Guido Verna, Cristianità n. 374 (2014)
Intervento, riveduto e annotato, del 9-10-2012 al convegno Il Santo dell’Immacolata. Maestro-martire di fede e carità. A trent’anni dalla canonizzazione di San Massimiliano M. Kolbe (10 ottobre 1982-10 ottobre 2012), organizzato a Roma dall’8 al 10-10-2012, presso il Collegio Internazionale di Terra Santa, dal Seminario Teologico Immacolata Mediatrice dei Francescani dell’Immacolata. Sono stati mantenuti i riferimenti dell’intervento originario all’Anno della Fede come evento futuro e a san Giovanni Paolo II (1978-2005) e al beato Paolo VI (1963-1978) come, rispettivamente, beato e servo di Dio.
Premessa e limiti
Nell’amplissima articolazione del convegno di studi sulla figura di san Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941) per il trentennale della sua canonizzazione, l’angolo visuale dal quale mi è stato chiesto di «vedere» il santo polacco è quello relativo alla Contro-Rivoluzione, e quindi implicitamente alla Rivoluzione.
Queste due «categorie» — che, com’è nella natura propria delle «categorie», hanno lo scopo di semplificare la comprensione di fenomeni storici e sociali complessi, altrimenti descrivibili con molte difficoltà, non per banalizzarli, ma, al contrario, per cercare di coglierne l’essenza — nascono dalla lettura della storia che è propria della scuola di pensiero detta cattolica contro-rivoluzionaria.
Per molto tempo questa scuola e le sue elaborazioni culturali sono rimaste oscurate, spesso proditoriamente, dalla prevalenza quasi egemonica, anzitutto nel mondo cattolico, delle chiavi ermeneutiche fornite dalle altre scuole, o «progressista» o «modernista» o «liberale» o «democratica», in fondo tutte figlie della Rivoluzione francese.
Benché negli ultimi tempi tali categorie abbiano acquistato maggiore visibilità — se non nominalmente, certamente nei contenuti — grazie a Papa Benedetto XVI, in particolare per il noto discorso di Ratisbona, in Germania, del 2006 (1), e per l’enciclica Spe salvi, del 2007 (2), proponendosi a una platea più ampia, è opportuno premettere qualche elemento illustrativo su di esse, non fosse altro che per inquadrarle nella prospettiva specifica di Alleanza Cattolica, che si occupa tematicamente dello studio e della diffusione della dottrina sociale della Chiesa.
Aggiungo che — per quanto ne sappia — la valutazione di san Massimiliano in chiave contro-rivoluzionaria non è mai stata oggetto di studio scientifico, perciò quanto dirò va considerato solo come un’apertura di prospettiva, come l’indicazione di una pista d’indagine nella quale altri — con maggior tempo a disposizione e con qualità professionali specifiche — potranno inoltrarsi più proficuamente.
Sulla Rivoluzione
La scuola contro-rivoluzionaria — una tra le scuole del pensiero cattolico — ha mosso i suoi primi passi studiando e criticando la Rivoluzione francese, leggendola, diversamente dalle altre e secondo la sua peculiarità, come parte di un processo che aggredisce la Cristianità a partire almeno dal Rinascimento e dall’Umanesimo.
Quindi, anzitutto, per tale scuola la Rivoluzione non è un «fatto» singolo ma è un «processo», che si sviluppa nella storia e che ha ilterminus a quo all’interno di essa, e che per essere colto nelle sue implicazioni profonde necessita del riferimento costante all’altro suoterminus a quo, quello «oltre» la storia, nella metastoria, cioè ai due paradigmi che segnano l’umanità: il non serviam attribuito — attingendo a Ger. 2,20 — a Lucifero e la sua prima applicazione nel Paradiso terrestre.
La venuta di Cristo rappresenta il nuovo inizio. Ma ci vorranno molti secoli e molti martiri per arrivare alla grande maturazione della cristianità medievale. San Tommaso d’Aquino (1225-1274) chiudeva il secolo XIII e si apriva quello di Dante (1265-1321), di Giotto (1267-1337), di santa Caterina da Siena (1347-1380).
Da qui comincia a «lavorare» la Rivoluzione, cioè il grande processo di demolizione di questa civiltà cristiana, che si era via via costruita ed era arrivata a splendida fioritura instaurando, come condizione alla base dell’armonia sociale e della tranquillità dell’ordine, il riconoscere a Dio il ruolo di creatore e legislatore e all’uomo quello di creature e di «suddito». Quella civiltà, ovviamente, non fu l’unica, né il nuovo Eden — essendo vissuta da uomini non impeccabili, bensì, come tutti, affetti da peccato originale. Ma certamente, fino a oggi, è stata la migliore civiltà cristiana costruita dall’uomo, quella descritta mirabilmente da Papa Leone XIII (1878-1903) nell’enciclica Immortale Dei: «Ci fu un tempo in cui la filosofia del’evangelo governava gli stati: quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e apparati dello stato, quando la religione di Gesù Cristo, posta solidamente in quell’onorevole grado che le spettava, andava fiorendo all’ombra del favore dei prìncipi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il sacerdozio e l’impero, stretti avventurosamente fra loro per amichevole reciprocità di servigi» (3).
La Rivoluzione sviluppa la sua azione — ancorché con i ritmi secolari propri della storia — in maniera inesorabile e, a suo modo, molto «intelligente», se non altro per la conoscenza perfetta che mostra di avere della natura dell’uomo, di quella natura che mira a disintegrare e infine a distruggere perché nemica di Dio e della creazione.
Con riferimento all’opera su cui si basa la formazione di Alleanza Cattolica — Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (4) del pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) — il processo si articola in quattro fasi, ognuna delle quali mira alla distruzione di un legame naturale — e quindi vitale — dell’uomo con Dio e con il reale. Con la Riforma protestante, che inizia nel 1517, attacca il legame religioso; quindi, con la Rivoluzione francese del 1789 — ma anche del 1717, data di fondazione, a Londra, della sua «matrice» culturale, la massoneria speculativa «moderna» — si colpisce il legame politico e sociale; e con la Rivoluzione comunista, del 1917, si punta a distruggere i legami economici.
Infine, scoppia quella che de Oliveira chiama Quarta Rivoluzione, ossia la Rivoluzione Culturale, datata emblematicamente dal 1968 (5), quella, peraltro, in cui viviamo oggi e che è dominante sulle tre precedenti — le quali non terminano quando si apre la fase successiva, ma continuano a «lavorare», ciascuna con la propria meccanica pure nelle fasi ulteriori — mira a dissolvere anche gli ultimi legami sussistenti, quelli minimali e quindi più vitali, quelli «[…] micro-sociali della famiglia, quelli fra madre e figlio con l’aborto e perfino quelli dell’uomo con sé stesso e interni al corpo umano con la droga e l’ideologia di genere […]. Il gesto del medico abortista — scrive il sociologo delle religioni Massimo Introvigne — che taglia il cordone ombelicale non per la vita ma per la morte simboleggia in un modo che più tragicamente eloquente non potrebbe essere l’opera della Rivoluzione, che non sopporta i legami e li distrugge» (6).
Riflettendo sulle date si nota un ritmo bicentenario: 1517, 1717, 1917. Se è vero che le date possono voler dire poco, è altrettanto vero che quando ci s’imbatte in queste combinazioni che aiutano felicemente la memorizzazione, esse non vanno sciupate. Anzi, per spremere il limone fino in fondo, si può anche tener presente che dopo il 1789 vi è il 1989, l’anno in cui il Muro di Berlino viene rimosso.
Questa lettura della storia ha patito all’interno del quadro culturale cattolico una collocazione — per dirla eufemisticamente — non di primo piano, malgrado che il venerabile Pio XII (1939-1958), nel 1952, avesse felicemente descritto l’articolazione delle tre prime fasi della Rivoluzione nel modo seguente: «Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato» (7), mettendo in sequenza il protestantesimo negatore della Chiesa, il deismo illuminista e l’ateismo marxista.
Eppure questa lettura era ampiamente utilizzata «altrove» — e purtroppo con notevole successo —, come dimostra l’analisi dell’ideologo comunista Antonio Gramsci (1891-1937): «La filosofia della praxis [cioè il materialismo dialettico e storico] presuppone tutto questo passato culturale, la Rinascita e la Riforma, la filosofia tedesca e la rivoluzione francese, il calvinismo e la economia classica inglese, il liberalismo laico e lo storicismo che è alla base di tutta la concezione moderna della vita. La filosofia della praxis è il coronamento di tutto questo movimento di riforma intellettuale e morale […]. Corrisponde al nesso Riforma protestante+Rivoluzione francese» (8).
