Dall’incubo del mondo postmoderno, messo alla prova dal Covid-19, alla gloria di un rinnovamento fondato su Cristo, Parola amata, contemplata e applicata alla maniera di san Girolamo, in onore del quale il Papa promulga la lettera Scripturae Sacrae Affectus.
di Michele Brambilla
All’inizio dell’udienza generale del 30 settembre Papa Francesco riepiloga le tappe precedenti del ciclo dedicato alla dottrina sociale della Chiesa: «nelle scorse settimane, abbiamo riflettuto insieme, alla luce del Vangelo, su come guarire il mondo che soffre per un malessere che la pandemia ha evidenziato e accentuato. Il malessere c’era: la pandemia lo ha evidenziato di più, lo ha accentuato. Abbiamo percorso le vie della dignità, della solidarietà e della sussidiarietà, vie indispensabili per promuovere la dignità umana e il bene comune. E come discepoli di Gesù, ci siamo proposti di seguire i suoi passi optando per i poveri, ripensando l’uso dei beni e prendendoci cura della casa comune». Il Papa sottolinea in particolare il fondamento cristologico: «vorrei che questo cammino non finisca con queste mie catechesi, ma che si possa continuare a camminare insieme, “tenendo fisso lo sguardo su Gesù” (Eb 12,2), come abbiamo sentito all’inizio; lo sguardo su Gesù che salva e guarisce il mondo». Cristo, presente in ogni uomo e in ogni donna, specie tra i poveri e sofferenti, ci chiama a una radicale conversione: solo seguendo il progetto originario di Dio «potremo rigenerare la società e non ritornare alla cosiddetta “normalità”, che è una normalità ammalata» per motivi essenzialmente culturali. Secondo il Pontefice, non si può dire «“adesso torniamo alla normalità”: no, questo non va perché questa normalità era malata di ingiustizie, disuguaglianze e degrado ambientale», mentre «la normalità alla quale siamo chiamati è quella del Regno di Dio, dove “i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo” (Mt 11,5)».
Le ingiustizie che pervadono il mondo contemporaneo non sono connaturate alla creazione. La pandemia «ha messo a nudo la grande disuguaglianza che regna nel mondo: disuguaglianza di opportunità, di beni, di accesso alla sanità, alla tecnologia, all’educazione: milioni di bambini non possono andare a scuola, e così via la lista. Queste ingiustizie non sono naturali né inevitabili. Sono opera dell’uomo, provengono da un modello di crescita sganciato dai valori più profondi». La ricostruzione post-pandemica sarà un’ottima occasione per rivedere le storture del modello economico vigente, perché «[…] non possiamo aspettarci che il modello economico che è alla base di uno sviluppo iniquo e insostenibile risolva i nostri problemi. Non l’ha fatto e non lo farà, perché non può farlo». Anche la tecnica da sola non può salvare: «noi non potremo mai uscire dalla crisi che si è evidenziata dalla pandemia, meccanicamente, con nuovi strumenti». La tecnologia, avverte il Pontefice, può fare molte cose, ma non possiede quella che è una caratteristica distintiva dell’agire di Cristo, la tenerezza, considerare l’uomo senza appiattirlo su una sola dimensione.
Come rammenta il Santo Padre ai fedeli presenti nel Cortile di S. Damaso, Gesù ci parla ancora oggi attraverso le Scritture, di cui è stato un eccellente esegeta san Girolamo (345-420), al quale dedica proprio il 30 settembre la lettera apostolica Scripturae Sacrae Affectus. La cultura del grande dottore della Chiesa non era fine a sé stessa, ma destinata alla predicazione evangelica. La nuova evangelizzazione deve diventare una nuova inculturazione della fede.
Giovedì, primo ottobre 2020