Mons. Jean Laffitte, Cristianità, 368 (2013)
Intervento tenuto il 9-3-2013 da S. E. mons. Jean Laffitte, segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, presso la Student Union Hall del St. Mary’s University College a Twickenham (Regno Unito) e qui pubblicato con la cortese autorizzazione dell’autore. La traduzione e le inserzioni fra parentesi quadre, sia nel testo sia nelle note, sono redazionali.
Il matrimonio e la famiglia in una cultura relativistica
Il tema che mi è stato affidato riguarda l’istituzione familiare, che incontra difficoltà e sfide tali da non poter essere previste trenta o quarant’anni fa. Vi sono molti modi in cui il problema della famiglia può essere esaminato: un modo secolare e uno specificamente cristiano.
Il primo trovava in passato la sua ispirazione nel punto di vista della legge naturale, fondamento tanto del diritto romano che del common law: per la società, matrimonio designava un’unione stabile, liberamente accettata, fra un uomo e una donna, allo scopo di fondare una famiglia. La condivisione da parte degli sposi delle loro due esistenze supponeva l’accettazione di un certo numero di realtà: una buona disposizione ad accogliere e ad allevare i figli e a corrispondere alle loro necessità. In Paesi dove esisteva, a causa di ragioni storiche, una duplice tradizione, religiosa e civile, espressa dall’esistenza di un matrimonio religioso a fianco di uno civile, questa disparità non implicava alcuna difficoltà circa il contenuto in sé di ciò che era contratto: un impegno reciproco a una vita comune, per tutta la vita di ciascuno dei contraenti.
Il secondo modo considera e si concentra soprattutto sul mistero dell’amore coniugale e familiare, quando esso è impregnato dell’amore di Dio mediante i sacramenti. Questo è sempre stato l’approccio tradizionale della Chiesa fino alla Gaudium et Spes (1). Rivolgendosi ai suoi figli battezzati, la Chiesa necessariamente parla di un’economia della grazia radicata nel battesimo e riversata attraverso il matrimonio sacramentale. Se avessimo la curiosità di esaminare il dibattito inter-ecclesiale relativo al matrimonio prima degli anni 1960, potremmo osservare l’agglomerarsi di questioni relative all’unità del matrimonio, alla fedeltà, alla fertilità e all’educazione cristiana dei figli, tutte accompagnate dal richiamo ai mezzi classici di santificazione: preghiera e sacramenti e, in particolare, l’eucaristia domenicale. Naturalmente una certa innovazione era già apparsa con Pio XI [1922-1939] quando parlò, nella Casti connubii (2), della santificazione degli sposi, rivolgendo così l’attenzione alle persone contraenti, e non più esclusivamente alla res sacramentale. In tutto ciò, tuttavia, riconosciamo che il matrimonio non interessava il teologo e il moralista se non nella misura in cui aveva conseguenze canoniche.
I. L’attuale contesto della cultura relativistica
Nessuno avrebbe mai immaginato che ciò che era accettato dalla maggior parte delle culture riguardo alla definizione di matrimonio sarebbe stato presto oggetto di una riconsiderazione radicale. Possiamo osservare che tali convinzioni di tempi che furono non esistono più e quindi, in quasi tutte le culture, la Chiesa ha di fronte sfide che erano inconcepibili cinquant’anni fa. Desidererei sottolineare che questa osservazione preliminare non è in alcun modo teoretica, ma è un fatto pratico che ciascuno di noi sperimenta nella vita quotidiana. Tutti ne abbiamo conoscenza, o nella nostra famiglia o nelle famiglie di persone amiche che vive la realtà del matrimonio e della famiglia in mezzo alle prove e alla fragilità dovute a un certo contesto culturale nocivo.
Nel recente Sinodo, tenuto a Roma in ottobre [2012] sull’argomento della nuova evangelizzazione, molti vescovi hanno menzionato ciò che considerano il problema principale dell’istituzione familiare: non vi sarà nuova evangelizzazione senza una forte azione pastorale nella direzione delle famiglie. Poche settimane or sono, in occasione degli auguri natalizi alla Curia Romana, Papa Benedetto XVI [2005-2013] si è espresso con eccezionale gravità, affermando: “Il rifiuto del legame umano, che si diffonde sempre più a causa di un’errata comprensione della libertà e dell’autorealizzazione […] significa che l’uomo rimane chiuso in se stesso e, in ultima analisi, conserva il proprio “io” per se stesso, non lo supera veramente. Ma solo nel dono di sé l’uomo raggiunge se stesso, e solo aprendosi all’altro, agli altri, ai figli, alla famiglia, solo lasciandosi plasmare nella sofferenza, egli scopre l’ampiezza dell’essere persona umana. Con il rifiuto di questo legame scompaiono anche le figure fondamentali dell’esistenza umana: il padre, la madre, il figlio; cadono dimensioni essenziali dell’esperienza dell’essere persona umana” (3).
Nel messaggio finale emesso a conclusione della XIII Assemblea Generale del Sinodo, il 26 ottobre 2012, il Papa aveva già dedicato un’intera sezione al soggetto della famiglia. Egli ha detto: “Non si può pensare una nuova evangelizzazione senza sentire una precisa responsabilità verso l’annuncio del Vangelo alle famiglie e senza dare loro sostegno nel compito educativo” (4). Potrei fornire tanti altri esempi della convinzione del Pontefice che la nuova evangelizzazione richieda un’azione pastorale incentrata sulla famiglia.
