di Fady Noun da AsiaNews del 03/11/2020
Per il card Raï il Paese modello elogiato da Giovanni Paolo II rischia di morire sotto il peso dell’estremismo e degli interessi di parte. A conclusione del Sinodo egli traccia i tre pilastri su cui fondare la nazione: Stato civile e democratico, decentralizzazione, Costituzione e accordo di Taëf. I piani segreti per affossare il Medio oriente e la convivenza islamo-cristiana.
Beirut (AsiaNews) – “Costruzione di uno Stato civile e democratico, decentralizzazione amministrativa strutturata in un’ottica di sviluppo, applicazione della Costituzione e del Documento di intesa nazionale (Accordo di Taëf del 1989) nel rispetto dello spirito e del testo”. Ecco i tre grandi pilastri del Libano del futuro, nella visione del patriarca maronita card Beshara Raï, come emergono dal comunicato finale del Santo Sinodo della Chiesa maronita, che si è svolto la settimana scorsa (26-31 ottobre 2020). Un progetto che mira a “prevenire in ogni modo che una parte interna tragga la propria forza da una potenza straniera, per dar vita a una agenda e a politiche incompatibili con l’interesse e la sovranità del Libano”.
Al contempo il Sinodo ha annunciato l’elezione di due nuovi vescovi, che succedono ad altri che hanno ormai raggiunto il limite di età. Essi sono Youssef Souief, vescovo maronita di Cipro, che viene trasferito al vescovado di Tripoli al posto di mons. Georges Aboujaoudé. E di Charbel Abdallah che succede a mons. Chekrallah Nabil Hague, alla guida della diocesi di Tiro. Non è stata fatta alcuna menzione della diocesi di Antelias, come previsto in un primo momento, in seguito alla morte di mons. Camille Zeidan. Una scelta che fa pensare che, in questo caso, servono ancora ulteriori consultazioni, così come della diocesi di Cipro che la nomina di mons. Soueif a Tripoli lascia per il momento vacante.
Il Sinodo ha poi esaminato i punti all’ordine del giorno nell’agenda dei lavori: la riforma liturgica, la formazione dei sacerdoti, i lavori dei tribunali ecclesiastici, la situazione delle diocesi maronite in Libano e nel mondo, la pastorale sociale e i servizi di carità, le scuole private cattoliche. Per quanto concerne le diocesi della diaspora, i vescovi hanno manifestato il bisogno di sacerdoti in Colombia, in Perù e in Ecuador, oltre ad aiuti per la costruzione di infrastrutture all’interno di questi Paesi. Essi hanno poi accolto con gioia l’inaugurazione, in programma nel 2021, di un seminario maronita a Sydney, in Australia, che servirà l’Oceania in un’area del mondo dove la presenza dei maroniti è in continua espansione.
Sul piano sociale, si sono evidenziati i risultati raggiunti: distribuzione di 5000 borse di studio agli studenti bisognosi, di 25000 razioni alimentari al mese, di 5000 aiuti in medicine e forniture ospedaliere, partecipazione alla ricostruzione di 3000 alloggi nelle zone devastate dalla doppia esplosione del 4 agosto, E ancora, la formazione garantita a centinaia di giovani nei settori agricolo e professionale.
Nella sua omelia domenicale, il 1° novembre, il patriarca ha ripreso i temi principali che egli difende dal luglio scorso, in primis quello della “neutralità attiva” del Libano, e che egli aveva già ripetuto nell’omelia della messa conclusiva, il giorno precedente, dei lavori del Sinodo. Nella funzione egli aveva denunciato con forza i crimini commessi in Francia dagli estremisti islamici, e auspicato che all’ombra di una neutralità che sia ben compresa, il Libano possa inoltre continuare a essere un ponte che collega Oriente e Occidente.
Il capo della Chiesa maronita ha infine affermato: “Noi ci troviamo di fronte a un passaggio storico, oggi, che consiste nella formazione di un nuovo governo. La classe politica deve riconoscere di non aver saputo rappresentare appieno i propri cittadini sinora e guadagnare la loro fiducia per la gestione del Paese. Essa deve cedere il passo, almeno in via temporanea e nell’interesse dello Stato, a una compagine di governo coesa e solidale, che possa risollevare la nazione”.
“Piani regionali segreti”
Sul piano geopolitico, il patriarca maronita aveva avvertito contro una riconfigurazione del Medio oriente che il Libano potrebbe pagare in modo assai caro. Egli ha evidenziato, in proposito, che “l’esistenza dei piani regionali e internazionali segreti e dagli obiettivi sconosciuti, che sono messi in pratica giorno dopo giorno e anno dopo anno, in modo progressivo e per tappe, in modo indipendente rispetto ai regimi esistenti e alla volontà dei popoli. Ecco perché noi rinnoviamo la nostra fede nell’entità indipendente del Libano e nelle sue frontiere riconosciute sul piano internazionale, e nell’unità del suo popolo nel quadro di una partnership fondata sul pilastro del pluralismo decentralizzato, sulla fedeltà assoluta al Libano, nei limiti di un regime democratico nel rispetto delle libertà e dei valori spirituali, nazionali e umani. La nostra Chiesa ritiene che la conservazione della identità libanese merita tutti i sacrifici […]. Ed ecco perché, anticipando tutti i pericoli, noi abbiamo proposto la neutralità attiva come un ombrello destinato a proteggere il Libano in questi tempi difficili. Il valore del Libano consiste nella conciliazione fra questa neutralità da una parte, e il mantenimento della sua presenza attiva e durevole nei legami fra il Libano e il mondo. In un’ottica di preservazione della propria autonomia, lo storico Monte Libano esisteva già, quando non vi erano ancora né le entità né gli Stati indipendenti, nel dialogo fra Oriente e Occidente. Un qualcosa di ancor più necessario, oggi”.
