Oscar Sanguinetti, Quaderni di Cristianità, anno I, n. 1, primavera 1985
Le fonti finanziarie del comunismo e del nazionalsocialismo
Le fonti finanziarie del comunismo sovietico — e, più in generale, del comunismo internazionale —, come quelle di altri fenomeni storico-politici contemporanei, quali il totalitarismo nazionalsocialistico, sono argomento che, se da un lato è stato affrontato in maniera non del tutto approfondita e, quindi, in modo non del tutto convincente da parte della storiografia «ufficiale» — neppure da quella di scuola marxista, che pure dovrebbe essere particolarmente attenta e sensibile agli aspetti economici, che considera «strutturali», dei fenomeni politici —, dall’altro ha sempre e giustamente attratto gli scrittori di tendenza cattolica contro-rivoluzionaria (1), i quali, sia per ragioni polemiche che sulla scia del Magistero pontificio degli ultimi due secoli (2), danno prova di una peculiare considerazione per i retroscena della storia. Negli anni Settanta, il tema è stato affrontato con cura scientifica — cioè con un’ampia documentazione e con un adeguato apparato critico — da diversi autori, prevalentemente anglosassoni, tra i quali emerge Antony C. Sutton (3). Un ulteriore contributo ci viene da due volumi (4) del giornalista e politologo francese Pierre Faillant de Villemarest (5), che sintetizzano assai bene le conclusioni dell’ultima ricerca storica, integrandole con materiali inediti e con quelli da lui raccolti personalmente nella sua pluriennale attività a contatto con gli ambienti politici e diplomatici europei.
Pierre Faillant de Villemarest sostiene due tesi: la prima è che sia la Rivoluzione d’Ottobre che il nazionalsocialismo hanno beneficiato di enormi aiuti finanziari da parte del supercapitalismo internazionale per installarsi al potere e per mantenervisi; la seconda è che gli stessi ambienti hanno promosso, a partire dagli anni immediatamente seguenti la Grande Guerra, una strettissima collaborazione economica, politica e militare tra Germania e URSS, avente come scopo il riarmo e la ripresa della politica di potenza da parte della prima, nonché la sopravvivenza della seconda, nonostante le conseguenze destabilizzanti a essa causate dalla imposizione di un regime sociale contro natura ai popoli dell’antico impero russo.
1. Il finanziamento della Rivoluzione di Ottobre
È certamente il capitolo meno ignoto della complessa vicenda descritta da Pierre Faillant de Villemarest.
Alla vigilia della Grande Guerra la finanza internazionale detiene già vasti interessi economici nei cinque continenti e il fenomeno delle società multinazionali è tutt’altro che sconosciuto. La guerra, poi, con la necessità sempre crescente dei governi di ricorrere a prestiti, e con la sempre maggiore importanza degli apparati industriali, aumenta la influenza del mondo bancario sulla vita politica nazionale e internazionale. Questo mondo, che mostra una grande coesione, ha i suoi centri decisionali negli Stati Uniti: mentre le nazioni occidentali si scagliano le une contro le altre in una sanguinosa guerra fratricida, che segnerà il tramonto della egemonia mondiale del Vecchio Continente, da Wall Street — che si può assumere come emblema dell’alta finanza internazionale — partono operazioni che, passando al di sopra dei belligeranti, mirano non soltanto a tutelare gli investimenti operati ai quattro angoli del globo, ma anche a esercitare una regia, tanto discreta quanto efficace, sugli avvenimenti (6). Così, lungo tutto l’arco della guerra si assiste all’«imparziale» sostegno finanziario — attraverso la concessione di crediti e con la prosecuzione degli investimenti — ai tedeschi, ai russi e agli «alleati».
Per quanto riguarda la Russia, se non stupisce che i crediti e gli investimenti siano continuati anche con il profilarsi e l’attuarsi della «rivoluzione borghese» di Aleksandr Fedorovic Kerenskij, il fatto che essi siano proseguiti anche con il procedere di questa rivoluzione in rivoluzione bolscevica pone certamente quesiti. Ed è apparentemente ancora più inspiegabile che i denaro americano raggiunga, in preparazione dell’abbattimento del regime imperiale, non solo i rivoluzionari liberali e socialdemocratici, ma anche i gruppi della sinistra comunistica.
La spiegazione della apparente contraddittorietà del comportamento della élite supercapitalistica internazionale — sostenere economicamente uomini e movimenti politici che si dichiarano nemici mortali del capitalismo e della proprietà privata — va ricercata nel fatto che questo ambiente è sempre più infiltrato da dottrine e da ideali di origine massonico-esoterica, che propugnano una universale riorganizzazione della vita economica e di quella politica in senso sinarchico — cioè di un unico governo mondiale — e nella prospettiva della pianificazione delle economie nazionali e del loro coordinamento sul piano internazionale da parte di un unico centro, in un contesto di tecnocrazia, di laicismo e di socialismo di tipo «fabiano» — cioè riformistico, gradualistico e «liberale», di matrice tipicamente anglosassone e protestantica (7). Secondo questa visione del mondo, gli uomini delle multinazionali e delle finanziarie privilegiano nel socialismo bolscevico appunto il momento socialistico, auspicando una evoluzione del bolscevismo in un senso più «liberale», ma, comunque, anteponendo il beneficio del fatto compiuto — la demolizione di un ordine plurisecolare — alla perfetta attuazione del modello di società segreta.
1. 1. Il finanziamento diretto
Questa sostanziale non incompatibilità tra utopia «mondialistica» e socialismo sovietico fa sì che — anche mettendo a repentaglio i propri interessi economici in loco — diversi esponenti del clan supercapitalistico si prodighino per sostenere finanziariamente la Rivoluzione russa. Mentre Jacob Schiff, uno dei dirigenti della banca nuovayorchese Kuhn, Loeb & C., inizia a inviare denaro a vari gruppi sovversivi russi fino dal 1905 — e prosegue fino al 1922 — (8), il «bolscevico» William Boyce Thompson versa personalmente un milione di dollari ai bolscevichi in Russia, in occasione di una sua visita a Pietroburgo nel 1917 al seguito di una missione della Croce Rossa internazionale (9). Al denaro, William Boyce Thompson aggiunge la raccomandazione per i comunisti russi di utilizzarlo «per diffondere la loro dottrina in Germania e in Austria» (10).