Esplicitando quanto prima segnalato, negli ultimi anni questa periodizzazione della storia dell’Occidente cristiano propria dalla scuola contro-rivoluzionaria, ha assunto una maggiore rilevanza pubblica, anche all’interno del mondo cattolico, in virtù della sua assunzione — sebbene con un linguaggio diverso — grazie a Papa Benedetto XVI, che nel discorso di Ratisbona e nell’enciclica Spe salvi ha descritto le tappe della Rivoluzione come la progressiva rottura della sintesi fra eredità greca e cristiana, e tra fede e ragione, indicando — nella Spe Salvi — le tappe principali di questo itinerario: il fideismo di Martin Lutero (1483-1546), il razionalismo e lo scientismo che culminano in quella forma d’Illuminismo che dà alla Rivoluzione francese i suoi caratteri anticristiani, le ideologie dei secoli XIX e XX e il marxismo, e infine il nichilismo disperato e disperante della Rivoluzione culturale contemporanea.
La Rivoluzione e san Massimiliano
Questa sintetica esposizione della Rivoluzione permette d’inquadrare meglio i riferimenti culturali di san Massimiliano.
Premetto che — per quanto abbia letto — non ho mai trovato una sua affermazione esplicita di appartenenza a questa scuola culturale o ad altre, senza rimanerne peraltro sorpreso o deluso, poste da un lato la sua vocazione francescana, che si esprimeva meravigliosamente in altri ambiti, e dall’altro la considerazione che egli scriveva solo occasionalmente. Vi è però un clima generale nel quale un appartenente a tale scuola si sente quasi a casa, avverte sintonie culturali, spirituali e anche operative, su come pensare ma anche su come fare.
In quest’ottica, il primo elemento di consonanza che si coglie nel santo polacco è la consapevolezza, costantemente riproposta, di una teologia della storia antagonistica, fondata sull’immagine del serpente che insidierà continuamente il calcagno della Donna e sulla Donna che gli schiaccerà inesorabilmente la testa. Noi, «sulla» terra e «nella» storia, siamo allora «soldati» che appartengono a «eserciti» i cui autentici condottieri risiedono «altrove». Comincia così a profilarsi la figura di un santo a cui i contro-rivoluzionari sono molto affezionati, san Luigi Maria Grignion de Montfort 1673-1716.
Un secondo elemento di grande sintonia fra san Massimiliano e la scuola contro-rivoluzionaria — che discende, anzi è reso cogente dal primo — è la prospettiva militante, una vita di combattimento, e non solo spirituale: una prospettiva che probabilmente gli deriva dalla «meditazione delle due bandiere» — «l’una di Cristo, sommo capitano e Signore nostro, l’altra di Lucifero, mortale nemico della nostra umana natura» (9) — proposta nei suoi Esercizi spirituali da un altro santo a cui la scuola contro-rivoluzionaria deve molto, Ignazio di Loyola 1491-1556; e, certamente, da quella delle due città di sant’Agostino (354-430), ricordate da Papa Leone XIII nell’enciclica Humanum genus sulla massoneria: «Questi due regni [di Dio e di Satana], simili a due città che con leggi opposte vanno ad opposti fini, con grande acume di mente vide e descrisse Agostino, e risalì al principio generatore di entrambi con queste brevi e profonde parole: “Due città nacquero da due amori; la terrena dall’amore di sé fino al disprezzo di Dio, la celeste dall’amore di Dio fino al disprezzo di sé” (De Civit. Dei, lib. XIV, c. 17)» (10).
D’altra parte, il periodo che san Massimiliano trascorse a Roma dall’ottobre del 1912 al luglio del 1919 fu intensissimo, anzitutto per il suo sacerdozio — ordinazione e prima Messa nel 1918 — e per i suoi studi — laurea in filosofia nel 1915 e dottorato in teologia nel 1919 —; poi, per le tante inquietudini indotte dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale (1914-1918); infine, per le tensioni religiose e politico-culturali che rendevano ancor più pesante il clima romano in conseguenza del laicismo aggressivo di quell’epoca e del persistere diffuso del modernismo religioso, nonostante le condanne di san Pio X (1903-1914). Fu soprattutto questo clima a segnarne il carattere e a determinarne le scelte successive: per un giovane arrivato a diciotto anni e ripartito a ventisei, che veniva da «molto lontano» e aveva la sua sensibilità, trovarsi nel centro della cristianità e assistere agli attacchi che l’anticlericalismo massonico portava contro il Pontefice risultava insopportabile.
Nel 1914 san Massimiliano si fortifica con una «medicina» formidabile: nella chiesa di Sant’Ignazio presta il giuramento contro il modernismo prescritto il 1° settembre 1910 da Papa san Pio X (1903-1914), assumendo questi impegni che marchieranno la sua opera per sempre:«Mantengo pertanto e fino all’ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell’episcopato agli apostoli, non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa» (11).
Questo giuramento e la laurea in filosofia nell’ateneo fondato da Sant’Ignazio nel 1551, la Pontificia Università Gregoriana, mi sembra un incrocio provvidenziale, che si situa alla base della sua prospettiva di militanza e di fedeltà alla verità, come si sentirà in dovere di scrivere sul primo numero della rivista Il Cavaliere dell’Immacolata, nel 1922, definendone gli obbiettivi: «[…] essa farà di tutto per stigmatizzare la menzogna, per mettere in luce la verità e per indicare la vera strada verso la felicità» (12). Il beato Giovanni Paolo II, il 18 ottobre 1981, in occasione del quarantesimo anniversario della sua morte, ricorderà ai suoi «militi»: «come Padre Massimiliano siate innamorati ed appassionati della verità. […] è la verità che dà il coraggio delle grandi decisioni, delle scelte eroiche, delle dedizioni definitive! È la verità che dà la forza per vivere le virtù difficili, le Beatitudini evangeliche, la purezza giovanile e la castità consacrata e coniugale!» (13).
Analogamente, per la sua devozione mariana è da considerarsi provvidenziale l’incrocio con Alphonse Marie Ratisbonne (1812-1884), il banchiere francese di religione ebraica improvvisamente convertitosi, fino a diventare gesuita, dopo che gli era apparsa la Madonna nella chiesa romana di Sant’Andrea delle Fratte il 20 gennaio 1842, la medesima dove il giovane sacerdote polacco vorrà celebrare la sua prima Messa il 28 aprile 1918, il giorno dopo la propria consacrazione.
Nella Donna bellissima che egli vide Ratisbonne riconobbe la Vergine così come viene rappresentata nella Medaglia Miracolosa coniata a seguito delle apparizioni della Madonna avvenute nel 1830 in rue du Bac, a Parigi, a santa Caterina Labouré (1806-1876): quella Medaglia che sarà posta da san Massimiliano fra i «[…] mezzi che l’Immacolata stessa ci raccomanda» (14) e che perciò sarà lo strumento privilegiato utilizzata per tutte le sue battaglie. Scriverà, per esempio, a un suo «commilite» che «[…] i Fratelli sciameranno ovunque con le stampe e le medagliette secondo le necessità delle particolari regioni della nazione» (15) fino a immaginare «[…] che col tempo in nessuna località vi sarà un’anima che non porti al collo la medaglia miracolosa»(16).
Proprio in quest’ambiente «romano» dilacerato dalla lotta che modernismo e massoneria avevano ingaggiato contro la Chiesa, il giovane Kolbe, mentre da un lato irrobustisce il suo carattere e trova le sorgenti che avrebbero alimentato per sempre la sua linfa spirituale, dall’altro lato comincia a immaginare il suo progetto di vita, che presto avrebbe tradotto in «impegno scritto».
Sarà però un episodio avvenuto il 17 febbraio 1917 — duecentesimo anniversario della fondazione della massoneria moderna, cioè «speculativa» — a segnarlo particolarmente, tanto da essere ricordato più volte nei suoi scritti e soprattutto da esser posto da lui stesso all’origine della «decisione della sua vita», quella di fondare qualche mese dopo, il 16 ottobre, la Milizia dell’Immacolata: «Allorché a Roma— racconta — la massoneria uscì allo scoperto in modo sempre più audace, portando i propri stendardi sotto le finestre del Vaticano — e sul vessillo nero dei seguaci di Giordano Bruno [1548-1600] aveva fatto dipingere san Michele Arcangelo sotto i piedi di Lucifero, e in foglietti di propaganda inveiva apertamente contro il santo Padre — nacque l’idea di istituire una associazione che si impegnasse nella lotta contro la massoneria e gli altri servi di Lucifero» (17).