Evangelizzare è la sola risposta appropriata al relativismo corrente. Come scrive Michelle Borras [direttrice del Catholic Information Service], “viviamo in un mondo pieno di quella “tristezza interiore” che descrive Papa Benedetto, quando l’uomo sembra sempre più tormentato “nella sua hybris di potere, nella sua vacuità di cuore e nel suo desiderio di soddisfacimento e di felicità”. Soprattutto, viviamo in un mondo che sembra aver dimenticato che al di là dei momenti di felicità effimeri che talvolta visitano chi è fortunato, vi è qualcosa come la gioia durevole e incrollabile. In questo tipo di mondo, ciò di cui abbiamo bisogno più di qualunque altra cosa, è di sperimentare la gioia di essere definitivamente amati e di amare definitivamente. E coloro che hanno incontrato un tale amore hanno bisogno di comunicarlo. Questa è l’evangelizzazione: la comunicazione, nelle parole e nella vita, nella preghiera e nel silenzio, nell’azione e nella sofferenza, di un amore che abbraccia l’uomo e allo stesso tempo lo sorpassa infinitamente, e quindi di gioia“ (5).
Il secondo elemento, che mi sembra cruciale, è la diffusione estremamente rapida nel mondo di leggi che minacciano la sopravvivenza stessa della famiglia, a causa della diffusione dell’ideologia di genere e della negazione del carattere originario ed essenziale della complementarità sessuale. Negli anni passati ho avuto l’occasione d’indicare alcuni aspetti antropologici che l’ideologia di genere implica. Mi sono chiesto talora se il mio approccio non fosse eccessivamente negativo o pessimistico. Vi debbo dire oggi che l’evoluzione negli scorsi tre anni è stata molto più grave e rapida di quanto avrei pensato. Mi riferisco alla generalizzazione, in vari Paesi, di unioni fra persone dello stesso sesso, unioni che sono abusivamente chiamate matrimoni. I Paesi, come questo [Regno Unito] e il mio, debbono sempre più far fronte alla nuova legislazione. Come sapete, entrambi hanno adottato, nei loro rispettivi parlamenti, una legge sui matrimoni omosessuali. Durante questi ultimi anni ho avuto l’opportunità di visitare molti Paesi che sono stati obbligati ad affrontare l’ideologia di genere. Naturalmente, pochi anni fa, quando si parlava di relativismo circa la differenziazione sessuale, si poteva osservare l’intenzione di banalizzare l’esercizio della facoltà sessuale fra persone dello stesso sesso; mentre i pastori e i moralisti vi vedevano la violazione di un tabù morale che fino agli anni 1990 considerava le relazioni omosessuali una trasgressione a livello morale. A quell’epoca, la diffusione di comportamenti che esprimevano relativismo etico e sui quali Papa Benedetto XVI aveva in molti casi messo in guardia, cominciò a esercitare la sua influenza e a far pagare il suo pedaggio nella moralità pubblica e nella società in generale.
Per farla semplice, l’aspetto trasgressivo era predominante. Era dunque del tutto naturale che gli antropologi e i moralisti, compresi i moralisti cristiani, se ne interessassero, e pure i pastori, che hanno anche il compito di aiutare i fedeli a distinguere fra bene e male. Tutti questi aspetti del problema sono oggi immutati. Tuttavia, la questione diventa estremamente complessa e preoccupante quando a questa trasgressione è dato un rilievo giuridico, il che fa del problema un novum assoluto, un unicum che invade vari campi della vita sociale: il campo relazionale, quello politico, quello delle istituzioni, solo per citarne alcuni. La natura accelerata di questa innovazione — dare riconoscimento legale alle unioni omosessuali — ci conduce a chiederci se vi sia un disegno deliberato a favore di culture trasversali e, alla fine, volto a imporre una nuova morale e una nuova organizzazione di vita nella società. Consentitemi di spiegare il carattere accelerato cui ho fatto cenno precedentemente: tutti ricordano la dichiarazione del vicepresidente degli Stati Uniti [Joe Biden] quando voleva il riconoscimento del cosiddetto matrimonio omosessuale su tutto il territorio degli Stati Uniti. Alcuni commentatori pensarono che fosse una sorta di disegno non intenzionale, un errore grossolano. Tuttavia, dopo l’elezione, tutti hanno notato i ringraziamenti espressi dal presidente rieletto e indirizzati alle minoranze, fra cui la minoranza degli omosessuali. Gli omosessuali sono stati dunque considerati un gruppo a parte. Per la prima volta a un gruppo di cittadini è stato dato un riconoscimento pubblico per nessun’altra ragione che il suo orientamento sessuale.