Oltre ai versamenti a titolo personale da parte di simpatizzanti dichiarati, ai bolscevichi vengono devoluti fondi da società bancarie e dai consigli di amministrazione di importanti multinazionali. Le varie iniziative vengono accentrate e coordinate sotto il nome di associazioni e di leghe per la cooperazione economica internazionale, quasi tutte con sede in un grattacielo — di proprietà dell’assicuratrice Equitable Life, controllata dalla famiglia Rockefeller — situato al numero 120 di Broadway a New York (11).
Per fare giungere i fondi in territorio russo vengono predisposte «catene» di intermediazione internazionale costituite da istituti bancari corrispondenti, i quali operano lungo un itinerario che inizia negli Stati Uniti, prosegue attraverso paesi neutrali e si conclude in Russia. «Catena» tra le più note e più efficienti sembra essere stata quella — già attivata agli inizi del primo conflitto mondiale — organizzata dalle banche che fanno capo al Morgan Guaranty Trust e che fanno perno sulla Nya Bank di Stoccolma, diretta da Olof Aschberg, uno dei più affezionati «padrini» capitalistici del regime sovietico. I collegamenti con la casta rivoluzionaria in Russia erano tenuti da un importante — e altrettanto misterioso — agente bolscevico di nome Jacob Fürstenberg, detto «Ganetzki» oppure «Hanetzki». Una seconda «catena» partiva, invece, dalla Banca Franco-Russa diretta da Dimitri Rubenstein, passava attraverso Olof Aschberg a Stoccolma e si chiudeva a Pietroburgo, con la banca di Abraham Givatozvo, simpatizzante del nuovo regime e cugino di Lev Trotzskj e di Lev Kamenev (12). In questo ambiente discreto primeggia la figura enigmatica e sinistra del rivoluzionario bolscevico — e, forse, più che bolscevico, rivoluzionario «puro» — Aleksandr Izrail Lazarevic Helphand, detto «Parvus», cui Aleksandr Solzenycyn dedica molte pagine del suo Lenin a Zurigo (13).
Sotto la voce «finanziamento diretto» non si possono non menzionare le agevolazioni ottenute da Lev Trotzskj in occasione del rientro in patria dal suo esilio americano per partecipare ai moti rivoluzionari dell’Ottobre. A Lev Trotzskj, infatti, venne fornito un passaporto americano per interessamento della «eminenza grigia» della presidenza Wilson, il famoso «colonnello House», Edward Mandell House, a sua volta sollecitato da ambienti del controspionaggio britannico. Quando il piroscafo sul quale viaggiava — e con lui viaggiavano esponenti del mondo industriale americano, tra i quali Charles Richard Crane — venne ispezionato dalla polizia canadese in occasione del suo scalo a Halifax. Lev Trotzskj venne fermato — e il fermo gli costò, tra l’altro, l’arrivo a Pietroburgo in ritardo rispetto a Lenin — e, perquisito, fu trovato in possesso di una somma di diecimila dollari. Tale somma era evidentemente eccessiva per un povero esule socialista, ma si trattava forse di ciò che Trotzskj stesso aveva trattenuto per sé — come argent de poche — dell’ingentissimo donativo di cinquecentomila sterline — valore 1977 — ricevuto a New York dalle mani di madame Fels-Rotschild, membro della Fabian Society (14).
1. 2. Il finanziamento tramite la Germania imperiale
Il tema del «treno piombato» — cioè munito di sigilli di isolamento — che riportò in Russia Vladimir Ulianov, detto «Lenin», dal suo esilio svizzero, attraverso la Germania e i territori occupati dai tedeschi, ha già attirato l’attenzione degli storici (15). Il progetto di destabilizzazione dell’impero russo, messo in atto dall’impero germanico mediante la inoculazione di potenti germi sovversivi in territorio nemico, trova nuova ampiezza e meritato risalto nelle rivelazioni di Pierre Faillant de Villemarest. Lo stato maggiore del Kaiser, infatti, non si limitò a reintrodurre elementi rivoluzionari in Russia, ma sostenne continuativamente gli avversari del regime, sia contro Nicola II, sia durante il passaggio dalla rivoluzione «borghese» a quella «proletaria». Inoltre, dietro le somme considerevoli che gli agenti tedeschi fanno pervenire a Lenin, si intravvede la lunga mano di Wall Street. Fino dal 1912 Lenin aveva ventilato la possibilità, in caso di conflitto tra la Russia e la Germania, di adoperarsi per organizzare campagne disfattistiche nella sua terra di origine (16). Dal canto suo, l’amico-nemico di Lenin, Parvus, nel 1914 fa pervenire a Berlino — tramite l’ambasciata tedesca di Costantinopoli — un vero e proprio progetto di sovversione interne della Russia, corredato da un preventivo di spesa in piena regola, che indica in venti milioni di rubli dell’epoca la somma sufficiente per organizzare la rivoluzione nell’impero. Il piano trova rapida accoglienza da parte dello stato maggiore tedesco, per il quale è evidente l’interesse alla neutralizzazione del potente e tradizionale nemico dell’Est. Così, dalla primavera del 1915 fino a tutto il luglio del 1918, il denaro tedesco comincia ad affluire ininterrottamente verso i bolscevichi. Secondo una stima del 1921, fatta dal rivoluzionario socialdemocratico tedesco Eduard Bernstein, il finanziamento tedesco al partito comunistico sovietico avrebbe raggiunto complessivamente la cifra di cinquanta milioni di marchi-oro dell’epoca (17). Il sistema per aggirare i fronti e le frontiere è il solito: versamenti su banche di paesi neutrali e riscossione, o tramite ulteriori giroconti su banche sovietiche oppure in loco, da parte di agenti bolscevichi. Oltre alla centrale di Stoccolma, attraverso la quale passano i finanziamenti americani, ne esiste un’altra a Copenaghen — dove opera Parvus, che ha costituito un Istituto di Studi della Economia Internazionale — e della quale fa parte Karl Sobelsohn, più noto come «Radek», che diventerà uno dei più stretti collaboratori di Lenin e segretario del Komintern nel 1919. Un esempio significativo dell’impiego dei fondi tedeschi è il potenziamento della Pravda che, tra il giugno e l’ottobre del 1917, conosce un autentico boom della tiratura, passando da dieci-ventimila copie a circa quattrocentomila (18). L’intervento di Wall Street in questa operazione è rivelato dalla presenza, nella «catena» imperniata su Olof Aschberg, di banche legate all’establishment finanziario americano: la Diskonto-Gesellschaft Bank, dalla quale partono i fondi destinati ai bolscevichi, è la corrispondente della Russo-Asiatic Bank di New York, oltre che, appunto, della Nya Bank di Olof Aschberg. Alla luce di queste rivelazioni, si pone spontaneamente il quesito: come poterono i governi occidentali tollerare che gli stessi ambienti finanziari che li sostenevano nella condotta della guerra contribuissero a debilitare il potente alleato della Intesa, che teneva impegnate sul fronte orientale decine di divisioni germaniche? Poiché le «catene» bancarie erano le medesime, non si può pensare che ne fossero all’oscuro, tanto più che non mancò neppure qualche sporadica denuncia pubblica caduta, però, nel vuoto: dunque, come spiegare il fatto che nessuno abbia tentato di ostacolare la operazione? Come non pensare che le forze che miravano a dirigere le sorti del mondo fossero meno interessate alla vittoria contro l’impero germanico e quello austro-ungarico — e, quindi, ad affrettare da «democratizzazione» della Europa occidentale e centrale — che non a consolidare la vittoria già ottenuta con il repentino passaggio della Russia e di diverse altre nazioni dello sterminato impero degli zar — tra l’altro avversario e concorrente dell’imperialismo statunitense in Estremo Oriente — da un regime autocratico e sacrale a una «moderna» repubblica socialistica?