Non sorprende, perciò, che egli ritenesse che «lo scopo della Milizia dell’Immacolata» era di «[…] impegnarsi nell’opera di conversione dei peccatori, degli eretici, degli scismatici, degli ebrei…, ma soprattutto dei massoni, e nell’opera di santificazione di tutti sotto il patrocinio e per la mediazione dell’Immacolata» (18).
Tornando alle sintonie, ne rilevo altre due molto significative: la prima è la percezione che san Massimiliano aveva delle forze propulsive del processo rivoluzionario, tanto poco evidenti quanto decisive, come la massoneria; la seconda è la consapevolezza — implicita ma trasparente — dei nessi propri dello svolgersi di tale processo, cioè della Rivoluzione.
Per esempio, nel 1920 scrive così al fratello Alfonso (1895-1930), francescano come lui: «Con sforzo comune i membri [della Milizia dell’Immacolata] procurino di conoscere bene le odierne correnti antireligiose, i fondamenti della fede, il socialismo, il bolscevismo, la massoneria, il protestantesimo, ecc. e imparino ad agire contro di essi» (19). Qualche anno dopo, descrivendo a un confratello il tempo in cui il vessillo dell’Immacolata sarebbe sventolato ovunque, afferma che«allora cadrà ogni forma di socialismo, di comunismo, le eresie, gli ateismi, le massonerie e tutte le altre simili stupidaggini che provengono dal peccato» (20). E ancora, in un articolo del 1932, scrive: «A volte ci sembra che Dio governi il mondo “con troppo poca energia”. Eppure con un solo gesto della sua volontà onnipotente Egli potrebbe schiacciare e stritolare nella polvere tutti i Calles [Plutarco Elías Callés (1877-1945), presidente del Messico (1925-1928), persecutore della Chiesa cattolica], tutti gli atei della Russia sovietica, tutti gli spagnoli incendiari di chiese, tutti gli immorali avvelenatori della gioventù e tutti quelli che assomigliano a costoro» (21).
Ma in molti altri articoli su Il Cavaliere dell’Immacolata san Massimiliano esprimerà in modo chiaro il suo giro mentale e la sua cultura in relazione alla dottrina sociale, l’ambito — dal nostro punto di vista — più specifico della lotta fra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione.
In quello intitolato La Chiesa e il socialismo, pubblicato nel 1923 con l’obbiettivo di presentare sommariamente i «principi fondamentali [del socialismo] nei loro rapporti con la Chiesa» (22), egli svolge, per esempio, un’analisi critica di tale fenomeno politico-sociale con un accostamento molto significativo, che rende evidente la sua consapevolezza della connessione e della consequenzialità fra Rivoluzione francese e socialismo, cioè, con altro linguaggio, fra Seconda e Terza Rivoluzione. Dopo averne denunciato anzitutto il carattere essenzialmente ideologico, sviluppa la sua analisi critica non direttamente, bensì attraverso l’analisi dei tre princìpi-simbolo della Rivoluzione francese — Libertà, Fraternità, Uguaglianza —, arrivando a dimostrare come nessuno dei tre possa essere attuato da un regime socialista.
Quando tratta della Fraternità, san Massimiliano riporta dal Kurier Warszawski, «Il Corriere di Varsavia», una corrispondenza da Sopot — piccola città sul mare, nei pressi di Danzica —, nella quale si descrivono i locali cabaret russi pieni di «[…] gamberi di mare freschi,ananas e pesche con ghiaccio e champagne, uva, dolciumi, gelati con tazzine di punch bollente. […] Ai tavoli migliori e presso le bottiglie del bar vi sono bolscevichi, vestiti delle nuovissime divise di Danzica con la stella bolscevica sul bavero […]. …Gli alti funzionari sovietici non misurano il denaro. Alla ricerca di un riposo, dopo aver abbandonato le città coperte dai cadaveri delle persone morte di fame e dopo aver depredato le chiese ortodosse dei loro tesori, buttano il denaro nel gioco, nello champagne e in ogni forma di divertimento» (23). È un quadro spietato, il cui rilancio coraggioso da parte di san Massimiliano nel suo giornale è già il suo giudizio. Nella conclusione possono però trovarsi altri giudizi e spunti di dottrina sociale, d’interesse generale ma, soprattutto, molto utili per capire anche il presente italiano: dopo aver deplorato che il socialismo «[…] abbia colpito la Chiesa, che stia facendo di tutto per strappare all’operaio, e perfino al bambino, il preziosissimo tesoro della fede e gli ideali più sublimi ed innati» (24) osserva che «[…] esso genera unicamente la schiavitù e la tirannia del governo sui cittadini e misconosce le aspirazioni della nobile e libera natura umana» (25). E aggiunge: «queste deviazioni […] non sono qualche cosa di accidentale; sono l’attività metodica dei “Fratelli” del martello e della cazzuola, [sempre tesa ad]<[…] attuare il motto da essi decretato nell’anno 1717: “Distruggere ogni religione, soprattutto quella cristiana”» (26). Infine — in giorni come i nostri, quando la non negoziabilità dei princìpi fondativi del ben vivere insieme è raccomandazione quasi quotidiana del regnante Pontefice —, ci anticipa la lezione: «Le relazioni sociali si sviluppano e si perfezionano.
«Molte cose esigono un accomodamento, però tale accomodamento non si otterrà mai in una maniera che risulti incompatibile con la verità e con la natura umana» (27).
Sulla Contro-Rivoluzione
Se la scuola che ho spesso citato è detta contro-rivoluzionaria, è opportuno definire sinteticamente gli elementi più significativi anche della Contro-Rivoluzione. Certamente ne è evidente il fine: se la Rivoluzione — secondo la terminologia di Corrêa de Oliveira — è un processo che vuol distruggere l’Ordine per eccellenza costituito dalla cristianità in genere e da quella medioevale in specie, la Contro-Rivoluzione avrà l’obiettivo di restaurare tale ordine infranto. Ma per la sua corretta comprensione è fondamentale tener conto della «qualità» che deve connotarne lo spirito e il modo di operare, descritta in modo ormai classico e quasi proverbiale da Joseph de Maistre (1754-1821) non come «una rivoluzione contraria, bensì il contrario della rivoluzione» (28).
Nella descrizione combinerò spesso, intersecandoli e confrontandoli, gli elementi tipici della Contro-Rivoluzione — e quindi del contro-rivoluzionario — con le caratteristiche di san Massimiliano e della sua Milizia, derivate da suoi scritti o azioni, di modo che siano evidenti — anche se non ogni volta sottilineate o esplicitate — le loro consonanze e i tanti nessi di principio e d’azione che fra di essi intercorrono.
Si può immaginare la Contro-Rivoluzione come una dinamica sviluppantesi su due assi, uno verticale e uno orizzontale, leggendone sul primo le caratteristiche spirituali e sull’altro le modalità organizzative e operative.
Sull’asse verticale si trovano i riferimenti di principio — anzitutto al Vangelo e al Magistero della Chiesa, al catechismo e alla dottrina sociale — e la devozione alla Grande Protettrice, la Madonna, alla scuola di san Luigi Maria, da cui si continua a trarre quella luminosa lezione di speranza e di certezza di vittoria espressa nella lettera che il santo francese inviò ai suoi parrocchiani di Montbernage: «Con Maria tutto è facile. Pongo tutta la mia fiducia in lei, nonostante i fulmini del mondo e i tuoni dell’Inferno. Ripeto con San Bernardo: “Ho posto in lei una fiducia senza limiti; è lei tutta la ragione della mia speranza”. Attraverso Maria cercherò e troverò Gesù, schiaccerò la testa del serpente, vincerò sia tutti i miei nemici sia me stesso per la più grande gloria di Dio» (29).
Alla stessa sorgente ha attinto più volte esplicitamente e con entusiasmo san Massimiliano fino a riconoscere nei «militi» dell’Immacolata le future «persone sante» di san Luigi Maria.
