Ricorre quest’anno il 50esimo anniversario della lettera apostolica Octogesima Adveniens di S.S. Paolo VI, pubblicata nel 1971, a 6 anni dalla conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II, per commemorare gli 80 anni dalla celebre enciclica Rerum Novarum di S.S. Leone XIII. Si ripropongono «princìpi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione» a cui le comunità cristiane devono attingere per affrontare le nuove sfide: l’esodo dalle campagne, l’urbanizzazione, gli squilibri della crescita tra aree e Paesi differenti, la crescita demografica, l’influenza crescente dei mass-media, i rischi delle scelte ideologiche di Stati e partiti politici che, ispirate a falsi umanesimi, potrebbero sfociare in democrazie autoritarie.
di Maurizio Milano
«L’80° anniversario della pubblicazione dell’enciclica Rerum novarum, il cui messaggio continua a ispirare l’azione per la giustizia sociale, ci spinge a riprendere e a prolungare l’insegnamento dei nostri predecessori, in risposta ai nuovi bisogni di un mondo in trasformazione. La chiesa, infatti, cammina con l’umanità e ne condivide la sorte nel corso della storia. Annunciando agli uomini la buona novella dell’amore di Dio e della salvezza nel Cristo, essa illumina la loro attività con la luce dell’evangelo, aiutandoli in tal modo a corrispondere al divino disegno d’amore e a realizzare la pienezza delle loro aspirazioni»: così esordisce Papa Paolo VI, approfittando dell’anniversario dell’enciclica Leoniana per confermare e attualizzare il magistero sociale dei suoi predecessori, scegliendo non un’“enciclica” ma una meno impegnativa “lettera apostolica”.
Esaminando il nuovo contesto, Papa Montini afferma che «differenze evidenti sussistono nello sviluppo economico, culturale e politico delle nazioni: accanto a regioni fortemente industrializzate, altre sono ancora allo stadio agricolo; accanto a paesi che conoscono il benessere, altri lottano contro la fame; accanto a popoli ad alto livello culturale, altri continuano a occuparsi della eliminazione dell’analfabetismo. Da ogni parte sale un’aspirazione a maggiore giustizia e si alza il desiderio di una pace meglio assicurata, in un mutuo rispetto tra gli uomini e tra i popoli» (n.2). Paolo VI stigmatizza l’inerzia di chi non fa nulla per porre rimedio alle ingiustizie esistenti, ma ammonisce anche quelli che «si lasciano sedurre da ideologie rivoluzionarie, che promettono, non senza illusione, un mondo definitivamente migliore» (n.3). In considerazione delle grandi differenze di situazioni, il Pontefice non intende «pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale», che sarebbe ideologico, ma sprona all’azione le «comunità cristiane» invitandole ad attingere «principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della chiesa, quale è stato elaborato nel corso della storia, e particolarmente in questa èra industriale, a partire dalla data storica del messaggio di Leone XIII “sulla condizione degli operai”» e ripreso poi nelle lettere encicliche Quadragesimo anno e Mater et magistra (n.4).
Paolo VI afferma la necessità di «collocare i problemi sociali posti dall’economia moderna – condizioni umane di produzione, equità negli scambi dei beni e nella ripartizione delle ricchezze, significato degli accresciuti bisogni di consumo, attribuzione delle responsabilità – in un contesto più largo di nuova civiltà. Nei mutamenti attuali, così profondi e così rapidi, l’uomo […] ha nondimeno bisogno di rischiarare il proprio avvenire – ch’egli sente tanto insicuro quanto mutevole – con la luce di verità permanenti» (n.7).
Con riferimento alle nuove sfide, Papa Montini segnala «l’esodo permanente dalle campagne» e la crescente urbanizzazione (n.8) con la nascita di una «civiltà urbana» che pone, insieme a grandi opportunità, anche «nuovi problemi sociali: disoccupazione professionale o regionale, riqualificazione e mobilità delle persone, adattamento permanente dei lavoratori, disparità di condizioni nei diversi settori dell’industria» (n.9), oltre allo sradicamento di uomini che si trovano a vivere all’interno di una «folla anonima» e in un contesto di «crescita disordinata» (n.10).
