Quali strategie adottare per difendere e promuovere la famiglia dopo l’approvazione alla Camera della legge sulla omotransfobia? Una domanda che ci si deve porre.
di Marco Invernizzi
Senza particolare clamore è stata approvata dalla Camera dei deputati la cosiddetta proposta di legge Zan sulla omotransfobia. E’ vero che nelle stesse ore si attendeva l’ennesimo dcpm del governo, che avrebbe diviso l’Italia in tre zone diverse a seconda della gravità della diffusione della pandemia, e sempre nelle stesse ore era in corso lo spoglio delle schede elettorali per le elezioni negli Stati Uniti, che avrebbero deciso il prossimo presidente USA. Tuttavia, questo silenzio merita una certa analisi.
La proposta di legge, che adesso dovrà essere approvata dal Senato per diventare una legge a tutti gli effetti, è inutile e fonte di conflitti, come abbiamo spiegato in tante e diverse sedi, ma soprattutto è una legge liberticida, che ha come scopo principale quello di esercitare una pressione su chi crede che la famiglia si dia soltanto quando un uomo e una donna decidono di unirsi in matrimonio e per mettere al mondo dei figli. Una pressione perché smettano di comunicare questa loro convinzione, siano essi genitori, sacerdoti, educatori, giornalisti o docenti: tutti zitti, se fossero ancora convinti di certe idee così rétro: che se le tenessero per loro….
Questa mattina, durante la Messa (feriale) a cui ho partecipato, il sacerdote celebrante ha ricordato l’approvazione della legge, ha messo in guardia sulle possibili conseguenze e ha citato le parole di suor Lucia al card. Caffarra sulla guerra in corso contro il matrimonio. Temo però che non siano molti i confratelli sacerdoti che abbiano fatto o faranno lo stesso, anche se la legge non è ancora in vigore e non sarà comunque retroattiva. Come il clero, anche le forze politiche contrarie alla proposta di legge hanno detto e fatto poco, limitandosi a una protesta in aula un po’ tardiva e a poco altro. Anche fra loro, come fra i sacerdoti, ci sono stati alcuni deputati coraggiosi e lungimiranti, che hanno combattuto con tutte le forze contro l’approvazione della proposta di legge, ma sono stati pochi.
In Senato le forze politiche favorevoli all’approvazione del ddl sono numericamente meno dominanti rispetto alla Camera e, quindi, sarà opportuno usare tutti i mezzi possibili per tentare di fermare la legge con iniziative opportune, sia fuori dal Parlamento (manifestazioni, cortei…), sia nella stessa discussione in aula.
Pur tenendo conto di quanto detto sopra, rimane necessario interrogarsi sul fatto che questa battaglia interessa obiettivamente soltanto una minoranza del Paese. Credo che le forze pro-family debbano anzitutto chiedersi come fare diventare rilevante questo tema nella testa e nel cuore delle persone, premessa indispensabile per tentare di fermare la proposta di legge oggi e soprattutto domani, se essa dovesse disgraziatamente (ma è molto probabile) diventare legge dello Stato. Anni fa si diceva che tutti hanno una famiglia, e quindi sono in grado di valutare che essa è sotto attacco. Ricordo, tuttavia, che nel 1974, quasi mezzo secolo fa, quando il mondo era molto diverso sotto molti punti di vista e la famiglia era ancora una istituzione indiscussa, perdemmo clamorosamente la battaglia referendaria contro il divorzio. E per ricordare, invece, un episodio felice, rievoco la conferma referendaria della legge 40 nel 2005 contro le proposte radicali di eliminare i vincoli o paletti introdotti dalla stessa: vincemmo grazie all’escamotage di non andare a votare, perché così non si sarebbe raggiunto il quorum e la legge sarebbe stata confermata.
Dico questo perché non basta evocare il popolo per averlo veramente su posizioni pro-life e pro-family. Credo che tutti noi potremmo constatare come la grande maggioranza delle persone oggi non sappia o non sia particolarmente sensibile al tema dell’omotransfobia. Una causa è certamente la diffusione del Covid-19 e, soprattutto, le conseguenze economiche delle chiusure decise per fermare la diffusione del virus. Ma oltre a questo c’è anche una motivazione di tipo culturale ed esistenziale: chi ha figli o nipoti a scuola, si informi su quanti bambini fra i compagni di classe vivono in una famiglia “normale” (finché lo possiamo dire) composta da un padre e una madre ancora conviventi.
La domanda allora è: quale strategia adottare per raggiungere il popolo, quel popolo che c’è e con le caratteristiche che ha, anche se non è più un vero e proprio popolo con un comune sentire, ma un insieme di singoli, ognuno dei quali ha una diversa scala di valori?
Senza smettere di fare quello che è stato fatto finora, conferenze e manifestazioni, seminari e incontri di ogni tipo, è necessario trovare il modo di accostare chi a questi incontri non partecipa. E’ necessario cioè preoccuparsi della famiglia in una società post-familiare, come titola un importante sondaggio su come è ridotta la famiglia nel nostro tempo.
Purtroppo, non ho la soluzione, ma non è un buon motivo per non pensarci. Viviamo in un mondo che sta morendo, non fosse altro per ragioni demografiche, ma al suo interno è possibile costruire la premessa di qualche cosa che verrà, purché non venga buttata via la speranza.
Venerdì, 6 novembre 2020