Si legga ad esempio quanto scrisse in un suo articolo del 1926 — dal titolo La salvezza attraverso Lei — che descrive perfettamente e con passione questo legame: «[Ripetendo da san Luigi:] “Nasceranno delle persone sante. Esse giungeranno alla santità per mezzo di una singolare devozione verso la Ss. Vergine, santificheranno se stessi e non solo opporranno resistenza agli accaniti nemici di Dio, ma spazzeranno via dalla faccia della terra le eresie, le idolatrie, le empietà, edificheranno il tempio del vero Dio e sproneranno tutti alla vera devozione verso la Madre di Dio”.
«[…] Non è questo appunto lo scopo di tutti i militi dell’Immacolata?»(30).
Questi cristiani militanti in lotta con il serpente dovranno avere anzitutto una specifica caratteristica spirituale: la magnanimità e l’umiltà insieme. Dovrà porsi obbiettivi «grandi» e non avrà dubbi per il loro conseguimento: al motto di Papa san Pio X «instaurare omnia in Christo» fa eco quello di san Massimiliano «rinnovare ogni cosa in Cristo attraverso l’Immacolata» (31). In ogni caso: omnia, ogni cosa, cioè respiro con polmoni dilatati e sguardo su un orizzonte con confini lontani. E certezza di vittoria. Ma la magnanimità e la certezza dell’esito non derivano da irrealismo o da presunzione bensì dall’altra caratteristica fondamentale del carattere del contro-rivoluzionario: l’umiltà, figlia del massimo realismo, che consiste nella profonda consapevolezza che a vincere non saremo noi ma la Regina delle Vittorie. A noi è domandato di fare solo quanto «possiamo» fare, ma che, pur se piccolo, «dobbiamo» fare, per quella collaborazione che dall’alto viene costantemente richiesta all’uomo e che è in fondo la misura della dignità che il Creatore ha voluto dare alla sua creatura.
Dal punto di vista della magnanimità e dell’umiltà, san Massimiliano è davvero un contro-rivoluzionario par excellence.
Fonda la Milizia per la conquista all’Immacolata di tutti i cuori di tutto il mondo, infondendole dinamismo ed entusiasmo con l’ulteriore certezza che «Dio ricompenserà non soltanto quello che avremo fatto, ma anche quello che avremmo desiderato fare, pur senza aver avuto la forza sufficiente per portarlo ad effetto. Desiderare dunque, ma desiderare senza limiti!» (32). E si muoverà sempre in questa prospettiva «grande», senza megalomania ma con il realismo che proviene dall’umiltà di chi non dimentica mai — come egli stesso dirà — di essere soltanto il pennello nelle mani dell’artista (33). Vicino a Varsavia costruisce dal nulla Niepokalanów, la Città dell’Immacolata, che arriverà a contare quasi mille abitanti; il suo giornale Il Cavaliere dell’Immacolata in soli cinque anni raggiungerà la tiratura di circa settantamila copie nel 1927 per arrivare poi incredibilmente, nel 1938, a un milione di copie (34). Il 7 marzo 1930 s’imbarca a Marsiglia per il Giappone con quattro religiosi di Niepokalanów, senza sapere nulla della lingua e della scrittura di quel Paese. Quindi, come racconta egli stesso, «il 24 aprile sbarcammo a Nagasaki e già il mese successivol’Immacolata fece sì che venisse spedito a Niepokalanów in Polonia questo telegramma pieno di gioia: “Oggi spediamo Rycerz giapponese. Abbiamo tipografia. Gloria all’Immacolata”» (35). In Giappone, purtroppo, gli arriva — con ritardo — la notizia della repentina scomparsa, il 3 dicembre, del fratello, padre Alfonso, da lui lasciato a dirigere in sua assenza la Città dell’Immacolata.
Nell’aprile del 1931 ha già il terreno su cui edificare la Niepokalanów giapponese, Mugenzai no Sono, il Giardino dell’Immacolata, dove si trasferirà con i suoi «militi» il 16 maggio. Stupefacente: solo i santi sanno fare cose del genere (36). Cosa di cui, per inciso, padre Kolbe era perfettamente consapevole, se prima di partire era andato a procurarsi un «pieno» di benedizioni, con un lungo pellegrinaggio «[…]a Torino, per invocare la protezione di san Giovanni Cottolengo [1786-1842], a Lourdes, a Parigi, nel luogo in cui Maria aveva mostrato a Caterina Labouré la medaglia miracolosa, e a Lisieux, paese natale della santa protettrice delle missioni» (37).
Eppure, facendo un bilancio dopo un decennio, riflette in questi termini sugli eccezionali risultati raggiunti: «Dobbiamo riconoscere che in confronto con il Komintern ateo i risultati della nostra attività sono ancora molto scarsi» (38). Emerge in questa considerazione un’altra caratteristica del vero contro-rivoluzionario: non perdere mai di vista le dimensioni e le capacità dell’avversario, senza inorgoglirsi e conservando sempre il senso delle proporzioni.
San Massimiliano per tutta la vita non sarà mai vittima dell’orgoglio ma, al contrario, aumenterà sempre la sua gratitudine — e quindi l’amore — verso la Madre celeste, accompagnando tale crescita con quella della pratica dell’ubbidienza. Se nell’ambito contro-rivoluzionario dovessi connotarlo con una propria specificità, sceglierei appunto la sua straordinaria obbedienza, così come la pensa, la pratica e chiede di praticarla. Le idee al riguardo sono chiare a Massimiliano fin dalla sua gioventù «romana» e — in una lettera del 1919, con un’impostazione che è anche una grande lezione per i nostri tempi di anarchie e ribellioni pure dentro la Chiesa — le spiega così al fratello:«Ma come rivela Dio la propria volontà? Per mezzo dei suoi rappresentanti qui sulla terra. L’obbedienza, quindi, e solo la santa obbedienza ci manifesta con certezza la volontà di Dio. I superiori possono sbagliare, ma noi obbedendo non sbaglieremo mai.
«[…] Per mezzo dell’obbedienza noi ci innalziamo al di sopra della nostra pochezza e possiamo agire conforme a una sapienza infinita[…], alla sapienza divina…
«[…] per mezzo dell’obbedienza diventiamo infinitamente potenti: chi, infatti, può resistere alla Volontà di Dio?» (39).
Spostandoci ora sull’asse orizzontale, secondo l’immagine assunta per descrivere la Contro-Rivoluzione, si può notare, anzitutto, che — se essa «[…] è, nel senso letterale della parola, spogliato dai collegamenti illegittimi e più o meno demagogici che a esso si sono aggiunti nel linguaggio corrente, una “re-azione”, cioè, un’azione diretta contro un’altra azione, [che] […] sta alla Rivoluzione come, per esempio, la Contro-Riforma sta alla Pseudo-Riforma» (40) — allora la decisione di costituire la Milizia dell’Immacolata è, da questo angolo visuale, un gesto esemplare. L’offesa alla Verità, alla Chiesa e al Papa inferta da quella «processione» massonica, con quel Lucifero vittorioso e con la frase empia «Il diavolo governerà il Vaticano e il Papa gli farà da guardia svizzera» (41), provocarono in lui la formidabile reazione già descritta, cioè la fondazione della Milizia, interamente consacrata a Maria Immacolata e «[…] il cui scopo immediato sarà “… la sollecitudine per la conversione di tutti gli acattolici, in particolar modo di tutti quei poveretti, i massoni, che accecati dal fanatismo levano la mano contro il Padre più buono di tutti “il papa” mentre lo scopo ultimo è: “ … la gloria di Dio”, e non soltanto una maggior gloria, ma la massima gloria possibile» (42).
E ancora, se «[…] da questo carattere di reazione vengono alla Contro-Rivoluzione la sua nobiltà e la sua importanza» (43) e contro la Rivoluzione che «[…] ci sta uccidendo, niente è più indispensabile di una reazione che miri a schiacciarla» (44) — allora padre Kolbe può davvero considerarsi un contro-rivoluzionario par exellence, sebbene in termini impliciti, per la sua nitida percezione del quadro che dipingerà Corrêa de Oliveira. Come scriverà successivamente, parlando della Città dell’Immacolata ma riferendosi ai suoi «abitanti», «[…] la nostra comunità ha un tono di vita un pochino eroico, […] non solo [si propone] di difendere la fede, contribuire alla salvezza delle anime, ma con un ardito attacco, non badando affatto a se stessi, conquistare all’Immacolata un’anima dopo l’altra, un avamposto dopo l’altro, inalberare il suo vessillo sulle case editoriali dei quotidiani, della stampa periodica e non periodica, delle agenzie di stampa, sulle antenne radiofoniche, […] sui parlamenti, sui senati, in una parola dappertutto su tutta la terra» (45).