Ho avuto due opportunità di recarmi in Argentina. La prima volta sono riuscito a incontrare molti deputati, che mi hanno fatto rilevare che per la prima volta il governo aveva fatto uso di un argomento legale che sembrava loro impossibile contraddire, l’argomento dell’uguaglianza, per giustificare l’iniziativa di una legge totalmente rivoluzionaria nell’America Meridionale, una legge che aveva lo scopo di istituire un “matrimonio” fra persone dello stesso sesso. L’espressione usata dal governo della signora Cristina [Fernández de] Kirchner era: “el matrimonio igualitario”, ovvero “il matrimonio ugualitario”. Questi parlamentari comprendevano perfettamente che il principio di uguaglianza è quasi infallibile, in quanto fornisce una base legale che permette di marginalizzare l’opposizione a una tale legge. Dopo il primo viaggio riuscii a spiegare a diversi vescovi del mio Paese — insieme alle associazioni familiari durante la loro visita a Roma — che, dopo un posticipo di alcuni mesi, l’argomento dell’uguaglianza sarebbe stato utilizzato in molti Paesi europei, iniziando dalla Francia. Ho anche tentato con loro d’immaginare come questo concetto sarebbe stato tradotto in francese. Devo ammettere che, al momento, non avevo immaginato l’espressione che divenne un vero slogan in Francia nel giro di solo poche settimane: “matrimonio per tutti”, un’espressione assai più seducente che nell’originale spagnolo! Come senza dubbio sapete, questa legge è stata approvata tre settimane fa dall’Assemblea Nazionale, nonostante la straordinaria manifestazione di oltre un milione di persone avvenuta lo scorso 13 gennaio. Permettetemi di sottolineare che nella medesima settimana allo stesso progetto capitò di essere approvato dal parlamento britannico attraverso una proposta del governo conservatore, causando la reazione della Conferenza Episcopale [d’Inghilterra e Galles], il cui vicepresidente ha osservato: “Il matrimonio è essenzialmente coniugale e sociale, e deriva il suo significato dal suo ruolo di fondamento della famiglia. Il matrimonio unisce marito e moglie in un legame per la vita, che è ulteriormente rafforzato, nella maggior parte dei casi, dal loro ruolo di padre e di madre, e per mezzo del quale riconoscono la loro responsabilità in questioni riguardanti la procreazione e l’educazione dei loro figli. Di conseguenza, una significativa riduzione dell’essenza del matrimonio come istituzione influenzerà il benessere dei bambini, della famiglia e della società” (6).
E cosa diremo della minaccia che il primo ministro [David Cameron] di quel Paese ha rivolto ai Paesi africani di abolire ogni aiuto economico se i loro funzionari governativi non faranno passi per assicurare alle persone omosessuali gli stessi diritti delle altre riguardo non solo al comportamento, ma anche alla capacità di contrarre un matrimonio con persone dello stesso sesso? Io ribadisco che la decisione del governo d’imporre questo “mariage pour tous” ha qualcosa di totalmente irrazionale, perché il numero di persone interessate è meno dello 0,20 per cento della popolazione, meno di una persona su cinquecento.
Rivolgiamo ancora una volta la nostra attenzione all’Argentina, che ho visitato ancora tre mesi fa. Nella città di San Luis è stato realizzato un meeting con la partecipazione di tremila persone, fra coppie e famiglie. Dialogando con loro, ho percepito come siano state disastrose le conseguenze della legge sul “matrimonio igualitario” negli ultimi due anni. Attraverso la loro testimonianza ho potuto valutare che la legge non solo aveva diviso i cittadini, ma anche grandemente indebolito l’unità all’interno delle famiglie stesse: tutti dicono che è diventato impossibile parlare di questo problema in famiglia, perché i ragazzi nei collegi e nelle università sono soggetti a una propaganda instancabile. Se avete occasione di andare a Buenos Aires, sarete accolti da enormi cartelloni pubblicitari con le scritte: “Argentina, un paese ugualitario”, oppure “Argentina, un paese inclusivo”.
Se cito in modo dettagliato questi accadimenti di cui ho fatto esperienza, è precisamente per illustrare questo fatto: l’istituzione di un “matrimonio ugualitario” è il punto centrale di un vero progetto rivoluzionario che cerca di capovolgere le strutture più essenziali della vita sociale. Riguardo allo stesso progetto nel mio Paese, posso solo citare la signora Christiane Taubira, ministro della Giustizia, la quale ha affermato che il cosiddetto “mariage pour tous” fu pensato come un vero cambiamento di civiltà. Non possiamo vedere in questi episodi solo dei fatti casuali. In verità, questi sono i fondamenti di un sistema morale alternativo, chiamato anche “consenso morale”, che sarà stabilito pienamente dopo la completa distruzione dell’unità familiare come è stata intesa per secoli e attorno a cui si è gradualmente costruito e consolidato l’edificio sociale delle società più avanzate. Altre misure di carattere più aneddotico contribuiscono a questo tentativo. Citerò solo la volontà di mettere bambini di due anni negli asili infantili e, per citare la signora Aurélie Filippetti, ministro della Cultura e della Comunicazione, cioè ministro per la Famiglia nel mio Paese, di “strappare loro ogni possibile determinismo sociale, filosofico, familiare e religioso”. Potrei fornire molti esempi ancora.
Prendiamo in considerazione un altro continente e focalizziamo la nostra attenzione sulla situazione delle Filippine, dove, nonostante l’eroica resistenza dei vescovi, è stata imposta la legge conosciuta come Reproductive Health Bill. Questa legge non solo provvede alla distribuzione di preservativi alla popolazione in speciali centri medici rurali presenti nei villaggi, ma comprende anche lezioni per ragazzi dai dieci anni in avanti. Particolarmente significativo è il fatto che è proibito ai ragazzi portare a casa il materiale educativo, perché i genitori potrebbero non essere d’accordo con i contenuti! I vescovi filippini hanno formulato la loro visione della “cultura della morte” con l’acronimo Death: D = Divorce, E = Euthanasia, A = Abortion, T = Total Population Control, H = Homosexual Unions.
Per quello che riguarda l’Europa, potrei parlare anche della situazione di Malta, che è uno dei tre ultimi Paesi veramente cattolici in Europa. Vi ho fatto visita lo scorso ottobre. I capi dei movimenti familiari mi hanno detto che il Paese in un anno era praticamente cambiato e che molti membri del parlamento avevano già dichiarato il loro sostegno a una legge istitutiva del “matrimonio” fra persone dello stesso sesso. Chiunque conosce Malta è in grado di stimare l’enormità di questo cambiamento per quel Paese.