2. La garanzia della sopravvivenza dell’U.R.S.S.
Terminata la grande guerra con l’abbattimento di tutti e tre gli imperi conservatori e cristiani ancora sopravviventi, l’interesse per la nuova Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche non viene meno, anzi si rafforza, anche a fronte della ostentazione di buoni propositi operata dal regime. Anziché combatterla (19) — nonostante professi una ideologia nemica della libertà e della religione e fondamentalmente imperialistica —, le potenze occidentali continuano i loro investimenti economici in Russia, inaugurando un regime di cooperazione economico-industriale che non si interromperà mai fino a oggi. Così, mentre le grandi corporation americane finanziano, aiutano, alimentano, costruiscono, addestrano, producono, lo Stato socialistico assorbe, sostenendo il suo gigantesco apparato burocratico-poliziesco e cercando di turare le falle create nel sistema economico dalla imposizione alla società di un regime contro natura. Questo, e non la guerra, ha distrutto — ricorda Pierre Faillant de Villemarest — la avanzata infrastruttura industriale e commerciale della Santa Russia (20), e la setta comunistica non riesce a sopperire alla sua debolezza neppure con l’impiego massiccio della forza-lavoro coatta, fornita dal sempre più fiorente «arcipelago» concentrazionario.
2. 1. Gli investimenti industriali e gli aiuti economici «alleati»
Gli interventi economico-finanziari a sostegno del sistema socialistico sovietico trovano nuovo impulso e coordinamento con la fondazione — nel maggio del 1918 — della Lega Americana per l’Aiuto e la Cooperazione con l’URSS.
Subito approvata dal dipartimento di Stato, la lega opera pressioni sugli ambienti politici e diplomatici ufficiali tra i due governi — tali da agevolare anche le relazioni economiche — e si prodiga per dissipare le perplessità sollevate dalla cooperazione con i sovietici, affioranti dal seno stesso del mondo finanziario statunitense (21). I primi scambi — peraltro monodirezionali — avvengono verso la metà del 1919, con priorità per gli aiuti di tipo umanitario e per i generi di prima necessità — alimenti, vestiario, calzature — da parte di nove ditte americane (22). Poi si passa a forniture di impianti, di macchinari, di tecnologia, di «quadri». Stalin, in una conversazione con Averell Harriman, consigliere di Franklin Delano Roosevelt e per lungo tempo ambasciatore a Mosca, oltreché membro del clan mondialistico di Washington — nel giugno del 1944 avrebbe ammesso che i due terzi della industria di base sovietica erano stati realizzati con l’aiuto statunitense (23). Per razionalizzare i flussi monetari tra gli Stati Uniti — e gli altri paesi occidentali, il cui ruolo non va sottovalutato — e l’URSS viene fondata, nel 1922, la RusKomBank per iniziativa di Olof Aschberg, della Banca Nazionale di Germania, del Morgan Guaranty Trust e della Banca d’Inghilterra (24). Pierre Faillant de Villemarest calcola che gli Stati Uniti — non considerando gli aiuti umanitari alle popolazioni russe — abbiano investito nell’URSS legalmente oppure illegalmente, sotto diverse forme, più di sessantatré miliardi di dollari. Il colossale sforzo prodotto a favore dello sviluppo economico sovietico è sostenuto da più di duecento gruppi bancari americani, con in primo piano la Chase National Bank dei Morgan e l’Equitable Trust — passato dai Morgan ai Rockefeller —, mentre dal 1920 al 1945 si calcola che quasi mille imprese americane abbiano operato più o meno durevolmente in territorio sovietico. Da questa potentissima iniezione di risorse e di know-how sono derivate conquiste quali la elettrificazione completa della nazione e la diffusione di massa delle radiocomunicazioni — due realizzazioni rispettivamente della General Electric e della RCA, almeno per il 90% —, la motorizzazione dei trasporti e della agricoltura con automezzi Ford e Caterpillar, la ripresa del sistema di estrazione e di raffinazione del petrolio, la meccanizzazione dell’esercito. Lo stesso grande nodo industriale di Stalingrado viene costruito a partire dal 1929 da ottanta imprese americane con un pool di cinquecentosettanta tecnici. Il know-how economico e tecnico americano — e tedesco — arriva anche a influire pesantemente sulla redazione e nella messa a punto dei mitici Gosplan sovietici degli anni Trenta (26).