«Conosce la Rivoluzione, l’Ordine e la Contro-Rivoluzione nel loro spirito, nelle loro dottrine, nei loro rispettivi metodi. — Ama la Contro-Rivoluzione e l’Ordine cristiano, odia la Rivoluzione e l’“anti-ordine”. —Fa di questo amore e di quest’odio l’asse intorno al quale gravitano tutti i suoi ideali, le sue preferenze e le sue attività» (46), questo è il profilo sintetico che Corrêa de Oliveira traccia del contro-rivoluzionario, cioè, in sostanza, chi opera secondo la corretta antropologia cristiana, prima con l’intelletto, poi con il cuore, poi infine con le azioni. Esso descrive perfettamente le caratteristiche di san Massimiliano, non solo vissute, ma anche «culturalmente» diffuse.
La Milizia dell’Immacolata nasce anzitutto come un atto d’amore verso Dio, verso la Chiesa, verso la Verità violata, un atto d’amore che vuole far passare tutto attraverso Maria, a cui va la sua dedizione illimitata; persegue perciò scopi assolutamente magnanimi — «conquistare il mondo intero ed ogni singola anima» —, con regole spirituali rigorose, castità, povertà e obbedienza assolute, ma ha un suo carattere specifico: è immaginata e costruita in prospettiva combattente, con uno spirito e un linguaggio militanti e con le Medagliette Miracolose che ne «[…] sono “i proiettili”, “le munizioni”, “le mine” […] [che] hanno un potenziale misterioso capace di far breccia nei cuori murati, negli animi ostinati» (47). Come scrive in una lettera, «[…] tutte le Niepokalanów delle singole nazioni costituiranno un’unità strettamente compatta, un’unica armata mondiale, combattente senza sosta sino alla fine dei tempi contro colui del quale è stato detto che, sebbene “Ella ti schiaccerà la testa”, “tu starai in agguato per morderle il calcagno”[Gen. 3, 15]. Perciò, sino alla fine dei tempi egli non cesserà di tentare, di porre ostacoli, di fare ogni sforzo, di combattere, ma solo entro i limiti che l’Immacolata gli consentirà, vale a dire in quanto ciò sarà necessario a noi per raccogliere i meriti in vittorie sempre sicure, se combatteremo sotto il Suo stendardo, con Lei, attraverso Lei, per Lei e in Lei» (48).
Per i «suoi» soldati assume perciò come riferimento la figura del Cavaliere, il Cavaliere dell’Immacolata, che ricalca in modo evidente e dichiarato la figura del cavaliere medievale, a servizio generoso e incondizionato della sua Donna. In un articolo — per descrivere santa Teresa (1515-1582) in cui «[…] si fa strada lo spirito cavalleresco»(49) — parte dalla città natale della santa: «Nata ad Avila, “città di cavalieri” — dove perfino le donne, durante un’assenza dei loro mariti, furono in grado di resistere ad un assedio — era profondamente compenetrata dello spirito della propria città e della propria nazione[…].
«Lo stesso atteggiamento è possibile ravvisare nel connazionale […] s. Ignazio di Loyola, che era stato un soldato» (50).
Con questa figura del Cavaliere padre Kolbe mostra esplicitamente che vuole ripartire da lì, da quell’epoca cosiddetta medievale in cui si costruì una delle civiltà più autenticamente cattoliche della storia dell’uomo e contro la quale la Rivoluzione cominciò il suo itinerario distruttivo. E proprio dal riconoscimento «formale» di quell’epoca mi pare possa cogliersi, anche se solo implicitamente, una sua lettura della storia umana occidentale analoga a quella della scuola contro-rivoluzionaria.
Lo spirito «operativo» della Contro-Rivoluzione deve costruirsi sostanzialmente intorno a due elementi. Il primo è la presa d’atto preliminare, che «il successo finora ottenuto da questi cospiratori, e specialmente dalla massoneria, è dovuto non solo al fatto di possedere un’incontestabile capacità di organizzarsi e di cospirare, ma anche alla loro lucida conoscenza di quanto costituisce l’essenza profonda della Rivoluzione e del modo di utilizzare le leggi naturali — parliamo di quelle della politica, della sociologia, della psicologia, dell’arte, dell’economia e così via — per far procedere la realizzazione dei loro piani» (51). Il secondo elemento, quello per cui la Contro-Rivoluzione«[…] non è e non può essere un movimento che vive fra le nuvole, che combatte fantasmi. Dev’essere la Contro-Rivoluzione del secolo XX[…] e, quindi, contro le passioni […], gli ambienti […], l’arte e […] la cultura […], le correnti e […] gli uomini che a qualsiasi livello, sono attualmente i fautori più attivi della Rivoluzione. La Contro-Rivoluzione non è, dunque, una semplice retrospettiva dei danni causati dalla Rivoluzione nel passato, ma uno sforzo per sbarrarle la strada nel presente» (52). Dunque, anche da questi punti di vsita san Massimiliano è molto in sintonia con essa.
Se la conquista del mondo intero e di ogni singola animaall’Immacolata sono i suoi obbiettivi, egli sa perfettamente che per raggiungerli saranno necessari «anche una organizzazione» (53) e la disponibilità e l’uso di mezzi adeguati, «“Qualsiasi mezzo, purché legittimo”, afferma la pagella d’iscrizione alla M.I.» (54).
Un’adeguatezza da cercare, anzitutto, sul piano intellettuale: più volte san Massimiliano avverte come per il buon esito di ogni azione sia indispensabile — prima di compierla — lo studio preliminare del quadro e dell’avversario, perché essa non sia né occasionale né «spontanea» e quindi non ne sia inficiato l’esito. Ma l’adeguatezza dei mezzi deve perseguirsi anche sul piano materiale, «tecnico». Lo ripete moltissime volte. Mi limito a citare solo una sua lettera del 1931, articolata da me, perché mi sembra, per molti versi, una sorta di «manuale operativo» preparato dallo stesso san Massimiliano.
1. In ogni nazione dovrà sorgere una Niepokalanów nella quale e attraverso la quale l’Immacolata potrà «[…] operare con tutti i mezzi, compresi quelli più moderni, perché le invenzioni dovrebbero servire prima a Lei e dopo per il commercio, l’industria, lo sport, ecc. (perciò la stampa e ora — perché no? — anche le trasmissioni-radio, i films e in genere tutto ciò che in qualsiasi tempo si potrà ancora scoprire per illuminare le menti e per infiammare i cuori)» (55) e, quindi — come raccomanderà ai suoi «militi» —, «non dobbiamo temere il progresso, dobbiamo santificarlo!» (56);
2. tenendo però presente che la parola scritta o detta non basta, ma è necessario il contatto umano; bisogna avvicinarsi «[…] personalmente alle anime per mezzo di corsi di esercizi spirituali, di missioni, di conferenze e di confessioni» (57);
3. con un’avvertenza, una splendida lezione per i «soldati» che decidono di andare in giro a trovare il «mondo» così com’è ridotto per combatterlo e convertirlo: al termine del lavoro ciascuno torni nella sua Città dell’Immacolata. Ogni contro-rivoluzionario ne avrà una, magari di altro nome «[…] per purificarsi della polvere del mondo, medicare le graffiature contratte tra le spine e “in un luogo appartato”attingere nuovamente lo spirito e le energie per successive sortite»(58);
4. tutto ciò premesso e praticato — per usare un linguaggio burocratico — accadrà infine che «si estingueranno allora le eresie, gli scismi, e i peccatori incalliti torneranno, attraverso l’Immacolata, a Dio […] e si compirà la previsione della beata Caterina Labouré […] e cioè che l’Immacolata sarebbe diventata “la Regina del mondo intero e di ognuno singolarmente”» (59).
Questa lettera è esemplare anche per come padre Kolbe la chiude, dandoci, ancora una volta, una piccola, grande lezione di quel particolare realismo che è alla base della magnanimità e che è uno dei tratti più significativi del contro-rivoluzionario. Si firma così: «fr. Massimiliano veramente debole e stupidino» ma, subito dopo — per evitare che qualcuno possa cogliere in ciò un atto di falsa umiltà —, aggiunge un post scriptum che illumina tutto: «Lei sola, però, farà tutto questo» (60).