Ho poco tempo per fare cenno alla secolarizzazione accelerata della Polonia a partire dalla tragica scomparsa del suo presidente [Lech Aleksander Kaczyński (1949-2010)], tre anni fa. Vi sono voci, laggiů, che condannano pubblicamente le tradizionali intese di quel paese con la Sede Apostolica, cioč il concordato. Mentre per l’Irlanda è inutile menzionare gli atroci scandali di cui quel Paese è stato testimone; ma è impossibile per chiunque non considerare il carattere ingiusto e diffamatorio delle accuse presentate pubblicamente da funzionari politici di rango elevatissimo contro la Sede Apostolica e il Successore di Pietro in relazione a tali questioni penose. Spero che tutti questi esempi abbiano reso possibile comprendere la radicale trasformazione di civiltà che stiamo attraversando. Risposte appropriate a questa sfida, insieme a un genuino ministero per la famiglia e a un discernimento vigile, riguardano il profondo lavoro di formazione che ci può aiutare a decifrare i segni dei tempi e a far sì che i giovani, le coppie e le famiglie siano in grado di resistere.
A questo punto, vorrei tornare all’espressione “cultura relativistica” usata nel titolo di questa relazione. Essa si riferisce a quel liberalismo morale che implica una concezione di libertà assoluta. “Cultura relativistica” si riferisce qui a una società permissiva dove sono esaltati valori parziali o soggettivi, fra cui — in aggiunta a una nozione di libertà senza limiti — vi è la ricerca del benessere nel senso edonistico del termine, l’eliminazione delle norme morali, insieme a una visione confusa nella sfera religiosa. In parole povere, vi è una rigida separazione fra libertà e natura, intendendo con questo termine quella materia sempre più ignorata e screditata, a vantaggio della quale possiamo proporre una definizione di “relativismo” come negazione, sia intenzionale sia non intenzionale, della legge morale naturale.
Il 5 ottobre 2007, in un discorso ai membri della Commissione Teologica Internazionale, il Papa ha affermato: “Se per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo e il relativismo etico giungessero a cancellare i principi fondamentali della legge morale naturale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe ferito radicalmente nelle sue fondamenta. […] Quando sono in gioco le esigenze fondamentali della dignità della persona umana, della sua vita, dell’istituzione familiare, dell’equità dell’ordinamento sociale, cioè i diritti fondamentali dell’uomo, nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal Creatore nel cuore dell’uomo, senza che la società stessa venga drammaticamente colpita in ciò che costituisce la sua base irrinunciabile” (7).
II. Attenzione al matrimonio e alla famiglia nel contesto relativista
Penso sia utile iniziare con un testo che, secondo me, mantiene tutta la sua rilevanza, come si è evidenziato due anni fa nelle celebrazioni del trentesimo anniversario dell’esortazione apostolica Familiaris consortio (8) [del beato Giovanni Paolo II (1978-2005)], del 22 novembre 1981. Il 13 maggio 1981, pochi mesi prima della pubblicazione della Familiaris consortio, il Papa, come ben sappiamo, fu vittima del tentativo di assassinio da parte di Ali Agca. Non tutti però sanno che, durante l’udienza generale, il Papa doveva annunciare due iniziative: l’istituzione del Pontificio Consiglio per la Famiglia e la fondazione di un istituto accademico per gli studi sul matrimonio e sulla famiglia. Mentre il primo doveva occuparsi della cura pastorale di questi argomenti, l’altro si proponeva di approfondire i fondamenti del matrimonio e della famiglia con un approccio multidisciplinare comprendente le prospettive filosofiche, sacramentali, morali, bibliche, giuridiche e specialmente antropologiche. Questo è diventato il famoso Istituto Giovanni Paolo II, diffuso in tutti i continenti attraverso la creazione di varie sezioni periferiche.
Per completezza, ricordo che lo stesso giorno il Papa, pranzando con il professor Jérôme Lejeune [1926-1994], evocò con lui la necessità, per la Chiesa, di fondare una struttura dedicata in particolare alla difesa e alla promozione della vita umana. Quest’idea diede origine alla Pontificia Accademia per la Vita.
In breve, possiamo dire che, nel 1981, colui che voleva essere ricordato come il “Papa della famiglia” dotò la Chiesa degli strumenti necessari per coordinare la sua attività pastorale a favore delle istituzioni del matrimonio e della famiglia. Questa azione pastorale è stata condotta con intensità fino ad oggi, e per molti anni, da Papa Giovanni Paolo II e successivamente da Papa Benedetto XVI. Se consideriamo le riforme legislative che ho appena menzionato, notiamo il carattere profetico dell’intenzione di approfondire la dimensione antropologica della questione. Qual è il ruolo del vescovo? La persona principalmente responsabile nelle diocesi per la cura pastorale della famiglia è il vescovo (9). Nel 1981 il Papa ha parlato della famiglia come di un settore prioritario della cura pastorale. Nel 1995 ha usato parole ancora più forti, dicendo che la famiglia non è un’opzione del ministero pastorale, ma la sua dimensione primaria. Egli chiederà che, nella formazione dei futuri sacerdoti, la cura pastorale per le famiglie sia considerata una parte essenziale del cursus di formazione dei seminaristi (10).
Dobbiamo riconoscere che questo tema non è stato ancora assorbito dappertutto come parte essenziale della formazione. Non possiamo più considerare la famiglia semplicemente come un campo indipendente e opzionale dell’azione pastorale della Chiesa. Per offrire un servizio pastorale adeguato e fondamentale è necessario che i pastori abbiano un’idea adeguata della famiglia e del matrimonio su cui si basa.