Vi è da chiedersi se questa folla di dirigenti e di consulenti stranieri sia rimasta all’oscuro degli errori del comunismo sovietico e dei milioni di vittime delle epurazioni, delle deportazioni, delle carestie artificiali, dei GULag; oppure abbia finto di non vedere per non mettere a rischio il proprio profitto; oppure, ancora, abbia visto e abbia taciuto per non dovere abbandonare la propria utopia, il proprio sogno sinarchico-mondialistico. Sta di fatto che l’establishment americano, per bocca di uno dei suoi più caratteristici esponenti, domanderà «[…] a ogni americano, nell’interesse delle […] relazioni reciproche, di impedire ogni critica della forma di governo che la Russia si è scelta» (27).
2. 2. La collaborazione politica ed economica sovietico-germanica
L’altro poderoso puntello del sistema economico sovietico furono la Germania di Weimar e il regime hitleriano a essa seguente. L’esame delle relazioni sovietico-germaniche tra le due guerre rivela come tutti i governi tedeschi — nonostante i ripetuti tentativi di insurrezione comunistica in Germania — non solo non combattono la potenza sovietica, ma instaurano piuttosto un regime di collaborazione a tutti i livelli — diplomatico, economico, militare —, della quale il famigerato patto Molotov-Ribbentrop sarà soltanto il culmine e la Operazione Barbarossa e il periodo della «guerra fredda» soltanto parentesi, destinate a concludersi con l’apertura della Ostpolitik di Willy Brandt e di Herbert Wehner.
2. 2. 1. Fino alla ascesa di Adolf Hitler
Alla caduta dell’impero, la Germania è scossa da moti comunistici che avvampano in molte regioni: a Kiel, in Sassonia, in Turingia, nella zona anseatica, a Monaco, dove viene proclamata la repubblica dei soviet. Mentre infuria la repressione promossa dal governo socialdemocratico di Weimar e dai «corpi franchi» — a Monaco cadranno i rivoluzionari comunisti Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg — giunge in Germania Karl Sobelsohn «Radek», inviato da Lenin per sondare le intenzioni del nuovo governo tedesco nei confronti dell’URSS e per osservare da vicino lo sviluppo della rivoluzione in Germania; arrestato dalla polizia, viene incarcerato a Berlino-Moabit. Ebbene, proprio durante il suo soggiorno in prigione vengono gettate le basi per la futura cooperazione organica tra la Russia e la Germania. La cella di Radek diventa, infatti, meta di un continuo «pellegrinaggio» di esponenti dell’establishment politico, militare e finanziario di Weimar: passano da lui Otto Deutsch, presidente della omologa tedesca della General Electric americana, la AEG; Walther Rathenau, azionista della AEG, monarchico, ministro di Weimar, legato ai clan sinarchici ed esoterici dai quali nascerà il nazionalsocialismo, e tanti altri. Le ragioni che inducono le due potenze all’accordo e alla collaborazione sono molteplici: ideali «mondialistici» della classe dirigente tedesca; interessi economici; mete diplomatiche, come per esempio l’appoggio dell’URSS a Versailles per attenuare alla Germania le conseguenze della sconfitta; ragioni militari, come la possibilità di ricostruire un esercito all’altezza del ruolo europeo della Germania; aggirando le clausole restrittive e punitive del trattato di pace in materia di armamenti; interessi politici, come la collaborazione allo sviluppo economico sovietico offerta in cambio della garanzia della non-esportazione della rivoluzione comunistica in Europa. La tappa più importante di questa vicenda è il trattato di Rapallo del 16 aprile 1922, con il quale Mosca rinunciava al pagamento dei danni di guerra da parte dei tedeschi e dichiarava la Germania «nazione privilegiata» negli scambi commerciali: il trattato prevedeva anche clausole «segrete» in materia di collaborazione industriale e militare. Proprio in questo campo la cooperazione inizia per prima e, mentre le grandi società tedesche di armi — Krupp, Junkers, Dornier, Heinkel, Fokker, MAN, Deutz, Daimler — cominciano la costruzione di nuovi stabilimenti sul suolo russo destinati a produrre sia a vantaggio dell’Armata Rossa che della Reichswehr, armi e macchinari tedeschi, «sovrabbondanti» rispetto a quanto fissato a Versailles, prendono la via della Russia per eludere il controllo delle commissioni militari alleate. L’Armata Rossa viene riorganizzata e modernizzata da quadri militari e da tecnici tedeschi — nel 1922 essi sono circa cinquemila —; in territorio sovietico vengono addestrate sul terreno truppe della Reichswehr, che in pochi anni triplica silenziosamente i suoi effettivi. Lo sforzo militare comune viene coordinato da una misteriosa «sezione R» del ministero della Difesa tedesco, cui fa capo una centrale in Russia, la cosiddetta Zentral Moskau. Il personaggio che tira le fila di questa operazione industriale e militare, fungendo da tramite con i mondi finanziari tedesco e americano — i quali apriranno crediti all’URSS per centocinquanta milioni di marchi nel 1923, per cento milioni nel 1925 e per trecento nel 1926 (28) — è il colonnello Kurt von Schleicher, che sarà uno degli artefici della scalata al potere di Hitler e che verrà fatto assassinare da quest’ultimo nel 1934. Il traffico di armi e di uomini tra il territorio tedesco e la Russia trapela in Europa — a causa di alcuni incidenti «sul lavoro» e per opera dei servizi segreti della Polonia, che avverte sempre maggiore il disagio di trovarsi schiacciata tra due potenze —, ma non trova alcuna eco nei mass-media dell’epoca. Un particolare significativo: i tedeschi costruiscono fabbriche di armi e di munizioni fino nella Russia centrale e saranno proprio queste, nel 1942, a consentire all’URSS di resistere fino all’arrivo dei soccorsi americani.
Pierre Faillant de Villemarest stima che la potente iniezione di risorse tedesche abbia consentito lo sviluppo dei settori di base della economia sovietica fino alla metà degli anni Cinquanta (29). Negli altri settori industriali assistiamo al travaso tecnologico e finanziario tedesco che si indirizza verso i campi minerario — ferro, carbone del bacino del Don —, petrolifero — raffinerie di Batum, Baku, e così via —, dell’acciaio, meccanico, ferroviario, chimico — coloranti, gas, ecc.
