Card. Carlo Caffarra, Cristianità, 368 (2013)
Relazione del card. Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, al Meeting dei docenti di Religione cattolica dell’Emilia Romagna tenutosi a Bologna il 26-4-2013, disponibile all’indirizzo <www.bologna.chiesacattolica.it/ arcivescovi/ caffarra/ 2013/ 2013_04_26.php> (consultato il 29-6-2013) e pubblicato parzialmente con il titolo Irc, come educare alla cultura cristiana in Bologna Sette, supplemento di Avvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica, Milano 28-4-2013.
L’Insegnamento della Religione Cattolica laboratorio di cultura e umanità
L’Insegnamento della Religione cattolica (IRC) si inserisce dentro l’istituzione scolastica con una sua precisa intenzionalità educativa. È di questa che vorrei parlarvi, nel primo punto della mia relazione.
1. Quando parliamo di intenzionalità educativa, parliamo di ciò che l’insegnante della Religione cattolica si propone di raggiungere col suo insegnamento specifico; parliamo dell’apporto specifico che l’IRC offre nell’edificazione delle personalità del ragazzo/giovane.
Premesso, una volta per tutte, che l’IRC non è un annuncio cherigmatico l’annuncio del Vangelo per condurre alla fede; premesso che non è neppure catechesi, istruzione cioè della fede, dobbiamo aver chiaro di conseguenza che l’intenzionalità educativa dell’IRC non consiste nel condurre alla fede o nel far crescere nella fede. Quale è dunque l’intenzionalità educativa dell’IRC?
La ragione per cui lo Stato italiano si è impegnato ad assicurare l’IRC è, se non vado errato, la seguente. La cultura, l’identità spirituale della nostra Nazione è del tutto incomprensibile se si prescinde dalla proposta cristiana.
Contro questo dato di fatto, specialmente negli ultimi due secoli, si è combattuto coll’intenzione di sradicare la nostra identità nazionale dal cristianesimo. Anche se una tale operazione avesse successo, resterebbe comunque necessario conoscere l’identità precedente, in quanto la nuova sarebbe nata come contraria alla precedente.
Ma a questo punto della mia riflessione, devo fare alcune considerazioni di carattere più generale.
La proposta cristiana si è sempre offerta a chi ascolta come il rapporto con una persona, Gesù Signore risorto; un rapporto di tale natura che genera una nuva persona umana. La proposta cristiana, cioè, non si è esibita in primo luogo come una dottrina religiosa o come un codice morale. Si è più semplicemente presentata come la narrazione di un fatto, il cui significato riguarda ogni persona umana, in tutte le dimensioni del vivere umano, in ordine alla sua salvezza eterna.
La fede, intesa come apertura docile alla proposta cristiana, introduce nella persona umana un nuovo modo di vedere e capire la realtà, nuovi criteri valutativi, stili di vita conseguentemente nuovi.
Questa “rivoluzione” che accade nella nostra persona, non la riguarda solamente come individuo. L’individuo è un’astrazione; non esiste. Esiste la persona sempre inserita in un complesso di relazioni. La persona umana è costitutivamente sociale. La novità che la proposta cristiana introduce nella persona, diventa anche un fatto socialmente condiviso; dà origine anche ad istituzioni. In una parola: genera una cultura. Ed è la cultura che crea la configurazione ad un popolo.
Concludo queste considerazioni generali. In sostanza, ho detto che la proposta cristiana rigenera non solo le persone, ma anche i popoli che l’hanno accolta. Esistono non solo i cristiani, ma anche i popoli cristiani.
Prima di proseguire vorrei farvi un esempio, desunto da un fatto culturale realmente accaduto; spero così che le considerazioni generali fatte sopra risultino più chiare.
Il “centro” della proposta cristiana è che Dio si prende cura di ciascuna persona umana. Una volta che la fede ha convinto l’uomo di questo fatto, egli ha concluso che agli occhi di Dio è qualcuno di molto importante, di molto prezioso. La fede cristiana ha prodotto un fatto culturalmente di importanza decisiva: la coscienza della dignità della persona. Fuori dell’influsso della proposta cristiana questa consapevolezza era ed è assente. Ed è questa consapevolezza uno dei pilastri delle democrazie. Gli esempi come questo potrebbero continuare.
Abbiamo dunque richiamato due fatti: a) la fede genera cultura; b) la cultura in cui è nata la Nazione italiana è la fede cristiana.
Sono ora in grado di rispondere alla domanda: quale è l’intenzionalità educativa dell’IRC? Rispondo dicendo che essa consiste nell’aiutare i ragazzi/i giovani ad avere una consapevolezza più netta della propria identità, dell’identità del popolo in cui vivono. In parole più semplici: far conoscere la cultura cristiana. E ciò mediante, se così posso dire, un discorso bi-polare: non si può conoscere la cultura cristiana se non si conosce la dottrina cristiana; non si conosce la potenzialità della dottrina se non si conosce la cultura.
Farei due aggiunte per completare l’esposizione dell’intenzionalità educativa dell’IRC. La prima è aiutare i giovani ad una sintesi oggi sempre più difficile: la sintesi fra ciò che hanno imparato al catechismo e ciò che vanno apprendendo a scuola, soprattutto nell’ambito scientifico. La seconda è aiutare i giovani ad uscire dalla loro spaventosa ignoranza della fede cristiana.
2. Nel secondo punto vorrei rispondere ad una seconda domanda: è possibile instaurare un vero dialogo con i giovani su questi problemi?
