Il Papa introduce i fedeli alla lettura del Salterio, del quale dice: «nei salmi troviamo tutti i sentimenti umani: le gioie, i dolori, i dubbi, le speranze, le amarezze che colorano la nostra vita».
di Michele Brambilla
Il 14 ottobre Papa Francesco scende nell’Aula san Paolo VI per iniziare l’udienza generale, dedicata al Salterio: «leggendo la Bibbia ci imbattiamo continuamente in preghiere di vario genere. Ma troviamo anche un libro composto di sole preghiere, libro che è diventato patria, palestra e casa di innumerevoli oranti. Si tratta del Libro dei Salmi. Sono 150 Salmi per pregare», inseriti dalla Chiesa nella liturgia delle Ore. Il Salterio «[…] fa parte dei libri sapienziali, perché comunica il “saper pregare” attraverso l’esperienza del dialogo con Dio. Nei salmi troviamo», infatti, «tutti i sentimenti umani: le gioie, i dolori, i dubbi, le speranze, le amarezze che colorano la nostra vita».
Il Papa cita in proposito il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC): «il Catechismo afferma che ogni salmo “è di una sobrietà tale da poter essere pregato in verità dagli uomini di ogni condizione e di ogni tempo” (CCC, 2588)». L’umanità del Salterio non è un concetto astratto: «in questo libro non incontriamo persone eteree, persone astratte, gente che confonde la preghiera con un’esperienza estetica o alienante. I salmi non sono testi nati a tavolino; sono invocazioni, spesso drammatiche, che sgorgano dal vivo dell’esistenza. Per pregarli basta essere quello che siamo». Il Santo Padre lo sottolinea con forza: «non dobbiamo dimenticare che per pregare bene dobbiamo pregare così come siamo, non truccati. Non bisogna truccare l’anima per pregare». Il Papa accoglie l’attribuzione tradizionale dei Salmi al grande re Davide: «Dio Padre, infatti, con il suo Spirito li ha ispirati nel cuore del re Davide e di altri oranti, per insegnare ad ogni uomo e donna come lodarlo, come ringraziarlo e supplicarlo, come invocarlo nella gioia e nel dolore, come raccontare le meraviglie delle sue opere e della sua Legge. In sintesi, i salmi sono la parola di Dio che noi umani usiamo per parlare con Lui», specie nei momenti più drammatici dell’esistenza.
Il pensiero del Pontefice vola al caso di don Roberto Malgesini, accoltellato a Como da un immigrato a cui era stato dato il decreto di espulsione: «prima di entrare in Aula, ho incontrato i genitori di quel sacerdote della diocesi di Como che è stato ucciso […]. Le lacrime di quei genitori sono le lacrime “loro” e ognuno di loro sa quanto ha sofferto nel vedere questo figlio che ha dato la vita nel servizio dei poveri». I Salmi esprimono le lacrime di tutti, che salgono al Signore: «tutti i dolori degli uomini per Dio sono sacri. Così prega l’orante del Salmo 56: “I passi del mio vagare tu li hai contati, nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non sono forse scritte nel tuo libro?” (Sal 56,9). Davanti a Dio non siamo degli sconosciuti, o dei numeri. Siamo volti e cuori, conosciuti ad uno ad uno, per nome».
«“Il Signore ascolta”: qualche volta», dice il Papa, «nella preghiera basta sapere questo», perché «la cosa peggiore che può capitare è soffrire nell’abbandono, senza essere ricordati. Da questo ci salva la preghiera. Perché può succedere, e anche spesso, di non capire i disegni di Dio. Ma le nostre grida non ristagnano quaggiù: salgono fino a Lui che ha cuore di Padre, e che piange Lui stesso per ogni figlio e figlia che soffre e che muore», come fece lo stesso Gesù davanti alla tomba dell’amico Lazzaro (Gv 11,35). Non si comprende l’Incarnazione fino a che non si focalizza l’immagine di Cristo che piange con noi, «perché Dio ha voluto farsi uomo – diceva uno scrittore spirituale – per poter piangere».
Giovedì, 15 ottobre 2020