Da “Il quotidiano di Puglia” del 13 novembre 2016.
Premesse utili per evitare equivoci:
a. a differenza dell’insigne costituzionalista che risponde al nome di Roberto Benigni, non ho mai pensato che la Costituzione italiana sia la più bella del mondo: se realmente lo fosse, Benigni non vorrebbe cambiarne più d’un terzo (visto che è per il Sì), tante sue disposizioni non sarebbero ancora inattuate, e tante altre non avrebbero avuto una applicazione diversa da quella originaria;
b. ritengo – senza alcuna angoscia conservativa – che la nostra Costituzione sia un testo davanti al quale si può avere un tratto più disteso di quello che aveva Mosè quando scese dal monte Sinai col Decalogo: la Costituzione del 1948 risente del contesto culturale che ne ha accompagnato la stesura, delle complicate mediazioni fra gli orientamenti di chi l’ha scritta, dell’assenza all’epoca di fonti di diritto sovraordinate come quelle europee;
c. desidero rispetto per il mio voto: mi viene domandato se sono favorevole o contrario al cambiamento di 47 articoli della nostra legge fondamentale. Punto. Non mi viene chiesto se voglio che l’Italia esca dall’Europa (come teme Benigni quando evoca la Brexit), se voglio che l’Italia precipiti in un burrone (come da copertina dell’Economist), né se voglio allontanare gli investimenti (come preconizza l’ambasciatore Usa in Italia), e ancor di meno se voglio che cada il governo Renzi (come quest’ultimo ha ipotizzato all’inizio). Prego che mi sia tolta la sgradevole sensazione che la scheda del referendum coincida con un revolver puntato in fronte;
d. sarei stato a mio agio con la possibilità di disamina distinta delle varie parti della riforma: 4-5 quesiti omogenei, certamente formulabili, avrebbero permesso di modulare i sì e i no. Invece viene concesso un prendere o lasciare, come alla roulette. Ma la Costituzione non è un tavolo da gioco: sono costretto a decidere sulla base di ciò che domina, e la dominante è negativa.
Sarebbe bello se la riforma fosse spiegata non con lo spot della Presidenza del Consiglio, bensì con un’onesta scheda sinottica – tanti uffici studi ne hanno compilate – che riporti in una colonna la Costituzione come è adesso e nell’altra come viene fuori dalle modifiche: la scelta del voto dovrebbe basarsi su questo raffronto. Accompagnato dal quadro sinottico fra slogan e realtà. Ne accenno due, ben consapevole che ve ne sono altri, egual- mente importanti (sui quali mi permetto di rinviare a www.centrostudilivatino.it).
Slogan n. 1: abolizione del bicameralismo paritario, e quindi efficienza e rapidità nella formazione delle leggi. Il soggetto qui chiamato in causa è il Senato che, come è stato illustrato pure su queste colonne, avrà come 95 componenti fissi (il dato variabile è quello dei senatori nominati dal Capo dello Stato, fino a 5, e degli ex Presidenti della Repubblica): 74 consiglieri regionali + 21 sindaci, tutti eletti dai consigli regionali in relazione alla popolazione residente in modo da garantire la rappresentanza anche delle minoranze.
Qui iniziano domande finora rimaste senza risposta: come si fa a tutelare le minoranze nelle regioni (la metà del totale) nelle quali i senatori da eleggere sono appena due e uno di essi è un sindaco? Come si fa a ottenere efficienza da un Senato la cui composizione cambia in continuazione, visto che consiglieri regionali e sindaci ne fanno parte finché dura la consiliatura di cui sono espressione?
Nel 2006/08 ero al Senato, e la salute del governo Prodi 2 dipendeva dalla salute dei 5/6 senatori a vita: meno del 2% del totale, eppure decisivi per ogni voto. Con la riforma la precarietà sale a quota 95 su 100.
Senza dire che il nuovo Senato avrà competenze eventuali (può chiedere di esaminare per un parere materie di spettanza esclusiva della Camera), mantiene competenze concorrenti su un piano di parità con la Camera, acquista competenze proprie, di enorme rilievo: è così che si riduce il bicameralismo?
Fra le sue competenze esclusive rientra la partecipazione “alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’UE”: sarà l’unico caso al mondo di un ramo del Parlamento di composizione localistica con competenza sovranazionale. Il miglior sindaco del nostro territorio, scelto come senatore dalla regione Puglia, ha esperienza e profilo istituzionale adeguati per svolgere un compito simile?
Senza dimenticare che il Governo nazionale ha competenze nella formazione delle norme UE e nella definizione delle relative politiche: che cosa accadrà in caso di contrasto fra Governo e Senato, col primo che verso il secondo non può azionare neanche il voto di fiducia? Si riaprirà la stagione dei conflitti davanti alla Corte costituzionale?
Con quale vantaggio per efficienza e stabilità?
Slogan n. 2, molto usato ultimamente dal presidente del Consiglio: i sostenitori del No non propongono nulla in alternativa, dicono No e basta! Se gli interlocutori per il No sono i signori con i quali il premier accetta di confrontarsi in TV, viene la tentazione di dargli ragione: ma è lui che rifiuta confronti con soggetti nati dopo il paleolitico superiore.
Quali sono i punti qualificanti – condivisi da una vasta area del No – per una riforma necessaria e seria?
1. Nel 1948 le istituzioni europee non esistevano, mentre oggi l’80% delle norme che disciplinano la nostra vita quotidiana è di provenienza comunitaria.
Nella Costituzione l’ordinamento europeo è ignorato per la semplice ragione che 70 anni fa non c’era, ma la sua attuale consistenza e la sua prevalenza qualitativa e quantitativa impongono di rivedere le norme costituzionali, e di individuare meccanismi più chiari e precisi – in salita – di collaborazione nazionale alla formazione delle norme europee e – in discesa – di corretto recepimento di queste ultime. Nella riforma il tema non è sfiorato.
2. Nel 1948 beni oggi individuati come prioritari non comparivano neanche all’orizzonte. Si pensi per tutti alla privacy e al peso che essa ha assunto in settori come sanità e sicurezza.
La riforma non si è posta il problema di dare spazio al proprio interno a beni giuridici come questo.
3. La Costituzione non contiene l’esplicita menzione della tutela della vita né, a proposito della famiglia, la precisazione che essa si forma quando si sposano un uomo e una donna: nel 1948 era scontato che il diritto alla vita fosse la premessa per il godimento degli altri diritti e che la famiglia è quella naturale. Oggi è ancora così? Pure questo non trova riscontro nella riforma.
4. Nel 1948 la magistratura non pretendeva – neanche in proprie componenti minoritarie – di creare il diritto prima del Parlamento,come invece accade da qualche decennio: riequilibrare i poteri dello Stato per rendere più marcati i confini dell’uno e dell’altro è un problema di democrazia, purtroppo pur esso ignorato dalla riforma.
Nell’indicare alcune delle piste di approfondimento per una riscrittura della Costituzione adeguata alle esigenze del momento, si è “vecchi” e legati agli schemi del passato o si guarda con realismo – oltre gli slogan – ai problemi del presente?
Alfredo Mantovano