Parlando delle diocesi, Papa Giovanni Paolo II ha sollecitato la disponibilità del vescovo ad assicurare la presenza di una vera famiglia diocesana. Questa espressione del Papa mi fa pensare a quella usata dai padri sinodali per definire la Chiesa africana, cioè “Famiglia di Dio” (11). Entrambe le formule indicano che la famiglia partecipa primordialmente al mistero della Chiesa.
Possiamo comprendere perché l’insegnamento e il consiglio dei vescovi devono essere sempre in armonia con l’autentico Magistero della Chiesa. Nella Familiaris consortio il Papa nota che questa fedeltà consente ai sacerdoti di mantenere l’unità nel modo in cui giudicano e ciò preserva i fedeli dall’avere dubbi di coscienza nell’applicare la fede alla propria vita. Sappiamo che l’insistenza sulla necessaria unità di tutti i pastori “cum Petro et sub Petro” non è un’esigenza retorica. I fedeli e tutte le persone di buona volontà si accorgono immediatamente quando ciò che s’insegna non è basato, con sicurezza e con fedeltà, sull’insegnamento autorevole della Chiesa sulle questioni connesse alla vita della coppia e delle famiglie. Prendete per esempio le questioni dell’indissolubilità del patto coniugale e della connessa fedeltà, del lodevole esercizio dell’amore fra gli sposi, della sacramentalità dell’amore coniugale radicata nel comune battesimo, della trasmissione della fede ai figli e di altri aspetti.
Solo un’osservazione: nell’espressione “adeguata cura pastorale per il matrimonio e per la famiglia”, il termine “adeguata” non è utilizzato principalmente in senso morale, ma solo in riferimento a una frase usata spesso dal beato Giovanni Paolo II parlando del progetto di Dio per il matrimonio e per la famiglia: “consilium Dei matrimonii ac familiae” (12).
Evocando l’attuale trionfo dell’ideologia di genere, mi sono riferito alla sua diffusione trasversale mediante lobby, gruppi e movimenti che si trovano principalmente nei Paesi occidentali. Mi piacerebbe dire qualche parola sul contesto geografico e geopolitico: vi sono, infatti, diversi contesti ecclesiali, sociali e culturali. In Paesi di tradizione cristiana dovremmo operare una distinzione fra quelli dove questa tradizione è ancora viva e quelli dove sta perdendo forza. Nel primo gruppo possiamo includere, nel continente asiatico, le Filippine e la Corea del Sud; in India, il Kerala, la provincia di Goa e le vaste comunità cristiane delle parrocchie di Mumbai [già Bombay]; in Africa, la maggioranza dei Paesi di lingua francese; sul continente americano potremmo citare il Messico, numerose parrocchie negli Stati Uniti, la maggioranza dell’America Centrale (Guatemala, Costa Rica) e, naturalmente, in America Meridionale, il Cile, il Perù, il Brasile e così via. Nel secondo gruppo possiamo includere i Paesi europei di tradizione cristiana di antica data — Spagna, Francia, Italia, Portogallo —, i Paesi concordatari di lingua tedesca — Austria e Germania —, la Slovacchia, l’Irlanda e la Polonia.
Vi sono Paesi in cui la tradizione cristiana non è cattolica: Paesi ortodossi come la Grecia, la Russia e la Serbia; Paesi anglicani — Gran Bretagna e alcuni paesi del Commonwealth — o Paesi legati alla tradizione della Riforma protestante, come la Scandinavia. In alcuni vi è una tradizione cristiana ma è diffusa meno ampiamente di altre religioni: i Paesi islamici, o quelli asiatici dove la cultura dominante è buddista, confuciana, induista o scintoista. Dobbiamo infine citare le aree dove una dittatura d’ispirazione materialistica rende pressoché impossibile ogni espressione di fede cristiana, per esempio la Corea del Nord. È difficile oggi parlare in dettaglio delle specifiche caratteristiche pastorali di ciascun gruppo menzionato. Vi è tuttavia una corrente culturale trasversale presente in quasi tutte le culture, favorita dalla globalizzazione di una forma di cultura virtuale e dai media, che abolisce pressoché tutte le distanze nello spazio e nel tempo. Per questo motivo ritengo che le ideologie a cui ho fatto riferimento siano una reale minaccia per ciascuno di questi Paesi.
Moltissime conferenze episcopali hanno già avuto la conferma della diffusione di nuovi modelli culturali, che portano con sé nuovi criteri morali. In particolare, fra la gioventù si sta diffondendo una nuova concezione dei rapporti interpersonali, del significato e della pratica della sessualità e dello stesso concetto di vita umana. Tutti i riferimenti alla legge naturale sono aboliti e banditi. Non mi soffermerò troppo a lungo sulle caratteristiche di questo tipo di visione, ma è necessario mettere a fuoco certi elementi.
Il primo elemento, l’elemento chiave, è senza dubbio la perdita della speranza umana, e poi cristiana, nell’amore umano. Quando due giovani formano un’unione, essa non è necessariamente basata su un’alleanza formalizzata e su un progetto di vita. Non insisto sui problemi particolari posti dalla generalizzazione della coabitazione giovanile. Citerò solo casi in cui vi è un progetto di vita; di fatto, quando giovani cristiani vogliono sposarsi, si rivolgono a un’istanza ecclesiastica: sacerdote, parrocchia…. Tutte le persone impegnate nel servizio pastorale di preparazione dei giovani al matrimonio cristiano notano che oggi è spesso assente la percezione dell’indissolubilità del patto coniugale. Per semplificare, i giovani non vedono la differenza fra un buon matrimonio che dura per sempre, cioè fino alla morte, e un matrimonio che duri il più lungo possibile. Inconsapevolmente tendono a pensare come molti altri che ricorrono al divorzio. Ovviamente, questa unione, limitata nel tempo, è uno dei modelli culturali di cui ho parlato precedentemente. Per dare speranza ai giovani, è necessario mostrare loro che l’indissolubilità è parte della stessa essenza dell’amore fra un uomo e una donna uniti in matrimonio e che è una qualità intrinseca di questo tipo di amore. Lungo la storia umana, sia dove regna il diritto romano sia dove si applica il common law, tale convinzione ha ispirato, fino a pochi decenni or sono, la legislazione della grande maggioranza dei Paesi.