I mezzi prima descritti, tuttavia, hanno a monte «altri» mezzi, quelli in fondo decisivi, perché dalla qualità della pratica di questi ultimi deriva la qualità degli esiti di quelli. «I mezzi più importanti — scrive san Massimiliano — sono: la preghiera, il lavoro e il sacrificio» (61).
A questo punto, non posso non ricordare, con una certa commozione, come nel 1973 il primo numero di Cristianità, la rivista di Alleanza Cattolica, si aprisse proprio con questo titolo: «Preghiera, azione, sacrificio», definendo così il loro senso: «Preghiera, per impetrare da Dio, attraverso la mediazione della santissima Vergine, la grazia di essere fedeli alla sua legge, sia a quella naturale che a quella rivelata, per ciò che ordina in rapporto alla sua gloria, alla nostra santificazione, e quindi all’amore del prossimo in tutti i suoi gradi e in tutte le sue forme; azione, per diffondere nella sua integrità la buona dottrina, spirituale e sociale, sostenere le cause giuste e resistere ai malvagi;sacrificio, per agire con costanza e abnegazione, e per supplire con volontarie mortificazioni alle offese, sia private che pubbliche, sia individuali che sociali, fatte alla legge di Dio» (62). San Massimiliano, se non dettava, ispirava ampiamente…
Se torniamo, in conclusione, all’immagine dei due assi utilizzata come ausilio per la descrizione della Contro-Rivoluzione, mi sembra che nel loro punto d’incrocio, con buone ragioni, possa a questo punto immaginarsi incisa la descrizione del contro-rivoluzionario più sintetica e più precisa che io conosca: l’ignaziano «in actione contemplativus»(63). Ebbene, padre Kolbe è compreso «dentro» questa incisione, dove nell’uomo s’incontrano cielo e terra: di fronte alla «tensione tra azione e contemplazione — come scrive padre Antonio Di Monda O.F.M. Conv. (1919-2007) —, tra attivismo e preghiera, tra i bisogni urgenti sensibili del mondo e le esigenze profonde dell’anima» (64), riuscì a fondere queste «antinomie […] in perfettissimo equilibrio [dimostrandosi] […]una volta di più, il santo dei nostri tempi» (65).
La IV Rivoluzione e il «patrono del nostro difficile secolo»
Quando il servo di Dio Paolo VI, il 17 ottobre 1971, beatificò questo«umile e mite Francescano» (66), lo chiamò «figlio […] della nobile e cattolica Polonia», aggiungendo che i «[…] raggi iridescenti che si effondono dal novello martire […] fanno risplendere l’autentico volto fatidico di questo Paese, e ci fanno invocare dal Beato suo tipico eroe la fermezza nella fede, l’ardore nella carità» (67).
Ebbene, undici anni dopo, il 10 ottobre 1981, la Provvidenza stabilì che proprio un altro «eroe tipico» di questa terra, il beato Giovanni Paolo II, celebrasse la sua canonizzazione. Due anni dopo, il 18 giugno 1983, nell’omelia in occasione della solenne concelebrazione nella Città dell’Immacolata a Varsavia, lo stesso Papa si chiese, retoricamente, se san Massimiliano fosse solo «il patrono della Polonia […] [e non]piuttosto di tutto il nostro difficile secolo» (68).
Torno per un attimo alla Rivoluzione e alle sue tappe e provo a immaginare, per ognuna di esse, un santo protettore della Contro-Rivoluzione. Se per la Prima Rivoluzione si potrebbe assumere in tale ruolo sant’Ignazio di Loyola e per la Seconda san Luigi Maria Grignion de Monfort — che muore sì nel 1716, ma la cui spiritualità mariana feconderà la reazione vandeana (69) —, per la Terza sceglierei san Massimiliano, questo «figlio della nobile e cattolica Polonia».
Egli è nato, cresciuto e morto martire in un campo di sterminio nella nazione che ha patito più di ogni altra — e addirittura contemporaneamente — le terribili sofferenze delle due massime degenerazioni antinaturali e antireligiose del socialismo, cioè del nazional-socialismo e del social-comunismo, i due «gemelli eterozigoti» (70) secondo lo storico francese Pierre Chaunu.
Inoltre, egli «entra» autorevolmente in quell’anno fatale, quel 1917 in cui — mentre si combatte la guerra mondiale — da una parte la Rivoluzione sovietica e il comunismo trionfano in Russia, dall’altra la Madonna appare più volte a Fatima, in Portogallo, per indicarne la natura di «inferno terreno delle nazioni» e chiamandoci a combatterlo. La Madonna termina le sue apparizioni il 13 ottobre. Padre Kolbe, tre giorni dopo, il 16 ottobre 1917, fonda la Milizia dell’Immacolata. È il primo, il primissimo che risponde e mette a disposizione i suoi «militi». Meno di un mese dopo, il 6 novembre — o 24 ottobre per il calendario giuliano — scoppierà la rivoluzione comunista.
San Massimiliano ha qualcosa da dire, infine, anche in relazione alla IV Rivoluzione, quella deputata a distruggere gli ultimi — e quindi i primi — legami dell’uomo, dalla famiglia fino alla dissoluzione in lui della immagine e somiglianza con Dio, illudendolo — atto estremo di orgoglio — di essere ormai anche il padrone della vita e della morte.
Il beato Giovanni Paolo II ha scritto che, con le modalità della sua morte, «Padre Massimiliano Maria Kolbe ha riaffermato […] il diritto esclusivo del Creatore alla vita dell’uomo innocente e ha resotestimonianza a Cristo e all’amore. […] Massimiliano non morì, ma “diede la vita per il fratello”» (71). Oggi l’uomo pretende di far morire gli altri — per esempio con l’aborto e con l’eutanasia — e sé stesso, con il presunto «diritto» a porre fine alla propria vita. San Massimiliano muore «per» un altro, come Cristo.
Ma almeno altre due lezioni — purtroppo attualissime — possiamo trarre dalla sua morte. La prima è la straordinaria dignità che il suo gesto e il suo comportamento attribuiscono alla famiglia, l’istituto più negletto e più aggredito di oggi. Quando gli chiedono perché vuol morire al posto del sergente di fanteria Franciszek Gajowniczek (1901-1995), risponde: «[…] perché […] ha moglie e figli e io no» (72). Morire per la famiglia di un altro, per la famiglia come istituto, perché una famiglia non può essere senza padre.
La seconda è la natura del suo martirio, che si evince dal laconico dialogo successivo. Dopo aver preso atto di questa «follia», l’ufficiale di Auschwitz gli chiede: «Chi sei?»; e al crudele carceriere nazional-socialista padre Kolbe risponde, presumo con un po’ di ostentato orgoglio: «un sacerdote cattolico» (73).
Come aveva sottolineato Paolo VI, il sacrificio di questo «interprete della nostra consacrazione e della nostra missione» (74) è da considerarsi un «[…] ammonimento in quest’ora d’incertezza nella quale la natura umana vorrebbe […] far prevalere i suoi diritti sopra la vocazione soprannaturale al dono totale a Cristo in chi è chiamato alla sua sequela!» (75). Quell’ora d’incertezza era nel 1971: oltre quarant’anni dopo, il quadro mi sembra un po’ peggiorato, per usare un eufemismo. In questi ultimi anni l’uccisione di sacerdoti in quanto sacerdoti — nel corpo e nell’anima, e quindi non solo con le armi — non sembra aver fine. San Massimiliano può essere assunto anche come loro protettore.
Così come — a questo punto mi pare assolutamente evidente, ma lo era già da allora, quando Giovanni Paolo II se lo chiese retoricamente — possiamo considerarlo non solo patrono della Polonia ma anche«patrono di tutto il nostro difficile secolo». Che non è stato «breve», ma continua inesorabilmente…
Con san Massimiliano entriamo nell’Anno della Fede
La chiusura del Convegno prevista per il giorno prima dell’apertura dell’Anno della Fede impone qualche riflessione — che risulteranno comunque utile anche nella nostra prospettiva e nella nostra contingenza storica — fra questo evento straordinario e la figura di san Massimiliano.
Ne farò due, sulla base di due suoi brevi articoli.
