — un fatto mai ricordato —, per la ragione molto semplice che l’eresia manichea, combattuta in tale periodo, non si era ancora diffusa in quel paese. Nel secolo XVII, nell’epoca moderna, il re — in Francia definito “re cristianissimo” —, per esempio, soppresse l’Editto di Nantes, togliendo i diritti civili ai sudditi protestanti: questo fu un abuso politico nella sfera spirituale e sancì il principio moderno del cuius regio eius religio, ossia il fatto che la religione del monarca deve monoliticamente essere quella della popolazione. Vi sono altri numerosi esempi di re e di regine proclamati santi e sante, oltre a grandi esempi di impegno sociale e politico come santa Giovanna d’Arco e san Nicola di Flüe.
I re san Luigi IX e san Ferdinando III furono anche modelli di un’istituzione capace di modificare positivamente proprio il rapporto fra fede e diritto: la Cavalleria. Anche se vi furono cavalieri incapaci di onorare pienamente i solenni impegni del proprio stato, la Cavalleria obbligò a usare la spada solo in difesa della giustizia, del debole e della Chiesa. Esempi come Guglielmo il Maresciallo, Goffredo di Buglione e altri lo testimoniano bene. Si pensi che il genere letterario romanzesco — oggi tanto diffuso — nasce proprio per raccontare la Cavalleria e i suoi alti ideali, con la narrazione della storia di Parsifal — variamente nota come Le Roman de Perceval ou le Conte du Graal, Perceval le Gallois o Percevaus li Galois —, scritta da Chrétien de Troyes. Accanto al Cavaliere, poi, vi fu la figura della Dama — di colei che al Cavaliere porgeva la spada, assistendo al suo giuramento —, nonché, accanto ai re, regine forti.
A questo proposito, il cittadino moderno appare come un essere asessuato: la donna conta da quando le è stato accordato diritto di voto — ossia il cittadino è, in quanto tale, un “votante”, non importa di quale sesso —, mentre prima di acquisire tale diritto ella non conta semplicemente nulla.
D. Il tempo attuale è fortemente caratterizzato dallo scetticismo e dal razionalismo, che definiscono superstizione il “sacro”, la religiosità, la religione e il cristianesimo: è possibile, oggi, la santità, ossia la vita secondo la fede? È possibile proporre una qualità della vita — anche nelle sue importanti dimensioni politiche e sociali —, che tenga conto dell’orizzonte della fede e della fede incarnata nella cultura cristiana?
R. Sì, e — guardando il passato — ci si può convincere del fatto che alcuni santi si trovarono a vivere nelle condizioni più paradossali e più contraddittorie, proprio rispetto alla santità; per esempio, santa Giovanna d’Arco, a proposito della quale taluni si scandalizzano del fatto che sia divenuta santa essendo stata soldato. San Massimiliano Kolbe è, nell’epoca moderna, un altro santo esemplare, capace di fondare stazioni radiofoniche e periodici per l’apostolato: è conosciuto a livello internazionale… anche in Giappone…
Esiste una speranza, perché ogni ora è l’ora dei santi; l’epoca della vera fede è oggi: infatti, vi è maggior bisogno della fede in un momento come quello attuale, in cui tutto sembra vada in senso contrario alla fede stessa, e quando essa pare essere stata smarrita da tutti. Come ho accennato, mi sento di affermare che non esistono condizioni esteriori per la santità, se non quanto è stato rivelato dall’amore di Cristo venuto per tutti.
a cura di
Marco Respinti