A questo primo elemento si aggiunge la difficoltà di molti giovani nell’assumersi una responsabilità personale rispetto al partner e un impegno per la vita. In questa situazione siamo sempre più portati a chiedere che cosa vogliano realmente due giovani che si recano dai nostri sacerdoti per essere sposati in Chiesa.
Il secondo elemento riguarda l’apertura alla vita inerente alla profonda unione che gli sposi sono chiamati a vivere. Vi sono a questo proposito due questioni che s’intrecciano fra loro. La prima concerne l’esercizio della sessualità, la matura espressione dei gesti che permettono agli sposi di vivere intensamente la comunione delle loro persone nel reciproco e totale donarsi, che non è favorito dalla moltiplicazione delle esperienze sessuali prima del matrimonio. Ancora una volta, questo non è solamente un aspetto morale, ma solleva una questione di grande rilevanza antropologica: l’uso fatto del corpo dell’uno e dell’altro, attraverso un’unione che è veramente un autentico dono, non è improvvisato: è legato precisamente al rispetto per sé e per gli altri. Per semplificare, esso richiede un certo habitus di castità. Un uomo e una donna aspirano profondamente a vivere il mistero dell’amore; ciò è così vero che quando un adolescente s’innamora per la prima volta, lui o lei è totalmente preso da questa esperienza. Lui o lei non può immaginare che questo amore possa un giorno finire. Questo significa che una tale esperienza, coinvolgendo la sfera corporea, non può essere separata, per lui o per lei, dall’effettivo dono di sé.
Il terzo elemento riguarda il progetto familiare che è necessario maturare. Sono coinvolti molti aspetti: il desiderio di avere figli, la concezione della vita professionale, l’insieme dei rapporti con la famiglia d’origine, e molte altre sfaccettature. In generale, il progetto familiare non è limitato alla sfera privata, ma presuppone una certa visione della società in cui ci si aspetta che la famiglia prenda forma e cresca.
Come avete visto fin qui, ci siamo limitati agli elementi antropologici che richiedono di essere chiariti con più urgenza. Questi elementi sono gli esempi che illustrano nel modo migliore il contesto culturale in cui molti compiono oggi il loro servizio pastorale. Questo non significa disprezzare il significato essenziale della cura pastorale per il matrimonio e per la famiglia, cioè per il sacramento del matrimonio, che abbiamo la missione di amministrare nelle migliori condizioni spirituali possibili. Dobbiamo riconoscere che oggi, anche in una prospettiva specificamente cristiana, incontriamo considerevoli difficoltà, specialmente nei Paesi più secolarizzati.
Possiamo far riferimento brevemente a due punti: il progetto di sposarsi all’interno della Chiesa spesso non è più integrato in una vita di fede attiva. Si perde così la consapevolezza della santità del matrimonio cristiano e iniziamo a vedere, in alcune aree, una diminuzione dell’intenzione di battezzare i figli. Quando si presenta questo tipo di situazione, diventa molto difficile introdurre i giovani al mistero della santità della chiamata a essere sposi e genitori. Comprendiamo che, ora più che mai, la cura pastorale per il matrimonio e per la famiglia richiede una preparazione seria e completa per partecipare pienamente alla nuova evangelizzazione.
Mi sembra importante sottolineare che, in ciò che riguarda l’amore umano, intanto abbiamo una rivelazione in quanto è Cristo stesso che ce lo svela nelle Scritture. Pensiamo al sorprendente dialogo fra Gesù e i farisei nel capitolo 19 del vangelo di san Matteo. I farisei pongono a Gesù una domanda-trabocchetto sulla libertà, in quanto la legge di Mosé consentiva di ripudiare una moglie redigendo un apposito decreto. La loro domanda si trova unicamente a livello di ciò che è permesso o giustificato, dell’obbligazione della Legge. In questo senso, è superficiale e dimostra bene che essi non hanno idea del fatto che l’amore possa avere un significato, che esista una bellezza dell’amore. La risposta di Gesù è questa: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?” (Mt. 19, 3-8). Essa riflette una pienezza di significato, una decisione divina del Creatore che dette origine al mondo e formò l’essere umano come uomo e donna.
Abbiamo così un disegno originario di Dio, un progetto a cui Papa Giovanni Paolo II si riferiva così spesso ogni qualvolta incontrava studenti e professori dell’Istituto di Roma: “consilium Dei matrimonii ac familiae”. Tuttavia, il contenuto di questa rivelazione è un invito a contemplare la bellezza presente nella stessa natura dell’amore, una bellezza che è iscritta nella creazione e dove si rivela, per mezzo del simbolismo nuziale, l’amore incrollabile che unisce Cristo alla sua Chiesa. I due misteri, l’amore umano e quello divino, non si confondono l’uno con l’altro, ma giungono piuttosto a incontrarsi e a compenetrarsi vicendevolmente. L’amore umano vissuto con la sua cogente verità porta gli uomini a comprendere qualcosa del dono irrevocabile della vita che Cristo produce negli uomini; e il dono di Cristo trasmesso agli sposi santifica la loro unione mentre la sacramentalizza.