Il primo, datato 1924 e intitolato A sinistra, racconta questo: «In un ristorante di Varsavia alcuni onorevoli deputati della Democrazia cristiana hanno mangiato pubblicamente la carne in giorno di venerdì.
«Non sembra necessario alcun commento, poiché abbiamo qui una specie di “cerchio quadrato”: lo “spirito cristiano” e la “carne al venerdì”. Ma qui si tratta di cristiani autentici, vale a dire di coloro che aderiscono alla Chiesa fondata da Cristo e non ad una setta di di apostati — qui forse era in deficit di esperienza —. Ma forse quei signori erano ammalati!? Perché, allora, hanno fatto una manifestazione pubblica? Che debbo dire?!…
«Facciamo così: per questa volta invito, e molto vivamente, queglionorevoli signori a fare una cosa soltanto: a dichiararsi apertamente protestanti, ebrei, maomettani o buddisti, oppure, se vogliono essere cristiani, ad esserlo davvero e non importunare i loro elettori con un cristianesimo mascherato. Se però questa richiesta non otterrà il suo effetto, state pur sicuri, signori miei, che considererò mio santo dovere informare i vostri elettori, durante le prossime elezioni, affinché non sbaglino di nuovo» (76).
In un’altra occasione padre Kolbe si domanderà: «Perché molti sono capaci di procurarsi dei libri adeguati per acquisire la scienza, mentre per informarsi sulla religione cattolica si procurano delle fonti inadeguate, talvolta sospette, pur di non prendere in mano il libro più sicuro e più chiaro: il catechismo?» (77).
Più di ottant’anni dopo, questa domanda non ha ancora una risposta. O forse ne ha troppe. Siamo al punto. I cattolici non maliziosi ricorderanno come per aprire l’Anno della Fede il Papa abbia scelto l’11 ottobre 2012 perché in esso cadono due anniversari: il cinquantesimo dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e il ventesimo della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (78).
Si può, allora, cogliere l’occasione per farsi aiutare da san Massimiliano a diffondere questo libro aureo anche fra i «politici» che si dicono rappresentanti del mondo cattolico, per ricordare loro che in esso sono contenuti i criteri per giudicare moralmente anche il loro operato. «Sei un politico cattolico? Sì? Bene, allora dimostralo, rendilo evidente!». Ti giudicherò con quello che è scritto qui, sul Catechismo della Chiesa Cattolica.
Solo così si potrà immaginare di cominciare a risalire la china, per recuperare, non dico la cristianità medievale, ma almeno un po’ di quel mondo descritto da san Massimiliano — e siamo al secondo articolo — quando racconta del suo arrivo a Vilnius, in Lituania, e del suo primo incontro, alla Ostra Brama, la Porta dell’Aurora, con quella Mater Misericordiae che, appena qualche anno dopo, sarebbe diventata la Madre di Dio Misericordioso e poi avrebbe avuto al fianco — per la sua prima venerazione pubblica — il Gesù Misericordioso che santa Faustina Kowalska (1905-1938) — come racconta nel suo Diario — proprio lì lo vide fare «[…] un vivido movimento della mano […] che tracciava un grande segno della croce» (79).
E proprio in quel luogo, Giovanni Paolo II, il 4 settembre 1993, quattro anni dopo la fine dell’impero sovietico, all’inizio della sua visita pastorale nella regione del Baltico volle recitare un rosario per ringraziare «[…] la Madre del Signore nel vedere allontanate dalla Lituania e dagli altri Paesi confinanti, dopo tanti anni di sofferenza e di prova, le nuvole oscure dell’occupazione e della persecuzione, dell’imposizione del silenzio su Dio e della paralizzante privazione delle libertà umane fondamentali» (80). Nella fotografia si vede il Pontefice inginocchiato davanti alla sacra icona da solo, ma avrà immaginato di avere al suo fianco — e li avrà avuti — anche gli altri due grandi figli«della nobile e cattolica Polonia», da un lato san Massimiliano, dall’altro santa Faustina.
Torniamo a padre Kolbe, che entra sotto l’arco e vede tutti togliersi il berretto, anche gli ufficiali in carrozza e perfino un ebreo che ha il«capo scoperto e […] il berretto in mano». Il suo compagno di viaggio gli spiega che «[…] qui tutti rendono omaggio alla santissima Vergine, senza riguardo alla differenza di confessione religiosa; qualora uno sene dimenticasse, troverebbe subito un amico a rinfrescargli la memoria, togliendogli magari in modo rude il berretto dal capo» (81).
Il buio non gli permette di vedere l’immagine della Madre della Misericordia. Il giorno dopo, accompagnato da un frate francescano, si reca perciò a «[…] rendere omaggio ancora una volta alla potente Regina di Wilno. […] “Ora ti mostro come si fa” — gli dice l’amico frate —, e si inginocchia sul marciapiede» (82). S’inginocchia anche lui e vede che intorno a lui tutti sono in ginocchio. E, quando arriva un drappello di soldati, tutta «la truppa presenta le armi in segno di venerazione e abbassa le armi solo dopo aver oltrepassato la porta»(83).
Padre Kolbe termina con questa invocazione: «Beata e cara Wilno, fortunati tutti coloro che passeranno sotto questa Porta benedetta, nella quale dimora Colei che è in grado di contraccambiare ogni minima manifestazione di amore! Quante anime saranno debitrici della loro conversione e della loro salvezza solo al fatto di essere passate per quella porta e di essersi tolte il berretto, magari malvolentieri…»(84).
Ecco, allora, l’augurio finale: che tanta nostra Italia — vecchi e giovani, uomini e donne, soldati, studenti, contadini, noi — fra qualche ora possa attraversare la Porta fidei ed entrare nell’Anno della Fede non solo con il Catechismo sotto il braccio ma anche con un po’ dello spirito con cui a Vilnius quella gente lituana, polacca, bielorussa, ucraina attraversava la Porta dell’Aurora. San Massimiliano c’indicherà come fare, certamente insieme agli altri due grandi figli della sua terra, santa Faustina e il beato Giovanni Paolo II. La Mater Misericordiae sarà anche qui, sulla Porta fidei per aiutarci ad allontanare le «nuvole oscure» che si sono minacciosamente addensate nel nostro cielo di oggi.
Guido Verna
Note:
(1) Cfr. Benedetto XVI, Discorso «Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni» in occasione dell’incontro con i rappresentanti della scienza nell’Aula Magna dell’università di Regensburg, del 12-9-2006, testo originale tedesco in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. II, 2, 2006. (Luglio-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, pp. 257-267, trad. it. in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 14-9-2006.
(2) Cfr. Idem, Lettera enciclica «Spe salvi» sulla speranza cristiana, del 30-11-2007.
(3) Leone XIII, Lettera enciclica «Immortale Dei», del 1°-11-1885, inEnchiridion delle Encicliche, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1997, ed. bilingue, vol. III, Leone XIII (1878-1903), pp. 330-375 (p. 349 e p. 351).
(4) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, trad. it., a cura di Giovanni Cantoni, Sugarco, Milano 2009.
(5) Per un inquadramento del 1968 come rivoluzione in interiore homine, cfr. Enzo Peserico (1959-2008), Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e Rivoluzione, Sugarco, Milano 2008.
(6) Massimo Introvigne, «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» nel contesto brasiliano del 1959. La bellezza della Cristianità contro la volgarità del moderno, all’indirizzo Internet: <http:// www.cesnur.org/ 2009/mi_rcr.htm> (gl’indirizzi Internet del presente articolo sono stati consultati il 28-10-2014).
(7) Pio XII, L’augurale e trionfale inno del supremo pastore nel XXX° della unione uomini di azione cattolica, del 12-10-1952, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XIV, Quattordicesimo anno di pontificato. 2 Marzo 1952-1° Marzo 1953, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1953, pp. 357-362 (p. 359).
(8) Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, vol. terzo, Quaderni 12(XXIX)-29 (XXI), edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di Valentino Giarratana (1919-2000), Einaudi, Torino 1975, pp. 1835-1904 (p. 1860).
(9) Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, a cura di Aurelio Dionisi S.J. (1911-2003), Editrice Àncora, Milano 1967, n. 136, p. 166.
(10) Leone XIII, Lettera enciclica «Humanum genus» di condanna del relativismo filosofico e morale della massoneria, del 20-4-1884, inEnchiridion delle Encicliche, cit., vol. III, pp. 286-321 (p. 287).