2. 2. 2. Durante l’ascesa e il potere del Führer
I benefici soprattutto militari di questa intesa organica con l’URSS fanno sì che le correnti nazionalistiche e neo-imperialistiche presenti in Germania premano sul governo socialistico di Weimar perché svolga una politica estera più vigorosa e mirino in tempi brevi a scalzarlo. Il profilarsi della ascesa al potere del nazionalsocialismo e, poi, la sua vittoria non solo non interrompono la politica di collaborazione tra l’URSS e la Germania, ma non la rallentano neppure; anzi, Mosca adegua la sua politica estera — sia quella ufficiale, sia quella gestita tramite la KPD, il Partito Comunista Tedesco, e l’apparato clandestino di spionaggio — alla politica del nuovo regime e tratta quest’ultimo da interlocutore valido, non nascondendo, sovente, la propria simpatia per gli aspetti pesantemente socialistici del totalitarismo hitleriano. Mosca, come ai tempi di Weimar, così con la dittatura nazionalsocialistica mantiene fede ai patti: non approfitta del caos creato dal putsch di Wolfgang Kapp, nel 1920; per favorire la intesa economica, nel 1921 offre al cancelliere Paul Ludwig Hindenburg di fare cessare la propaganda rivoluzionaria in Germania e di mettere «in sonno» l’apparato clandestino; fa votare la KPD insieme alla destra e ai popolari bavaresi contro la richiesta di leggi speciali fatta dalla sinistra in seguito all’assassinio di Walther Rathenau, nel 1922; abbandona a se stesse le rivolte comunistiche della Ruhr, nel 1923, e della Sassonia; nel 1929 rifiuta — di fatto — di trarre vantaggio dalle conseguenze sociali della Grande Crisi per scatenare la rivoluzione in Germania; procede alla epurazione della KPD dei militanti contrari alla intesa con il governo tedesco; fa in modo che la KPD voti contro il governo socialdemocratico a fianco dei popolari, dello Stahlhelm e dei nazionalsocialisti nel referendum prussiano del 1930. L’avvento alla cancelleria di Adolf Hitler viene accolto con queste dichiarazioni: «I nostri rapporti con la Germania hanno sempre occupato un posto a parte», afferma Molotov il 28 dicembre 1933; «Siamo uniti da dieci anni alla Germania da legami economici e politici stretti […]. La Germania e noi stessi abbiamo tratto enormi vantaggi da queste buone relazioni […] e non possiamo che guadagnarci a proseguire così», dice Maksim Litvinov il 29 dicembre 1933; «Certo, siamo lontani dall’essere entusiasti dal regime fascistico tedesco. Ma questo fascismo non deve essere messo in causa, per la buona ragione che con l’Italia, per esempio, esso non ha impedito che si stabilissero eccellenti relazioni», sentenzia Stalin il 26 gennaio 1934, davanti al 16° congresso del Partito Comunista dell’URSS (30). La conseguenza di questa buona accettazione è la concessione a Mosca — nella primavera del 1935 — di crediti a lungo termine per un ammontare di duecento milioni di marchi-oro (31). Per favorire il meccanismo dei rapporti con la Germania nazionalsocialistica, a partire dal 1936 Stalin sostituirà il ministro degli esteri Maksim Litvinov, ebreo, con Molotov e, nelle grandi purghe di quegli anni, epurerà dei loro animatori ebrei le reti clandestine all’estero, Sobelsohn-Radek e Fürstenberg-Ganetzki compresi, e con analoghi intenti getterà nella fornace della guerra civile spagnola gli attivisti «troppo» antifascisti (32). Se, da parte sovietica, le dichiarazioni — e gli atti concreti — di collaborazione con la Germania si moltiplicano, da parte dei nuovi dirigenti tedeschi non mancano espressioni analoghe, che rivelano come, tra il nazionalsocialismo e il bolscevismo, vi fosse più una sorta di rivalità politica che non una vera e propria opposizione ideologica (33). Come il partito nazionalsocialistico non partecipa alla crociata anticomunistica dei «corpi franchi» — animati da ex combattenti e dalla destra tedesca —, così, nella sua marcia verso il potere, non combatte i comunisti se non per necessità di affermarsi e, se Adolf Hitler scaglierà la Germania contro l’URSS nel 1941, lo farà da dominatore dell’intera Europa e in una prospettiva chiaramente e apertamente imperialistica, mirando più agli spazi dell’impero russo che non a distruggere la centrale del comunismo mondiale (34). Stalin fece di tutto per propiziare la vittoria del nazionalsocialismo in Germania — impedendo sempre, per esempio, che la KPD si coalizzasse con le altre forze antifascistiche — e, forse, il massiccio afflusso di militanti anticomunisti verso le formazioni nazionalsocialistiche, avvenuto tra il 1932 e il 1933, non è dovuto solo alla simpatia o alla similitudine ideologica (35). Il massimo grado di alleanza tra i due totalitarismi viene comunque raggiunto all’indomani del patto di non aggressione del 1939 e della conseguente spartizione della Polonia, allorché si vedono operare concordemente gli apparati polizieschi delle due potenze, la Gestapo e la NKVD — dalla quale nascerà l’attuale KGB — conto i rispettivi avversari nel paese occupato. Stalin consegnerà ad Adolf Hitler più di cinquecento comunisti tedeschi e austriaci esuli nell’URSS (36). Se la parte meno «elastica» dell’apparato comunistico mondiale conosce il GULag, quella «ubbidiente» così si esprime, il 9 febbraio 1940, in un articolo apparso in Die Welt di Stoccolma, firmato da Walther Ulbricht e da Herbert Wehner, futuro leader socialdemocratico della Repubblica di Bonn e con cui collabora già da questi anni il futuro cancelliere federale Karl Frahm, detto «Willy Brandt»: «I comunisti tedeschi e gli operai rivoluzionari considerano come criminale il tentativo di alcuni socialdemocratici e dirigenti cattolici di modificare il regime attuale della Germania» (37).