Mi accontenterei allora semplicemente di catturare la vostra attenzione sul collegamento che Giovanni Paolo II stabilisce, durante le catechesi del mercoledì sull’amore umano, fra l’amore dell’uomo e della donna e la creazione di tutta l’umanità a immagine di Dio. Ai Suoi occhi, la pienezza dell’uomo creato si manifesta attraverso una comunione di persone, espressa dalla complementarità sessuale. Egli ha scritto: “L’uomo diventa immagine di Dio non tanto nel momento della solitudine quanto nel momento della comunione. Fin dall’inizio, infatti, non era solo l’immagine nella quale rifletteva la solitudine di una Persona che governa il mondo, ma anche, ed essenzialmente, l’immagine di una divina ed imperscrutabile comunione di Persone” (13).
Si sa che questa analisi, già straordinariamente illuminante per la visione teologica dell’amore umano, ha aperto grandi prospettive per la stessa antropologia. Pensiamo al primo paragrafo della Mulieris dignitatem (14) e ai numerosi sviluppi che successivamente hanno arricchito l’antropologia teologica.
Ho già affermato che una visione relativistica dell’amore non permette di percepire la naturale bellezza dell’amore stesso. La Chiesa aiuta ad approfondire maggiormente, alla luce della Rivelazione, le implicazioni antropologiche di quella che considera essere la verità sul matrimonio e sulla famiglia, il progetto divino per questa comunità di vita e di amore fra un uomo e una donna, voluta e creata da Dio e salvata da Lui. Come la Chiesa contribuisce, oggi, ai dibattiti contemporanei riguardo all’istituzione del matrimonio e della famiglia? Dimostrando che l’aspirazione di un uomo e di una donna a darsi l’un l’altro per formare una comunità comprendente la totalità delle loro esistenze corrisponde a domande profonde scritte nella loro natura. Quest’approccio rimanda all’Autore della natura umana e si situa nella logica di una teologia e di una filosofia della creazione accessibile alla ragione. In questa prospettiva possiamo comprendere meglio ciò che la Chiesa richiede ai fidanzati quando li prepara a ricevere il sacramento del matrimonio.
La prima richiesta è quella del mutuo consenso.
La reciprocità del dono è un’oggettiva verifica dell’amore e certo una condizione per la felicità degli sposi. La libertà non causa un problema per la società secolarizzata, ma spesso ci si dimentica che il carattere pubblico di questo mutuo consenso, adottato dalle leggi civili e che fornisce una certa garanzia che il matrimonio sia stato liberamente contratto, trova la sua origine nelle leggi proprie della Chiesa, come il decreto Tametsi (15). Questa disposizione canonica, che si proponeva di combattere i matrimoni clandestini, ha contribuito a proteggere le donne da possibili abusi.
La seconda richiesta è quella del carattere irrevocabile del patto coniugale.
Anche qui s’immagina che l’indissolubilità del legame sia una particolarità della Chiesa Cattolica, che sorge dalla natura sacramentale del matrimonio. Se è vero che il sacramento rinforza e consolida l’indissolubilità, però non la fa nascere: l’indissolubilità è generata dalla domanda interiore di un patto fra gli sposi. Non è un’aggiunta esteriore, ma piuttosto una qualità permanente che si addice a un matrimonio validamente contratto. Perché? Perché il matrimonio è un dono personale in cui gli sposi s’impegnano totalmente l’uno con l’altro. Questa totalità non riduce la natura psicofisica globale delle loro persone: essa necessariamente include la temporalità. Essa impegna per il futuro, e impegna per sempre. Oggi, nella misura in cui abbiamo due approcci divergenti — uno cristiano, che presume il carattere irrevocabile del matrimonio, l’altro secolaristico, che accetta per mezzo del divorzio la possibilità legale di nuovi impegni —, conviene ammettere che nel primo approccio si può contemplare la bellezza naturalmente integrale dell’amore coniugale. La fedeltà è una dimensione naturale dell’amore: essa dà all’amore la capacità di vincere la sfida del tempo.
La terza richiesta è l’apertura di questa unione alla trasmissione della vita.
Nel disegno del Creatore l’unione stabile e irrevocabile di un uomo e di una donna è diretta non solo verso il bene personale degli sposi, ma anche al servizio della vita. La trasmissione della vita non dipende sempre dalla volontà degli sposi, ma, riprendendo i termini usati nell’enciclica Humanae vitae (16) [del venerabile Paolo VI (1963-1978)], aprirsi alla trasmissione della vita è avere un atteggiamento interiore sempre raggiungibile: esso riguarda la disponibilità amorosa a donare atti la cui possibile conseguenza è la nascita di un nuovo essere umano. Giova ricordare che è una missione, nel senso biblico, ovvero una benedizione: “crescete e moltiplicatevi” (Gen. 9,1) non è un imperativo categorico, ma piuttosto è innanzitutto una benedizione, che, quando è accettata, apre il cuore degli sposi alla gioia del dono — il dono della vita — e alla gioia di partecipare all’atto del Creatore, la pro-creazione. Secondo Giovanni Paolo II, l’apertura di un atto coniugale all’eventuale dono della vita dà all’amore umano la sua pienezza di bellezza. Egli chiamava l’inseparabilità delle due dimensioni dell’unione sponsale, quella unitiva e quella procreativa, la “verità ontologica” (17) dell’atto coniugale. Lungi dall’essere solo una condizione morale per l’esercizio appropriato della facoltà sessuale, essa caratterizza, secondo il Papa polacco, la bellezza della sessualità umana, che permette all’uomo e alla donna di unirsi all’azione divina del Creatore. Il fatto che quest’atto procreativo possa essere, nella sua forma autentica, un atto di amore, contribuisce, nel pensiero cristiano, ad associare la creazione e l’Amore in Dio. Dio creò mediante l’amore. Egli crea perché ama. L’azione divina della Creazione è l’espressione sovrabbondante di un Amore infinito, trascendente e personale. È appropriato associare a questo amore di Dio l’atto unitivo umano degli sposi, il loro autentico amore espresso a tutti i livelli della loro umanità.