Dobbiamo, come educatori, avere una conoscenza reale dell’interlocutore, della sua condizione spirituale. Devo essere breve, e mi limiterò ad alcune considerazioni generali, al riguardo.
Ci troviamo di fronte a persone che normalmente sanno fare un uso della propria ragione assai limitato. È questa una fragilità, una debolezza che può causare una vera devastazione della loro umanità. È una malattia assai difficile da guarire. Non rinunciate almeno a tentare.
Ci troviamo di fronte a persone che vivono in condizione di grave sofferenza interiore: non lasciatevi ingannare dall’apparenza. La sofferenza è dovuta al fatto che noi adulti li abbiamo derubati del loro bene più prezioso: la speranza. Il futuro, normalmente, li spaventa.
È possibile con un tale interlocutore realizzare quella intenzionalità educativa di cui ho parlato? Mi sento di rispondere affermativamente. Per una certezza di fede.
Il paesaggio spirituale del giovane può essere devastato da continui tsunami, ma resterà sempre nel cuore il richiamo a quel Dio di cui l’uomo è l’immagine e somiglianza. Ma la realizzazione di quella finalità educativa può avvenire ad alcune condizioni.
La prima è riuscire a far emergere nella coscienza del ragazzo /del giovane la domanda del senso della vita.
La seconda è che l’interlocutore abbia fatto veramente una scelta libera. Su questo punto mi sembra che dovete essere molto rigorosi e chiari coi genitori quando trattasi di minorenni, e coi vostri alunni quando sono maggiorenni.
La terza è che la vostra proposta deve avere una sua logica, ed una sua coerenza interna. Non si educa facendo scegliere ai ragazzi ciò di cui parlare. È un punto fondamentale. La proposta cristiana è molto esigente anche sul piano culturale. Per essere accolta non basta…cantarla come uno canterebbe una canzone ad orecchio. Esige di essere conosciuta nel suo intero spartito: nel suo tema centrale e negli sviluppi del tema. Fuori metafora: chiede un discorso logico e ben ordinato.
La quarta è che vi serviate molto dell’arte cristiana. L’opera d’arte coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, ed è una delle sintesi più perfette della fede cristiana e dell’esperienza umana. L’arte cristiana è il vertice della cultura cristiana.
3. Vorrei, infine, riflettere brevemente su un fatto di grande rilevanza per la vostra missione educativa: il fatto che la svolgete in nome della Chiesa. Che cosa significa e quale è la sua importanza?
Significa in primo luogo che non trasmettete una proposta, un pensiero vostri. Trasmettete il pensiero della Chiesa. Su questo siate molto rigorosi con voi stessi.
Qualche collega potrebbe pensare o perfino dirvi che in quanto tali, cioè in quanto svolgete la vostra missione in nome della Chiesa, non avete il diritto di insegnare essendo la scuola dello Stato neutrale o laica.
Esistono due forme di laicità: una escludente, l’altra includente. La prima pensa la laicità come una forma di convivenza dalla quale devono essere escluse tutte le visioni della vita, rendendo lo spazio pubblico privo di qualsiasi progetto di vita buona. È l’affermazione della sovranità della tecnica anche nell’affrontare i problemi più seri della vita associata. La seconda pensa la laicità come una forma di convivenza nella quale, presupposta l’accettazione di alcuni beni umani fondamentali tutelati da alcune regole primarie, ogni proposta di vita, ogni visione del mondo ha diritto di essere offerta nello spazio pubblico, purché si faccia uso del solo strumento della ragione nell’argomentarla. Orbene, in questi ultimi decenni si è costatato che la prima concezione di laicità è incapace di rispondere ai gravi problemi che oggi la convivenza fra le persone pone.
Questa riflessione, assai schematica, ci aiuta a capire ancora più profondamente il significato del fatto che svolgete la vostra missione educativa in nome della Chiesa. Voi introducete nell’edificazione delle giovani generazioni una proposta educativa vera e forte. Se il vostro insegnamento si riducesse ad insegnare regole di comportamento; ad essere semplicemente risposte a singole domande settoriali, verreste meno al vostro essere nella scuola in nome della Chiesa.
Voi educate proponendo alla considerazione del ragazzo e del giovane una visione completa e organica della vita; una fede che genera una cultura. Per la natura stessa della proposta voi otterrete almeno due risultanti. Il primo di educare i ragazzi a porsi le grandi domande della vita; il secondo a liberarsi dalla schiavitù di sua maestà l’emotività. Una schiavitù che può giungere fino al punto di calpestare o semplicemente ignorare “id quod est potissimum in nomine”, direbbe Tommaso d’Aquino: la ragione.
4. Concludo. È indubbio che la scuola è andata assumendo un profilo tecnico sempre più marcato; si è andata configurando sempre maggiormente come trasmissione del know how, come oggi si dice.
Non c’è dubbio che la cosa ha una sua ragione condivisibile.
“Il punto è piuttosto valutare le possibili conseguenze di lungo termine di un’impostazione che rischia di privilegiare in maniera unilaterale la dimensione tecnica, escludendo in modo intenzionale il piano culturale, morale e valoriale che trova nella tradizione il suo alveo naturale” (M[auro]. Magatti, La grande contrazione, Feltrinelli, Milano 2012, p. 323).
La vostra presenza nella scuola la difende dalla deriva tecnocratica, perché tiene desta la capacità della ragione di non limitarsi al “come fare”, ma di chiedersi “perché fare”; tiene desta la domanda sulla verità e sul senso della vita.
+ Carlo Card. Caffarra
Arcivescovo di Bologna