3. Le fonti finanziarie del nazionalsocialismo
Come già accennato, Pierre Faillant de Villemarest avanza la fondata ipotesi che per il clan supercapitalistico internazionale, imbevuto di utopie tecnocratiche e sinarchiche, il socialismo marxistico, il socialismo «nazionale» e quello «liberale» — sul tipo del New Deal roosveltiano — siano tre aspetti di una unica realtà, e che le esperienze fatte negli anni tra le due guerre mondiali dalla Germania e dalla Russia siano per esso entrambe meritevoli di attenzione, di sostegno e di tutela, sia come tali, sia, comunque, per la loro capacità potenziale di dissolvere i residui «feudali» — cioè cattolici e monarchici — della vecchia Europa. Negli anni in esame, le più alte sfere della politica e della economia tedesche sono legate ai circoli «mondialistici» americani: basti pensare ai tre cancellieri di Weimar Joseph Wirth — legato alla AEG di Otto Felix Deutsch e di Walther Rathenau —, Wilhelm Cuno — emanazione dell’alta finanza tedesca e presidente della Hamburg-Amerika Linie — e Gustav Stresemann — appartenente alla Unione Commerciale tedesco-americana, nonché a Hjalmar Schacht, vera «eminenza grigia» del potere nazionalsocialistico (38). Il nazionalsocialismo nasce negli ambienti sinarchici ed esoterici tedeschi strettamente collegati alle società segrete di tipo pangermanico e massonico. La saldatura «mondialismo»-nazismo avviene all’incirca nel modo seguente: Rudolf Hess e gli altri fondatori del movimento nazista — Max Amman, Dietrich Eckart, Alfred Rosenberg, Adolf Hitler — fanno già parte di una società segreta, la Thule, cui appartiene anche Rudolf Glauer, a sua volta in stretto contatto con Anton Drexler, emanazione di ambienti analoghi e fondatore della DAP, il Partito Tedesco del Lavoro. A questo partito aderisce Adolf Hitler, che ne diventa in breve il leader e che ne muta il nome in NSDAP, Partito Nazional-Socialista dei Lavoratori Tedeschi. Sono Walther Rathenau e Hjalmar Schacht a mettere in contatto questi ambienti esoterico-politici con i circoli «mondialistici» anglosassoni animati da Houston Stewart Chamberlain (39), da Karl Haushofer e da Richard Coudenhove-Kalergi, a cui non furono estranee influenze magistiche mutuate attraverso Alisteir Crowley e Trebitsch-Lincoln (40). La «sponsorizzazione» del partito nazionalsocialistico da parte del mondo finanziario americano si traduce, fino dai primissimi anni Venti, in un abbondante sostegno in denaro. Che Adolf Hitler abbia ricevuto aiuti finanziari dagli ambienti della grande industria tedesca è vero — ed è il cardine della interpretazione marxistica del nazismo —, ma non ci si può fermare a questo «mondo», costituito dai vari Fritz Thyssen, August Borsig, Albert Voegler, Alfred Krupp, emil Kirdorf, Fiedrich Flick e George von Schnitzler: se ne devono cercare le radici oltre oceano. I tre principali cartelli industriali di Weimar — primi beneficiari dei piani di ricostruzione postbellica attuati dagli Stati Uniti —, e cioè quello del carbone e dell’acciaio, Vereinigte Stahlwerke; quello della elettricità, AEG e Osram, e quello chimico, IG Farben, sono tutti e tre finanziati da Wall Street e tutti e tre, a loro volta, figurano tra i sostenitori di Adolf Hitler: da essi vengono versati al Führer quattrocentomila marchi-oro in vista delle elezioni del 1933 (41). Henry Deterding della Royal Dutch — Shell — fa pervenire personalmente al leader tedesco, nel 1922, quattro milioni di fiorini olandesi, con i quali questi acquista il quotidiano Völkischer Beobachter, trasformandolo nel settimanale politico del movimento. Tra il 1929 e il 1933 lo stesso Henry Deterding versa ancora cinquanta milioni di marchi ai nazionalsocialisti e, nel 1934, altri cinquantacinque milioni di sterline (42). Solo considerando il denaro di provenienza americana, Pierre Faillant de Villemarest calcola che i nazisti abbiano ricevuto complessivamente in quattro anni, cioè dal 1929 al 1932, trentadue milioni di dollari (43). I magnati tedeschi, dal canto loro, contribuiscono con duecentocinquantamila marchi, versati da Fritz Thyssen nel 1931 (44), e con un donativo di centomila marchi, offerto da Emil Kirdorf nel 1929; lo stesso Kirdorf nel 1931 riconosce ad Adolf Hitler una «tangente» di cinquanta pfennig per ogni tonnellata di carbone venduta — la sola Ruhr, l’anno successivo, ne produrrà settantatré milioni — e ancora, nel febbraio del 1933, gira sul conto di solidarietà del partito nazionalsocialistico altri seicentomila marchi (45).
4. Conclusioni
Questo è, per sommi capi, il quadro che Pierre Faillant de Villemarest descrive nei suoi due volumi. Che cosa pensare? Al di là di considerazioni di carattere generale — quali, per esempio, la importanza talora decisiva dei retroscena nella genesi degli avvenimenti —, quanto meno non si può non giudicare un fatto come il processo di Norimberga diversamente da una tragica e iniqua farsa; si è indotti a pensare che l’aiuto militare americano a Stalin fu solo la conseguenza di accordi stipulati decenni prima; che Yalta — e la conseguente «liquidazione» degli organismi e dei movimenti anticomunistici europei — fu soltanto un capitolo della conquista del mondo da parte della Rivoluzione; che questa non è ancora completamente realizzata e che la Commissione Trilaterale, il Council on Foreign Relations e il Bilderberg Club, per fare solo qualche nome, sono strumenti per perseguire nei nostri anni gli scopi di sempre.
Ancora: come immaginare di potere ostacolare questa «tremenda potenza dell’unione tra i malvagi» (46)? Certo ricorrendo, umili e fiduciosi, alla intercessione onnipotente della Ausiliatrice, affinché affretti la instaurazione del regno del suo Cuore Immacolato sul mondo, di quel Cuore che, secondo la promessa di Fatima, «infine», inevitabilmente, «trionferà» (47), e offrendole i piccoli ma importanti meriti che nascono dall’azione intelligente e costante a favore della verità, anche di quella storica.
Note
(1) Pare opportuno ricordare, almeno fra quanti hanno operato nel nostro secolo, il conte Léon de Montaigne de Poncins, nato a Civens, in Francia, nel 1897 e deceduto a Tolone nel 1975; e padre Denis Fehey C. S. Sp., nato a Kilmore, in Irlanda, nel 1883 e morto a Dublino nel 1954.