Per concludere, il matrimonio cristiano ha come particolare vocazione quella di esprimere un poco del mistero che unisce Cristo lo Sposo e la sua Chiesa. La capacità di rappresentare e di attualizzare l’unione di Cristo e della Chiesa appartiene in essenza a questa comunità di vita e di amore fra l’uomo e la donna, vale a dire al matrimonio. Per comprendere ciò, si dovrebbe accennare ancora alla nozione di questa unione primordiale. Essa è definita anche come comunità di vita e di amore; essa si trasforma per mezzo di una trasmissione di beni divini da parte di Cristo, per mezzo di una comunicazione della vita eterna e dell’amore eterno. La vita e l’amore comunicati, in ragione della loro origine e della loro natura divina, suggellano un’unione che è necessariamente definitiva. Fra Cristo e la Chiesa si ha un’unione eterna: è per l’eternità che Cristo si unisce a coloro che sono incorporati a Lui. L’unione di Cristo e della Chiesa deve essere contemplata nella concreta umanità della Persona di Gesù Cristo e nel dono effettivo della sua vita sulla Croce. Lì troviamo il dono che il Verbo fa di sé all’umanità — il mistero dell’Incarnazione — e il dono che Gesù, nella sua natura umana, suggella sul Calvario mediante il sangue e l’acqua che sgorgano dal suo fianco. Si paragona spesso la nascita della Chiesa dal fianco di Cristo alla nascita di Eva dal fianco di Adamo. La nuova Eva scaturisce dal fianco del Nuovo Adamo. La relazione fra il dono di Cristo e il dono che gli sposi fanno della loro vita non è solo simbolica: l’una e l’altra sono misteri dell’amore e della trasmissione della vita. Il Sacrificio si trasforma in una vittoria definitiva sulla morte e, dunque, in una vittoria su tutte le infedeltà del peccato. Siamo in presenza della fedeltà divina, ma concretamente espressa nella natura umana. L’irrevocabile, indissolubile e indistruttibile Alleanza del Calvario ha reso la natura umana capace di una tale unione irrevocabile, indissolubile e indistruttibile.
+ Jean Laffitte
vescovo di Entrevaux (Francia)
Note:
(1) [Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), Costituzione pastorale “Gaudium et spes” sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, del 7-12-1965.]
(2) [Cfr. Pio XI, Enciclica “Casti connubii” sul matrimonio cristiano, del 31-12-1930.]
(3) [Benedetto XVI, Discorso ai Cardinali, agli Arcivescovi, ai Vescovi e ai Prelati della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi, del 21-12-2012, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 22-12-2012.]
(4) [Messaggio al Popolo di Dio della XIII Assemblea Generale del Sinodo, n. 7.]
(5) [Michelle K. Borras, What Is The New Evangelization?, Catholic Information Service, New Haven (Connecticut) 2012, pp. 12-13, disponibile all’indirizzo Internet <www.kofc.org/un/en/resources/cis/cis401.pdf>, consultato il 29-6-2013.]
(6) Mons. Peter Smith, Sur le mariage homosexuel civil, in La Documentation catholique, anno 95, vol. CX, n. 2506, Parigi 17-2-2013, pp. 175-180.
(7) [Benedetto XVI, Discorso ai membri della Commissione Teologica Internazionale, del 5-10-2007, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. III, 2, 2007. (Giugno-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, pp. 418-421 (pp. 420-421).]
(8) [Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica “Familiaris Consortio” circa i compiti della famiglia nel mondo di oggi, del 22-11-1981.]
(9) Cfr. ibid., n. 73.
(10) Cfr. Congregazione per l’Educazione Cattolica dei Seminari e degli Istituti di Studi, Direttive sulla formazione dei seminaristi circa i problemi relativi al matrimonio e alla famiglia, del 19-3-1995.
(11) [Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Africa” ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, ai religiosi e alle religiose e a tutti i fedeli laici circa la Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l’anno 2000, del 14-9-1995, n. 6.]
(12) [Idem, Esortazione apostolica “Familiaris Consortio” circa i compiti della famiglia nel mondo di oggi, cit., n. 3.]
(13) [Idem, Udienza generale del Mercoledì, del 14-11-1979, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. II, 2, 1979 (Luglio-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1980, pp. 1153-1162 (p. 1155).]
(14) Cfr. Idem, Lettera Apostolica “Mulieris Dignitatem” sulla dignità e vocazione della donna in occasione dell’anno mariano, del 15-8-1988, nn. 6-8.
(15) [I cosiddetto decreto Tametsi costituisce il primo capitolo del decreto De reformatione matrimonii, dell’11-11-1563, composto di dieci capitoli ed emanato durante la XXIV sessione del Concilio Tridentino (1545-1563).]
(16) [Cfr. Paolo VI, Litt. enc. “Humanae vitae” de propagatione humanae prolis ordinanda, del 25-7-1968.]
(17) [Giovanni Paolo II, Udienza generale del Mercoledì, del 18-7-1984, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, 2, 1984 (Luglio-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1984, pp. 101-109 (p. 101).]