Riprendendo quanto dichiarato nella Costituzione pastorale del Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes (63-67), Paolo VI riafferma che «la persona umana è e deve essere il principio, il soggetto e il fine di tutte le istituzioni» e che «ogni uomo ha diritto al lavoro, alla possibilità di sviluppare le proprie qualità e la propria personalità nell’esercizio della sua professione, a un’equa rimunerazione che permetta “a lui e alla sua famiglia di condurre una vita degna sul piano materiale, sociale, culturale e spirituale”, all’assistenza in caso di bisogno per motivi di malattia o di età». Riconosce il ruolo positivo di rappresentanza delle organizzazioni sindacali, purché non si prestino a «rivendicazioni d’ordine direttamente politico», con scioperi che provochino, in particolare, l’interruzione «di pubblici servizi, necessari alla vita quotidiana di un’intera comunità», superando «il limite oltre il quale il torto causato diventa inammissibile» (n.14). Il Pontefice rivendica anche il «diritto all’emigrazione», nella prospettiva – superando un «atteggiamento strettamente nazionalistico» – dell’integrazione degli emigranti, tenuti a loro volta a «una reale partecipazione allo sforzo economico del paese che li accoglie» (n.17).
Con riferimento alla crescita demografica e alle paventate ipotesi di aumento incontrollato della disoccupazione, Papa Montini replica condannando «soluzioni maltusiane, esaltate da un’attiva propaganda a favore della contraccezione e dell’aborto», ribadendo la centralità della famiglia, il diritto al matrimonio e alla procreazione, come diritti inalienabili che non possono essere violati senza ferire la dignità umana. «In nessun’altra epoca come la nostra, l’appello all’immaginazione sociale è stato così esplicito. Occorre dedicarvi sforzi di inventiva e capitali altrettanto ingenti come quelli impiegati negli armamenti o nelle imprese tecnologiche. Se l’uomo si lascia superare e non prevede in tempo l’emergere delle nuove questioni sociali, queste diventeranno troppo gravi perché se ne possa sperare una soluzione pacifica» (n.18).
Con riferimento alla crescita esponenziale dei «mezzi di comunicazione sociale», Paolo VI sottolinea «il loro influsso sulla trasformazione delle mentalità, delle cognizioni, delle organizzazioni e della società stessa», evidenziandone il ruolo positivo ma altresì qualificandolo come «un nuovo potere», da cui la necessità di «interrogarsi sui detentori reali di questo potere, sugli scopi che essi perseguono e sui mezzi posti in opera, sulla ripercussione, infine, della loro azione nei confronti dell’esercizio delle libertà individuali, tanto nel settore politico e ideologico, come nella vita sociale, economica e culturale», nella nuova «civiltà […] dell’immagine» (n.20).
Con riferimento alla polis, il Pontefice evidenza la «duplice aspirazione all’uguaglianza e alla partecipazione […] diretta a promuovere un tipo di società democratica». «In quanto essere sociale, l’uomo costruisce il suo destino in una serie di raggruppamenti particolari che esigono, come loro compimento e condizione necessaria del loro sviluppo, una società più vasta, di carattere universale: la società politica. Ogni attività particolare deve sistemarsi in questa società allargata, e assumere, con ciò stesso, la dimensione del bene comune» (n.24). Sottolineando che «l’azione politica» non deve essere di natura ideologica, ricorda che «non spetta né allo stato né a dei partiti politici, che sarebbero chiusi su se stessi, tentare d’imporre un’ideologia, con mezzi che sboccherebbero nella dittatura degli spiriti, la peggiore di tutte. È compito dei raggruppamenti culturali e religiosi, nella libertà di adesione ch’essi presuppongono, sviluppare nel corpo sociale, in maniera disinteressata e per le vie loro proprie, queste convinzioni ultime sulla natura, l’origine e il fine dell’uomo e della società» (n.25). Specifica poi che «il cristiano che vuol vivere la sua fede in un’azione politica intesa come servizio, non può, senza contraddirsi, dare la propria adesione a sistemi ideologici che si oppongono radicalmente o su punti sostanziali alla sua fede e alla sua concezione dell’uomo: né all’ideologia marxista, al suo materialismo ateo, alla sua dialettica di violenza e al modo con cui essa riassorbe la libertà individuale nella collettività, negando insieme ogni trascendenza all’uomo e alla sua storia, personale e collettiva; né all’ideologia liberale che ritiene di esaltare la libertà individuale sottraendola a ogni limite, stimolandola con la ricerca esclusiva dell’interesse e del potere, e considerando la solidarietà sociale come conseguenza più o meno automatica delle iniziative individuali e non già quale scopo e criterio più vasto della validità dell’organizzazione sociale» (n.26). Paolo VI evidenzia una «rinascita delle utopie»: «socialismo burocratico, capitalismo tecnocratico, democrazia autoritaria manifestano la difficoltà di risolvere il grande problema umano della convivenza nella giustizia e nella uguaglianza. In realtà, come potrebbero essi sfuggire al materialismo, all’egoismo o alla violenza che fatalmente li accompagnano?» (n.37).
