Con l’eutanasia/omicidio di un giovane di 17 anni in Belgio siamo entrati ormai nel “tempo dell’eutanasia”. È cominciato cioè il periodo in cui le forze che sostengono la “cultura della morte”, per usare l’espressione di San Giovanni Paolo II, danno inizio all’ultima fase, quella che precede la sua legalizzazione, ancora inesistente in Italia, anche se sono già presenti diverse proposte di legge alla Commissione giustizia della Camera e ne è stata avviata la discussione. Come sappiamo il Belgio è l’unico paese dell’Occidente in cui anche i bambini possono essere uccisi perché malati terminali (anche in Olanda ma con più restrizioni), mentre in Italia l’eutanasia è ancora considerata un reato. Quindi oggi si reclamizza l’eutanasia più estrema, quella che riguarda anche i minori, per arrivare domani a ottenere, per il nostro Paese, una “eutanasia moderata”, che riguarderà solo gli adulti e con certe limitazioni.
Un classico, secondo uno schema ormai collaudato. In questa direzione vanno anche le prime reazioni pubblicate dal Corriere della Sera. Lupi (Area popolare) e Patriarca (Partito democratico) che gridano allo scandalo, che parlano di Erode stracciandosi le vesti, quasi per fare dimenticare all’opinione pubblica il comportamento dei rispettivi partiti nel fare approvare pochi mesi fa le unioni civili fra persone dello stesso sesso. Anche per l’eutanasia arriverà un compromesso, che non sarà favorevole al rispetto della vita, ma introdurrà una “moderata” “dolce morte”.
E lo dico senza essermi dimenticato di vivere in una società plurale, dove i compromessi sono necessari non essendoci una maggioranza che sostenga la sacralità della vita e la centralità della famiglia. Il problema non sono i compromessi, a volte necessari non nell’ottica del male minore ma per ottenere il maggiore bene possibile, ma il fatto che i compromessi sono sempre al servizio della cultura della morte e delle forze che la sostengono, senza che vengano giocate tutte le carte possibili da parte di chi sostiene di difendere vita e famiglia. Questo avviene dal divorzio fino a oggi, secondo il solito schema: i radicali propongono una soluzione estrema, i democratici (ieri democristiani) fanno passare una legge più moderata come necessaria per impedire quella estrema, i cattolici (moderati) non riescono a impedire il gioco. L’unica volta che il gioco non è riuscito è statain occasione dell’approvazione della legge 40 sulla fecondazione assistita e del successivo referendum, perché chi guidava le forze cattoliche, il card. Ruini, non cadde nel tranello e si appellò al non voto, impedendo così il raggiungimento del quorum che avrebbe peggiorato la legge 40 approvata dal Parlamento.
Un caso recente ed eclatante è avvenuto nelle ore precedenti la manifestazione del Family day al Circo Massimo, il 30 gennaio scorso, quando il capo di Area popolare e ministro dell’Interno, Angelino Alfano, si rifiutò di minacciare una crisi di governo in caso fosse stata approvata la legge sulle unioni civili, come gli aveva proposto il leader della manifestazione,Massimo Gandolfini. Non posso sapere che cosa sarebbe successo, ma certamente la legge avrebbe avuto una difficoltà ulteriore da superare. Quello che invece so per certo è che sarebbe nato un movimento politico consistente, proFamily e proLife, e che oggi le carriere politiche dei vari Alfano e Lupi non sarebbero completamente nelle mani del Capo del governo Matteo Renzi.
Ritornando all’eutanasia, questo mi sembra lo scenario dei prossimi mesi. Una proposta radicale e una moderata, facendo convergere su quest’ultima tutte le forze politiche non estreme. Mentre pochissimi parlamentari cercheranno di dire semplicemente no all’eutanasia, in nome della vita e della civiltà.
Alleanza Cattolica combatterà con tutte le sue forze anche questa battaglia. Lo farà con convinzione, anche se sempre con la consapevolezza che siamo all’interno di un mondo che muore, nel quale bisogna sempre avere attenzione alla costruzione di legami e relazioni che ci aiutino a costruire quel mondo che nascerà dentro un mondo che si sta suicidando. E che le diverse battaglie, anche se non finiranno con una vittoria, serviranno a prepararci un domani migliore.
Marco Invernizzi