L’avvincente storia della Madonna dei pellegrini di Michelangelo Merisi, che rappresenta la Madonna di Loreto, presso la quale si sarebbe recato in pellegrinaggio lo stesso pittore nel 1603
di Michele Brambilla
La nobile vedova del conte bolognese Ermete Cavalletti (?-1602) nel 1603 commissionò una pala d’altare per la cappella nella quale era stato sepolto l’adorato marito, collocata nella chiesa romana di S. Agostino. Fu anche molto esigente nell’indicazione del soggetto: la pala doveva raffigurare la Madonna di Loreto e commemorare anche il voto compiuto da Ermete per propiziare la salute della madre. Il quadro fu commissionato ad un giovane pittore, dalla fama ambivalente, che si era già fatto notare a Roma per le sue opere chiaroscurali: proprio lui, Michelangelo Merisi detto il “Caravaggio” (1571-1610).
Egli tratteggiò, tra il 1603 e il 1605, quella che è nota come Madonna dei pellegrini. La pala si trova ancora in situ, benché abbia suscitato lo scandalo che era ormai abituale attorno alle realizzazioni di Caravaggio. Ad esserne scandalizzati furono coloro che si aspettavano l’abituale iconografia della Madonna di Loreto, ma l’opera di Merisi rispetta ugualmente gli elementi portanti della spiritualità lauretana. Si vocifera che lo stesso Michelangelo si sia recato in pellegrinaggio a Loreto nei mesi in cui si apprestava a dipingere il quadro.
Caravaggio inserì il ritratto dei committenti in primo piano e li rappresentò al vero: la madre di Ermete è un’anziana donna, con una cuffia in testa per coprire la canizie e le mani giunte; suo figlio indossa anch’esso gli abiti molto semplici del pellegrino ed entrambi hanno i piedi sporchi, insudiciati dalla polvere delle stradine biancastre della campagna marchigiana. A destare lo scandalo, però, fu Colei che i due pregano con sguardo estatico: la Madonna è raffigurata sulla soglia della Santa Casa, con i piedi nudi e i tratti di una comune donna del popolo che va incontro agli ospiti sorreggendo il proprio Bambino. Il panno bianco con il quale Gesù è avvolto sembra il telo di lino con cui si asciugavano i neonati dopo il bagno, ma è anche, palesemente, un richiamo alla Sindone e a quel lavacro rituale del corpo del defunto che le pie donne, la mattina di Pasqua, si erano recate ad effettuare al sepolcro, secondo la prescrizione mosaica, venendo sorprese dall’annuncio della Risurrezione.
Comprendiamo quindi come l’intento di Caravaggio non fosse affatto la banalizzazione del soggetto. In quei piedi nudi della Vergine e nel richiamo sindonico è sintetizzata l’intera vicenda umana del Redentore, dall’Incarnazione alla Pasqua. Oggi, come nel Seicento e nello stesso I secolo, a scandalizzare di Cristo è proprio il desiderio di condividere in tutto, eccetto il peccato, la nostra umanità.
A suffragare l’ipotesi di un reale pellegrinaggio di Michelangelo Merisi a Loreto è la grande precisione con la quale è riprodotto l’ingresso della Santa Casa, così come riprogettato da Donato Bramante (1444-1514). Caravaggio dello scrigno bramantesco prende solo i cornicioni della porta, perché per il resto enfatizza la povertà della casa di Nazareth, come si nota dallo squarcio nell’intonaco, che lascia intravedere i mattoni di cui è fatta. Chi è stato a Loreto sa che la cella interna della Santa Casa è a mattoni a vista. Su quei mattoni si possono leggere ancora secoli di graffiti devozionali, che attestano l’esistenza della devozione mariana fin dall’epoca apostolica.
Sabato, 11 dicembre 2021