Da “La Nuova Bussola Quotidiana” del 15 novembre 2016.
Dopo il discorso della vittoria la notte dell’8 novembre e l’intervista a The Wall Street Journal, il terzo intervento pubblico del presidente eletto Donald J. Trump, l’intervista concessa alla giornalista Lesley Stahl venerdì 11 novembre e trasmessa poi domenica 13 dalla rete CBS nella trasmissione 60 Minutes, entra nel merito di uno dei temi più roventi di tutta la campagna elettorale: l’immigrazione, e quindi pure il famoso muro al confine con il Messico. Ancora una volta è però un altro Trump quello che parla; un Trump realista con indosso i panni dell’uomo di governo. Sulla scottante, anzi scabrosa questione dei clandestini non ha dubbi: verranno espulsi o arrestati gli spacciatori di droga, i gangster e i pregiudicati. Il presidente azzarda una cifra: due, forse tre milioni di persone; più che un numero esatto (il numero esatto, infatti, ora non lo può conoscere) è una indicazione d’intenti. Nessuna “deportazione” in stile Terzo Reich di undocumented e illegali, che le stime ufficiali danno tra gli 11 e i 12 milioni di persone, ma solo “tolleranza zero” contro il crimine.
Lo stesso dicasi per il famoso muro fra Stati Uniti e Messico, che si farà. Anche qui le menzogne mediatiche sono tante. Il muro, infatti, c’è già. Dal 1994. Lo fece costruire il presidente di allora, Bill Clinton. Corre per circa un terzo della linea di confine che è di 3200 km circa. Ma è una barriera. Per alcuni tratti è uno sbarramento di lamiera, altrove sono reti, filo spinato, cavalli di frisia oppure anche nulla, grazie al terreno impervio che fa il lavoro da sé o al monitoraggio video delle guardie di confine. Ebbene, come sarà nell’era Trump nessuno lo sa perché i progetti allo studio sono diversi. Guido Olimpio ne ha tratto un bel servizio sul Corriere della Sera del 14 novembre, ma molti dati stanno disinvoltamente su Wikipedia. L’unica certezza è il motivo per cui Trump lo vuole rafforzare, che è lo stesso per cui Bill Clinton lo fece costruire: anzitutto tenere lontani i malviventi che devastano i giovani statunitensi con quintali di droga, diffondono il racket, inquinano l’economia del Paese; quindi impedire il rientro dei criminali che finalmente verranno espulsi. Certo, è lecito chiedersi se sia giusto costruire una barriera così, ma solo perché non è chiaro se funzioni, visto che i banditi sono già abilissimi nel superarla scavando tunnel. Del resto, a confermare che la barriera di Bill Clinton e di Donald Trump mira solo alla malavita è il famoso asso del narcotraffico messicano Joaquín Guzmán noto come El Chapo, il quale via Twitter si dice pronto ad abbatterla quella barriera. Le anime belle arruoleranno anche un criminale di questo calibro come testimonial anti-Trump?
L’intervista del presidente eletto alla CBS reca però altre notizie importanti, le prime nomine per la squadra di governo: Reince Priebus guiderà il gabinetto presidenziale (sarà chief of staff) e Stephen K. Bannon la divisione strategica (sarà chief strategist e senior counselor). Sono nomi chiave. Priebus, 44 anni, avvocato, di ascendenza greca, è stato dal gennaio 2011 a oggi il presidente del Republican National Comittee, l’organo di governo del Partito Repubblicano. Critico serio di Trump, ha capitanato, assieme al presidente della Camera federale dei deputati Paul Ryan, l’opposizione interna al tycoon. Incarna cioè quell’establishment del partito che per tutte le primarie Trump ha detto di voler annientare. Ma oggi l’establishment del partito altro non è che il personale cresciuto negli otto anni di presidenza di Barack Obama attraverso i “Tea Party”. Se oggi i “Tea Party” si vedono molto meno o quasi più è proprio perché hanno compiuto la missione, condizionando in senso conservatore il Grand Old Party (GOP, l’altro nome del Partito Repubblicano) e nel GOP “piazzando” uomini propri. Priebus è uno di questi. Tra l’altro, in luglio, quando il programma del GOP era allo studio e Trump sembrò volerlo annacquare con qualche clausola possibilista non pienamente favorevole al diritto alla vita, fu Priebus a metterci la faccia dicendo che la vita comincia dal concepimento e che questo è ciò che pensa il GOP. Che oggi Trump scelga un uomo così per manovrare la macchina della sua presidenza dopo il confronto duro che lo ha diviso dal GOP significa che il Trump presidente intende, un po’ per amore e un po’ per forza, continuare ad appoggiarsi al GOP, altro che rottamarlo.
Quanto alla sua seconda nomina, Bannon, 62 anni, è un messaggio complementare quello che giunge. A tutti Bannon è noto come CEO della campagna elettorale di Trump, ma non tutti ricordano che è anche stato sino a oggi il presidente esecutivo di Breitbart News, il sito conservatore d’informazione che la stampa descrive come punta di diamante della cosiddetta “Alt Right” laddove “alt” sta per “alternative”. Viene descritta come la fronda al conservatorismo classico fatta da blog e siti marcatamente ostaggio di fanatici, suprematisti bianchi e antisemiti, ma l’impressione persistente è che si tratti di una costruzione in gran parte mediatica a scopo denigratorio. Quando nel 1980 Ronald Reagan (1911-2004) fu eletto presidente si parlò di “New Right”: era il conservatorismo di sempre calato nella realtà politica di quel preciso momento storico. Ecco, Breitbart News è l’emblema della “new New Right” di oggi: il conservatorismo di sempre in abiti e strumenti alla moda. Trump conferma di volersi appoggiare al mondo antico e nuovo del conservatorismo. Il picconatore è stato insomma pensionato dal presidente, il quale a CBS ha detto altre due cose importanti: primo che presto nominerà il giudice mancante alla Corte Suprema e sarà un antiabortista, secondo che il “matrimonio” omosessuale è oramai legge federale e così resterà. Il mondo conservatore a cui Trump non può fare a meno di rivolgersi, visto che tra l’altro in buona parte ne ha determinato il successo contro ogni speranza e annuncio, plaude entusiasta alla prima notizia e già promette battaglia per la seconda. Sarà sempre questa la cifra della nuova presidenza: un bicchiere mezzo pieno che spetterà ai conservatori eletti al Congresso e quelli attivi nel movimento cercare di colmare. Con Trump e oltre Trump.
Marco Respinti