di S. E. Mons. Massimo Camisasca, Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, dal Corriere della Sera del 30/10/2020
Caro direttore, dal Concilio Vaticano II in poi la Chiesa ha iniziato un cammino di avvicinamento all’uomo contemporaneo. Non che prima non fosse vicina all’uomo, ma ora si trattava di cercare vie nuove, senza nessuna rottura sostanziale con la tradizione. È chiaro: in questa avventura si possono commettere degli errori e l’errore più grosso è cadere nell’equivoco che per raggiungere l’uomo occorra aderire alla mentalità mondana. Preti sposati, donne prete, livellamento democratico delle comunità…sono tutti esempi di questo errore.
Il pontificato di papa Francesco ha accentuato in tanti campi il cammino verso l’uomo e quindi anche verso le persone con tendenze omosessuali. Ha ripetutamente affermato che esse hanno dignità pari alle altre persone («mi interessa più il sostantivo che l’aggettivo»), che devono essere rispettate, che dobbiamo chiedere loro perdono di quando nel passato eventualmente le abbiamo dileggiate, che dobbiamo accoglierle nella comunità cristiana. Ha recepito in questo modo quanto già detto nel Catechismo, dandovi un’enfasi nuova, tipica della sua generosità pastorale. I gli, anche con orientamento omosessuale, sono tutti gli di Dio. Tutti sono amati da lui. Tutti hanno diritto ad essere accolti e amati nella loro famiglia. Queste frasi indicano certamente una nuova consapevolezza rispetto al cristianesimo di cinquanta o sessant’anni fa. Ma chi oggi non le sottoscriverebbe? Si apre così il campo difficile e nuovo sottolineato da domande come: «perché Dio mi ha fatto gay?», «che posto ho io nella storia della salvezza?», «come posso vivere la mia sessualità e la mia affettività?». Sono questioni su cui tanti teologi stanno riflettendo, non tutti in buona fede, ma alcuni cercando delle risposte nuove che non siano in contrasto con la fede. Bisogna procedere con molta calma, ascoltando, amando, accogliendo, senza mai nascondere la verità. In particolare, un punto a cui la Chiesa tiene assolutamente — perché parte della rivelazione naturale e della rivelazione ebraico-cristiana — è il matrimonio, cioè l’unione feconda tra un uomo e una donna. Nessun altro tipo di unione può esservi paragonata.
Per questo le unioni civili furono così contrastate dalla Cei: i diritti delle persone omosessuali erano già riconosciuti dalle leggi e la nuova normativa sulle unioni civili poteva indebolire l’istituto del matrimonio già così in difficoltà. L’accenno alla ley civil fatto dal Papa in una intervista a una giornalista messicana deve essere compreso nel contesto latino americano. Chi conosce mons. Bergoglio sa che il suo appoggio alla ley civil era proprio per sottolineare la differenza radicale tra convivenze e matrimonio e impedirne l’equiparazione civile. Per questo oggi alcuni settori del mondo LGBT dell’America Latina affermano che le parole del Papa sono un ostacolo e non un aiuto al conseguimento del loro obiettivo principale. Queste stesse parole — tolte dall’intervista originale per non generare equivoci — sono, non si sa come, arrivate nel lm del regista russo. È chiaro che c’è un tentativo di mettere in cattiva luce il Papa. Egli non ha intenzione né ha potere di cambiare la parola di Dio, la Tradizione della Chiesa e il Magistero. Soprattutto egli si è espresso molte volte e molto duramente contro l’utero in atto che il riconoscimento del titolo di famiglia alle coppie dello stesso sesso renderebbe necessaria conseguenza.
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