(2) Cfr., in particolare, la fondamentale enciclica di Leone XIII Humanum genus (nuova trad. it. in Cristianità, anno XII, n. 110-111, giugno-luglio 1984) e la nozione di «corpo mistico del diavolo» presente nella teologia cattolica fino dalla patristica (cfr. Sebastianus Tromp S. J., Corpus Christi quod est Ecclesia. Introductio generalis, 2a ed. riveduta e aumentata, Università Gregoriana, Roma 1946, pp. 160-166.
(3) Cfr., tra i numerosi volumi di questo autore, Antony C. Sutton, Wall Street and the Rise of Hitler, ’76 Press, Seal Beach (CA) 1976; Idem, Wall Street and the Bolshevik Revolution, Arlington House, New Rochelle (NY) 1974; Idem, Wall Street and Franklin Delano Roosevelt, ibid., 1975. Ha fatto a suo tempo stato di queste ricerche Roberto de Mattei, Rivoluzione d’Ottobre e supercapitalismo, in Cristianità, anno V, n. 24, aprile 1977; e Idem, Wall Street e le fonti finanziarie del nazional-socialismo, ibid., anno V, n. 28-30, agosto-ottobre 1977.
(4) Pierre Faillant de Villemarest, Les sources financières du communisme. Quand l’URSS était l’alliée des nazis, 2a ed. CEI — la lettre d’information, Cierrey 1984, pp. 258; e Idem, Les sources financières du nazisme, ibid., 1984, pp. 96. Le due opere, di diversa mole, hanno una storia: nel marzo del 1984 usciva un volume dal titolo, scelto dall’editore, Quand l’Urss était l’alliée des nazis, pubblicato da Crémille-Framont, Ginevra-Parigi. Poiché in esso sempre l’editore aveva soppresso un intero capitolo — e precisamente quello dedicato alla descrizione dettagliata delle fonti finanziarie del nazionalsocialismo e intitolato I padrini mondialisti del nazismo — e aveva ridotta la introduzione a poche righe insignificanti, l’autore ha proceduto alla ristampa dell’opera a cura del CEI, il Centre Européen d’Information e de la lettre d’information, restaurando il titolo originale e facendola seguire da un secondo volume — di dimensioni assai ridotte rispetto al primo — con le due parti «censurate» riprodotte in integro.
(5) P. Faillant de Villemarest, dopo avere fatto parte della Resistenza militare e — dopo il 1945 — delle forze di occupazione francesi in Germania come membro dei servizi di sicurezza militari, esordisce nel giornalismo nel 1951, specializzandosi in cronache e studi sui retroscena politici e diplomatici internazionali. I suoi articoli appaiono sui principali quotidiani e periodici francesi — Le Figaro, Combat, L’Aurore, Paris-Presse —, belgi, tedesco-occidentali, svizzeri, statunitensi, turchi, giapponesi e del Sud-Est asiatico. Ha pubblicato finora dodici libri di vario argomento. È membro del pool di quaranta esperti stranieri che, con gli omologhi americani, formano l’apparato dell’United States Strategic Institute di Washington. Nel 1970 fonda il CEI, il Centre Européen d’Information, e inizia a pubblicare la lettre d’information che, con cadenza trisettimanale, raggiunge abbonati di diciassette paesi, aggiornandoli con notizie di carattere riservato su quanto avviene negli ambienti politici ed economici internazionali, con particolare riguardo all’URSS e al mondo comunistico in generale. Nel 1983 dà vita alla CIRPO, la Conférence Internationale des Résistances en Pays Occupés, con l’obiettivo di coordinare e di sostenere propagandisticamente le diverse organizzazioni di opposizione ai regimi comunistici sempre più numerosi nel mondo. A conclusione del convegno su Le Resistenze dimenticate, organizzato dalla CIRPO e dal CEI, in collaborazione con Alleanza Cattolica e con Cristianità e svoltosi a Milano il 1° dicembre 1984, si è costituita una CIRPO-Italia (cfr. Cristianità, anno XII, n. 115, novembre 1984, e ibid., anno XII, n. 116, dicembre 1984). P. Faillant de Villemarest collabora regolarmente a Cristianità, nonché all’autorevole rivista svizzera L’impact suisse.
(6) L’esempio più clamoroso di questa rete tesa dai potentati finanziari sul capo dei governi è quello dei fratelli Warburg, legati alla banca Kuhn, Loeb & C. Uno di essi, Paul Moritz, resta negli Stati Uniti; un altro, Max, si installa ad Amburgo e si pone in relazione con un altro fratello, Felix, diventato consigliere del Kaiser a Berlino; un quarto fratello, James, si stabilisce a Londra. Il giro mentale di questa famiglia ci viene rivelato da James Warburg quando, nel 1932, afferma: «Occorre promuovere una economia pianificata e socialistica e, poi, integrarla in un sistema socialistico di dimensioni mondiali» (P. Faillant de Villemarest, Les sources financiéres du communisme. Quand l’URSS était l’alliée des nazis, cit., pp. 56-57).
(7) Alcune figure dell’establishment liberal americano ostentano pubblicamente simpatia per il socialismo marxistico e vengono chiamati i «bolscevichi americani». Tali furono John Reed, lo storico comunista della Rivoluzione d’Ottobre; F. A. Vanderlip, presidente della National City Bank; William Boyce Thompson, direttore del Federal Reserve Board; Charles F. Crane, uno dei dirigenti della Westinghouse (cfr. ibid., pp. 54-65 passim).
(8) Citato ibid., p. 54, riprendendo Jacques Bordiot, L’Occident démantelé, Librairie Française, Parigi 1970.
(9) Washington Post, 2-2-1917, citato ibid., pp. 58 e 84. Su questa strana missione umanitaria — composta da circa trenta persone, delle quali solo cinque erano medici e due infermieri, e il resto era costituito da emissari di Wall Street — cfr. ibid., pp. 87-88.
(10) Cfr. ibid., p. 58.
(11) La Guaranty Trust Company di J. P. Morgan dà vita alla American International Corporation, cui partecipa l’assicuratrice Equitable Life della famiglia Rockefeller, Otto Kahn della banca Kuhn, Loeb & C, crea la «Lega per una democrazia industriale», mentre da ambienti legati alla General Electric nasce la «Lega per l’aiuto e la cooperazione con la Russia», della quale fa parte anche Henry Ford; e, ancora, nel grattacielo di Broadway hanno sede la Dupont de Nemours, la Ingersoll Rand, la National City Bank. Legato agli ambienti dei Rockefeller — suo padre è direttore della banca tedesca della Equitable Life — è il futuro ministro delle finanze del Terzo Reich, Hjalmar Horace Greely Schacht: cfr. ibid., pp. 60-61.