Papa Montini sottolinea poi il rischio che le «scienze sull’uomo» cadano esse stesse in visioni ideologiche, isolando «nella moltitudine delle situazioni, qualche comportamento umano per darne una spiegazione che pretende di essere globale, o almeno una interpretazione che si vorrebbe totalizzante a partire da un punto di vista puramente quantitativo o fenomenologico. Questa riduzione scientifica tradisce una pericolosa pretesa. Privilegiare così tale aspetto dell’analisi, significa mutilare l’uomo e, sotto le apparenze di un processo scientifico, rendersi incapaci di comprenderlo nella sua totalità» (n.38). Il rischio è che tali visioni portino «all’elaborazione di modelli sociali da imporre poi come tipi di condotta scientificamente provati. L’uomo può diventare allora oggetto di manipolazioni che orientano i suoi desideri e i suoi bisogni, che modificano i suoi comportamenti e persino il suo sistema di valori. Nessun dubbio che in ciò c’è un grave pericolo per la società di domani e per l’uomo medesimo. Se tutti sono d’accordo nella costruzione di una nuova società posta al servizio degli uomini, ancora bisogna sapere di quale uomo si tratta» (n.39).
Sul piano delle relazioni tra gli Stati, Papa Montini ricorda il dovere primario della giustizia, in modo da «consentire a ogni paese di promuovere il proprio sviluppo nel quadro di una cooperazione esente da qualunque spirito di dominio, economico e politico» (n.43), evidenziando anche i pericoli di una «concentrazione eccessiva dei mezzi e dei poteri» nelle imprese multinazionali (n.44).
Seguendo la logica e l’ordine del principio di sussidiarietà formulato nella Quadragesimo Anno (n.80), Paolo VI riafferma la necessità che l’autorità politica sappia tutto orientare alla «realizzazione del bene comune […], nel rispetto delle legittime libertà degli individui, delle famiglie e dei gruppi sussidiari, al fine di creare, efficacemente e a vantaggio di tutti, le condizioni richieste per raggiungere il vero e completo bene dell’uomo, ivi compreso il suo fine spirituale […il che ] non elimina […] il campo d’azione e le responsabilità degli individui e dei corpi intermedi, onde questi concorrono alla realizzazione del bene comune» (n.46). «Per creare un contrappeso all’invadenza della tecnocrazia, occorre inventare forme di moderna democrazia non soltanto dando a ciascun uomo la possibilità di essere informato e di esprimersi, ma impegnandolo in una responsabilità comune. I gruppi umani così si trasformano a poco a poco in comunità di partecipazione e di vita. La libertà, che si afferma troppo spesso come rivendicazione di autonomia opponendosi alla libertà altrui, si sviluppa così nella sua realtà umana più profonda: impegnarsi e prodigarsi per costruire solidarietà attive e vissute» (n.47). Papa Paolo VI chiude la lettera apostolica con un urgente «invito all’azione», rivolto a tutti i cristiani, per il «rinnovamento dell’ordine temporale», partendo dalla «conversione personale» (n.48), nel riconoscimento di «una legittima varietà di opzioni possibili» (n.50).
Il richiamo alla libertà di persone, famiglie e corpi intermedi, alla correttezza e indipendenza dell’informazione, insieme al rifiuto di ogni approccio ideologico, centralistico e dirigistico nell’azione sociale, politica ed economica, sono dei punti chiave che dobbiamo tenere ben fermi anche oggi: per evitare che le logiche emergenziali del nostro tempo sfocino progressivamente in derive autoritarie e tecnocratiche.
Venerdì, 11 novembre 2021