(11) Cfr. san Pio X, Motu proprio Sacrorum antistitum quo quaedam statuuntur leges ad modernismi periculum propulsandum, del 1°-9-1910, in Acta Apostolicæ Sedis, vol. II (1910), n. 17, pp. 655-669; la formula del giuramento è alle pp. 669-672 (la citazione è a p. 671).
(12) Redazione, Lo scopo del Rycerz, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, trad. it., 3 voll., Città di Vita, Firenze 1975-1978, vol. III, pp. 2-3 (p. 3).
(13) Giovanni Paolo II, Discorso ai membri della «Milizia dell’Immacolata», del 18-10-1981, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. IV, 2, 1981 (Luglio-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1982, pp. 456-459 (p. 458).
(14) La M.I., in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. III, pp. 489-491 (p. 491).
(15) A P. Floriano Koziura, Niepokalanów, Mugenzai no Sono, del 2-12-1931, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. I, pp. 652-657 (p. 654).
(16) Ibidem, p. 655.
(17) Come è sorta la Milizia dell’Immacolata, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. III, pp. 668-672 (p. 669).
(18) La M.I., cit., pp. 489-490.
(19) A Fr. Alfonso Kolbe, Cracovia, Zakopane, del 27-10-1920, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. I, pp. 99-102 (p. 101).
(20) A P. Cornelio Czupryk, Leopoli, Niepokalanów, del 21-12-1928, inGli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. I, pp. 326-328 (p. 326).
(21) La nostra guerra, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. III, pp. 343-346 (p. 343).
(22) La Chiesa e il socialismo, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. III, pp. 60-65 (p. 60).
(23) Ibid., p. 63-64.
(24) Ibid., p. 65.
(25) Ibidem.
(26) Ibidem.
(27) Ibidem.
(28) Joseph de Maistre, Considerazioni sulla Francia, trad. it., con unaPrefazione di Guido Vignelli, Editoriale Il Giglio, Napoli 2010, p. 125.
(29) Cit. in P. Corrêa de Oliveira, Meditazioni su alcuni santi del calendario. 28 aprile: S. Luigi Maria Grignion de Monfort, trad. it.,<http://www.cescor.org/0428.html>.
(30) La salvezza attraverso Lei, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. III, pp. 291-293 (pp. 291-293).
(31) Cfr. Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941), presbitero, martire, O.F.M. Conv., <http:// www.vatican.va/ news_services/ liturgy/ saints/ ns_ lit_ doc_ 19821010_ massimiliano_ kolbe_ it.html>.
(32) M. M. Kolbe, L’innamorato di Maria, testi a cura dei frati minori conventuali della Basilica di San Giuseppe da Copertino in Osimo (Ancona), Shalom, Camerata Picena (Ancona) 2009, p. 419.
(33) Cfr. ibid., pp. 195-197.
(34) Cfr. ibid., p. 212.
(35) Nel decennale di Niepokalanów, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. III, pp. 492-498 (p. 496).
(36) Cfr. Idem, L’innamorato di Maria, cit., pp. 197-198.
(37) Elisabetta Cassani, Nicola Celora, Saul Celora, Giuseppe Marani e Cristina Marchetti (a cura di), Kolbe «Patrono del nostro difficile secolo», Itaca libri, Castel Bolognese (Ravenna) 2008, p. 29; il volume è stato realizzato in occasione della mostra allestita durante la XXI edizione del Meeting per l’amicizia tfra i popoli (Rimini agosto 2000).
(38) Nel decennale di Niepokalanów, cit., p. 495. Il Komintern (Kommunistische Internationale) era l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti, fondata a Mosca nel 1919.
(39) A Fr. Alfonso Kolbe, Cracovia, Roma, del 21-4-1919, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. I, pp. 43-46 (p. 44-45).
(40) P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, cit., p. 101.
(41) Perché la M.I.? Perché il Rycerz? Perché Niepokalanów?, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. III, pp. 664-668 (p. 665).
(42) Idem, L’innamorato di Maria, cit., p. 86.
(43) P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, cit., p. 101.
(44) Ibidem.
(45) A P. Cornelio Czupryk, Leopoli, cit., p. 326.
(46) P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, cit., p. 109.
(47) M. M. Kolbe, L’innamorato di Maria, cit., p. 98.
(48) A P. Floriano Koziura, Niepokalanów, cit., p. 656.
(49) Grazia divina e doni di natura nei santi, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. III, pp. 30-35 (p. 33).
(50) Ibidem.
(51) P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, cit., p. 69.
(52) Ibid., pp. 101-102.
(53) A P. Floriano Koziura, Niepokalanów, cit., p. 655.
(54) Ai militi e alle militi dell’Immacolata, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. III, pp. 484-488 (p. 486).
(55) A P. Floriano Koziura, Niepokalanów, cit., pp. 652-653.
(56) M. M. Kolbe, L’innamorato di Maria, cit., p. 126.
(57) A P. Floriano Koziura, Niepokalanów, cit., p. 654..
(58) Ibidem.
(59) Ibid., p. 655.
(60) Ibid., p. 656.
(61) Ai militi e alle militi dell’Immacolata, cit., p. 486.
(62) Cfr. «Preghiera, azione, sacrificio», in Cristianità. Organo ufficiale di Alleanza Cattolica, anno I, n. 0, Piacenza luglio-agosto 1973, pp. 1 e 10 (http:// www.alleanzacattolica.org/ indici/ editoriali/ e0.htm).
(63) Cfr. Jerónimo Nadal [S.J. (1507-1580)], In examen annotationes, in Epistolae, 4 voll., Lopez del Horno, Madrid 1898-1905, vol. IV (Selecta natalis monumenta in ejus epistolis commemorata), ep. 66, pp. 649-653 (p. 651).
(64) Antonio Di Monda, Splendori di un’anima. P. Massimiliano Kolbe,Tipografia Laurenziana, Napoli 1971, p. 41.
(65) Ibid., p. 40.
(66) Paolo VI, Omelia durante la Solenne beatificazione di Padre Massimiliano Maria Kolbe, del 17-10-1971 in Insegnamenti di Paolo VI,1971, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1972, pp. 905-911 (p. 908).
(67) Ibid., p. 911.
(68) Giovanni Paolo II, Omelia durante la Solenne Concelebrazione nella «Città dell’Immacolata», Niepokalanów (Polonia), del 18-6-1983, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VI, 1, 1983 (Gennaio-Giugno), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1983, pp. 1549-1557 (p. 1555).
(69) Cfr., sintetico e insieme sufficientemente esauriente, il volume di Reynald Secher, Il genocidio vandeano, trad. it., con una prefazione di Jean Meyer e una presentazione di Pierre Chaunu (1923-2009), Effedieffe, Milano 1989.
(70) Cit. in Alain Besançon, Novecento, il secolo del male. Nazismo, comunismo, shoah, trad. it., prefazione di Vittorio Mathieu, Lindau, Torino 2008, p. 17. Cfr. anche Ernst Nolte, La guerra civile europea 1917-1945. Nazionalsocialismo e bolscevismo, trad. it., Rizzoli, Milano 2008.
(71) Giovanni Paolo II, Omelia in occasione della Canonizzazione di Massimiliano Maria Kolbe, del Roma, 10-10-1982, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. V, 3, 1983 (Luglio-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1982, pp. 753-758 (pp. 754 e 757).
(72) M. M. Kolbe, L’innamorato di Maria, cit., p. 277.
(73) Ibidem.
(74) Paolo VI, omelia cit.
(75) Ibidem.
(76) A sinistra…, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. III, p. 165 (p. 165).
(77) Perché?…, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. III, p. 323 (p. 323).
(78) Cfr. Benedetto XVI, Lettera apostolica in forma di «motu proprio» «Porta Fidei», dell’11-10-2011.
(79) Faustina Kowalska, Diario. La misericordia divina nella mia anima, trad. it., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, p. 416.
(80) Giovanni Paolo II, Parole nella recita del Santo Rosario nel Santuario della «Porta dell’aurora» a Vilnius, del 4-9-1993, testo originale lituano in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XVI, 2, 1995 (Luglio-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1996, pp. 619-621 (p. 620), trad. it. in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 6/7-9-1993.
(81) A Ostra Brama, in Gli scritti di Massimiliano Kolbe eroe di Oświęcim e beato della Chiesa, cit., vol. III, pp. 77-79 (pp. 77-78).
(82) Ibid., p. 78.
(83) Ibidem
(84) Ibidem.