« Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Ed egli disse loro questa parabola: “Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte” » (Lc 15,1-10)
Nell’Antico Testamento Dio è spesso descritto come un pastore (Sal 23; Is 40,11) e anche il Messia è annunciato per mezzo della figura del pastore (Mi 5,1-4; Zc 13,7). Ezechiele mette insieme queste due differenti tradizioni perché annuncia che Dio stesso cercherà le sue pecore ovunque si sono perdute per radunarle (Ez 34,11-16) e manderà il Messia, figlio di Davide a guidarle (22-24). Ma sussiste ancora una certa ambiguità: chi sarà il pastore? Dio o il figlio di Davide? Con Gesù l’ambiguità si scioglie e le profezie si compiono in un modo che le trascende. Lui è il pastore che ci viene a cercare e ci riporta a casa sulle proprie spalle. « Gesù invita i peccatori alla mensa del Regno: “Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”(Mc 2,17) [cfr. 1Tm 1,15]. Li invita alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno, ma nelle parole e nelle azioni mostra loro l’infinita misericordia del Padre suo per loro [cfr. Lc 15,11-32] e l’immensa “gioia” che si fa “in cielo per un peccatore convertito” (Lc 15,7). La prova suprema di tale amore sarà il sacrificio della propria vita “in remissione dei peccati” (Mt 26,28) » (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 545). In una cultura pastorale la perdita di una pecora è sempre un guaio grosso e quando viene ritrovata si fa festa. Così, se una donna perde una moneta (una dracma, una moneta d’argento del valore all’incirca di un denaro romano, cioè della paga per un giorno di lavoro) la cerca affannosamente e, una volta ritrovatala, festeggia con amiche e vicine. Il perdono di Dio è causa di gioia per Lui e per tutta la corte celeste (angeli e santi) perché è frutto del suo amore. Accogliendo la sua misericordia noi diamo gioia a Dio! Ma Dio non ha bisogno della gioia che gli possiamo dare noi… Dio non ha bisogno di nulla. Amando però vuole aver bisogno della nostra corrispondenza. In fondo questo è il mistero supremo della vita.
Don Pietro Cantoni