(12) Cfr. ibid., pp. 63-64.
(13) Aleksandr Solzenycyn, Lenin a Zurigo, trad. it., Mondadori, Milano 1976.
(14) Cfr. P. Faillant de Villemarest, op. cit., p. 80.
(15) Cfr. A. Solzenycyn, op. cit.; Michael Pearson, Il treno piombato, trad it., Sperling & Kupfer, Milano 1976.
(16) Cfr. le rivelazioni del rivoluzionario russa Vladimir Burtzev, passato in Occidente negli anni Venti, riportate in P. Faillant de Villemarest, op. cit., p. 68.
(17) Cfr. ibidem.
(18) Cfr. ibid., p. 76.
(19) Le truppe della Intesa presenti in territorio russo durante la guerra civile hanno combattuto solo in due casi: per allontanare i giapponesi dall’Estremo Oriente russo, dove si erano infiltrati approfittando del vuoto di potere successivo alla Rivoluzione d’Ottobre, e per difendere le rappresentanze diplomatiche occidentali nell’infuriare della lotta; non vi fu mai alcuno scontro con l’Armata Rossa, né, tanto meno, diedero mai appoggio alle armate «bianche» (cfr. ibid., p. 101).
(20) Cfr. ibid., pp. 106-107.
(21) Cfr. ibid., p. 104.
(22) Cfr. ibid., p. 107.
(23) Cfr. ibid., p. 109.
(24) Cfr. ibid., p. 108.
(25) Cfr. ibid., pp. 108-109.
(26) Cfr. ibid., p. 111.
(27) Così si espresse Thomas Watson, direttore della IBM, nel 1933, durante un ricevimento in onore di Maksim Litvinov, ministro degli Esteri di Stalin, organizzato al Waldorf Astoria di New York (cfr. ibid., pp. 113-114).
(28) Cfr. ibid., p. 176.
(29) Cfr. ibid., p. 182.
(30) Cfr. ibid., pp. 196-197.
(31) Cfr. ibidem.
(32) Cfr. ibid., p. 198.
(33) Ovviamente ciò vale per il vertice dei due movimenti: alla base la lotta tra le squadre nazionalsocialistiche e i militanti comunisti infuria più dura e sanguinosa che mai, causando ventinove morti nei due campi nell’arco di diciotto mesi tra il 1930 e il 1931, e 82 morti nel 1932; cfr. ibid., p. 213.
(34) Nel 1914 Adolf Hitler non volle ascoltare i consigli di Boris Bajanov — segretario personale di Stalin e archivista del Politburo dal 1920 al 1928, fuggito in Occidente e arrestato dalla Gestapo nei dintorni di Parigi dopo la occupazione — che consigliava: «Occorre che voi costituiate un governo russo in esilio e un esercito di liberazione “perché se farete la guerra contro il comunismo, il popolo sarà dalla vostra parte. Ma se farete la guerra alla Russia, il popolo sarà contro di voi […]”. Hitler replicò: “Un governo russo non è nemmeno in questione: la Russia sarà una colonia tedesca, amministrata da tedeschi […]”» (cfr. ibid., p. 204. Si tratta di dichiarazioni raccolte dall’autore).
(35) P. Faillant de Villemarest cita un rapporto del prefetto di polizia di Berlino che afferma: «Negli ultimi anni, i vecchi membri del fronte rosso sono passati in massa alle S. A. Parecchi capi attuali nazisti sono comunisti. A Berlino, secondo informazioni di polizia raccolte da me, le sezioni di assalto naziste contavano (nel 1933) fino al 50% di ex comunisti. Ed è perciò che i nazisti agiscono, nei loro colpi di mano, seguendo gli stessi metodi dei comunisti. I nazisti assorbirono i gruppi terroristici […]» (cfr. ibid., p. 215).
(36) Cfr. ibid., p. 225.
(37) Cfr. ibidem.
(38) Questi, al processo di Norimberga, alluse nella sua deposizione al fatto che, a suo parere, il nazionalsocialismo fosse stata una esperienza di socialismo dirigistico del tutto analoga al New Deal americano, e lanciò, in sostanza, un avvertimento che, se sfuggì ai giudici non-iniziati, non mancò di arrivare certamente ai «padrini» del nazionalsocialismo stesso, tanto americani che sovietici, e servì altrettanto certamente a evitare il capestro a Hjalmar Schacht (cfr. ibid., pp. 199-200).
(39) Inglese (1855-1927), genero di Richard Wagner, dottrinario del pangermanesimo, fu consigliere di Guglielmo II; Adolf Hitler lo considerò il fondatore spirituale del Terzo Reich (cfr. ibid., p. 129).
(40) I veri nomi di questi due personaggi sono, rispettivamente, Alexander — in gaelico, Alisteir — Crowley, nato a Manchester nel 1875 e morto a Hastings nel 1947; e Timoteo-Ignazio Trebitsch, nato a Paks, in Ungheria, nel 1879 e morto a Shangai nel 1943, il cui secondo cognome «Lincoln» venne aggiunto dopo l’ingresso del soggetto nella Chiesa anglicana. Cfr. l’operetta divulgativa di Werner Gerson, Le nazisme société secrète, Éditions J’ai lu, Parigi 1976, particolarmente i cenni biografici contenuti nelle appendici B) e D).
(41) Cfr. P. Faillant de Villemarest, Les sources financières du nazisme, cit., p. 24.
(42) Cfr. ibid., pp. 25-26.
(43) Cfr. ibid., p. 28.
(44) Cfr. ibid., p. 38.
(45) Cfr. ibid., pp. 40-41.
(46) Cfr. Enrico Ramière S. I., L’apostolato della Preghiera in unione col Cuore Ss.mo di Gesù, trad. it., Messaggero del S. Cuore, Roma 1927, pp. 179-185.
(47) Cfr. Antonio Augusto Borelli Machado, Le apparizioni e il messaggio di Fatima secondo i manoscritti di suor Lucia, 4a ed. it., Cristianità, Piacenza 1982, p. 37.