“Elementi islamici radicali”
Ritornando sulla questione della pubblicazione in Francia delle caricature del Profeta da parte del settimanale Charlie Hebdo e degli atti criminali commessi da estremisti islamici che ne sono seguiti, in particolare l’assalto a colpi di coltello che ha causato tre vittime il 29 ottobre a Nizza, il patriarca ha dichiarato: “La Chiesa maronita lancia un appello, finalizzato al rafforzamento delle relazioni islamo-cristiane nel mondo e ad allontanare le prospettive di scontro fra le religioni. Anche e soprattutto pensando ai passi compiuti in una prospettiva di dialogo in seguito alla pubblicazione del ‘Documento sulla fratellanza umana’ ad Abu Dhabi il 5 febbraio 2019 (e firmato da papa Francesco e dall’imam di Al-Azhar”.
“La nostra Chiesa condanna in modo fermo l’attacco a simboli religiosi e alla ripubblicazione delle vignette offensive, sotto il manto della libertà e della laicità. Ma la Chiesa condanna allo stesso tempo, e con egual forza, la decapitazione commessa da estremisti islamici di un insegnante davanti alla sua scuola e a quella di tre credenti all’interno di una chiesa a Nizza. Questi atti non hanno alcuna giustificazione umana o religiosa e costituiscono una grande offesa a Dio, solo padrone della vita e della morte. Noi presentiamo alla Francia le nostre più sentite condoglianze e speriamo che l’ambasciatrice in Libano le possa trasmettere al presidente della Repubblica francese, al governo, e alle famiglie delle vittime, e preghiamo per il rispetto mutuo fra religioni, la preservazione di sane relazioni e il rafforzamento del dialogo di vita e del dialogo culturale, fra cristiani e musulmani”.
Commentando gli inviti alla prudenza rilanciati dal patriarca contro i “piani segreti” per la regione, una fonte ministeriale vicina al patriarcato ha affermato che il capo della Chiesa maronita si basa sugli avvertimenti lanciati dal presidente francese Emmanuel Macron e dal suo ministro degli Affari esteri Jean-Yves Le Drian. Quest’ultimo ha anche messo in guardia contro “la scomparsa del Libano”, mentre il presidente Macron paventava il pericolo di una “guerra civile”, nel caso in cui fosse continuato il decadimento economico, finanziario e politico attuale. Secondo la fonte sopracitata, il patriarca teme l’implosione del Libano in cui “la logica comunitaria” finirebbe per prendere il posto lasciato libero da “uno Stato in decomposizione”, per utilizzare un’idea sviluppata nel suo libro “Rivoluzione e stato di violenza, Medio oriente 2011-2015” da Hamilton Bozarslan, esperto in economia e scienze politiche alla EHESS di Parigi. Per il patriarca, un tale sviluppo significherebbe la morte non solo del Libano in senso fisico, ma anche quella di un Libano “modello di libertà e pluralismo per Oriente e Occidente” di cui ha parlato papa Giovanni Paolo II, nel quale ha descritto il Libano stesso “più di un Paese, ma un messaggio”.
Questa interpretazione è confermata, indirettamente, da una idea sviluppata nell’agosto scorso da Macron davanti all’associazione stampa presidenziale a Parigi. Agli occhi del capo di Stato francese, il Libano “può essere una delle ultime forme esistenti di quello che crediamo possa essere la regione: intendiamo la coesistenza più pacifica possibile fra religioni […], un modello pluralista che si fonda sull’istruzione, sulla cultura, la capacità di commerciare in pace”. Si tratta di propositi che, oggi, acquistano una nuova forza, con la tensione innescata dalla pubblicazione, a Parigi, da parte del settimanale satirico Charlie Hebdo di vignette del profeta dell’islam, e la serie di omicidi perpetrati, come rappresaglia, da fanatici estremisti islamici”.
Per Karim Bitar, direttore dell’istituto di Scienze politiche dell’Usj, “le dichiarazioni francesi, anche se possono sembrare allarmiste, rivelano una certa inquietudine assai sincera in merito al futuro del Libano”. “Contrariamente agli individui, le nazioni non muoiono mai” aggiunge l’analista. Non è dunque la scomparsa fisica del Libano, la posta in palio oggi. Quello che è in ballo, ed è ben più grave, è che il Libano non finisca per perdere la propria anima e la propria vocazione storica, nel caso in cui vi siano nuovi elementi di incertezza, crisi a ripetizione e se il Libano torna al tempo dei ghetti fra comunità. Qui vi è il rischio di vedere perduto il “Libano messaggio” di Giovanni Paolo II. E tutto ciò sarebbe ben più inquietante della sparizione fisica del Paese”.
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