di Stefano Chiappalone
Giovannino Guareschi (1908-1968) introduce i racconti incentrati sull’endemico litigio tra l’irruento parroco don Camillo e il non meno fumantino sindaco comunista “Peppone”, eterno amico-nemico, descrivendo i luoghi e gli ambienti che non sono semplice fondale, ma le radici stesse da cui quei racconti traggono vita, in cui «basta fermarsi sulla strada a guardare una casa colonica affogata in mezzo al granturco e alla canapa, e subito nasce una storia» (Don Camillo. Mondo piccolo, BUR, Milano 2001, p. 10). Tuttavia, l’autore precisa che «il piccolo mondo del Mondo piccolo […] non è in nessun posto fisso: il paese di Mondo piccolo è un puntino nero che si muove, assieme ai suoi Pepponi e ai suoi Smilzi, in su e in giù lungo il fiume per quella fettaccia di terra che sta tra il Po e l’Appennino» (ibid., pp. 9-10).
Senza far torto a Guareschi, temo che i Pepponi e gli Smilzi (e, naturalmente, i don Camilli) gli siano sfuggiti di penna e di mano, muovendosi ben oltre “quella fettaccia di terra” fino a popolare ogni angolo della Penisola che, fino a qualche decennio fa, era tutta un pullulare di “mondi piccoli”, oggi praticamente spariti, ma i cui ricordi sopravvivono ancora nei ricordi dei nostri vecchi e di cui, forse, anche chi è nato poco prima del cambio di millennio è riuscito a intravedere qualcosa.
Quel mondo in cui, banalmente ma non troppo, potevi lasciare la chiave alla porta poiché nessuno sarebbe venuto a rubare (e a dire il vero, non c’era niente da rubare); in cui i bambini giocavano per strada e il WhatsApp più efficace era il passaparola delle madri da una finestra all’altra.
I vicoli e gli androni dei nostri Paesi erano popolati da nomi (e soprannomi) diversi da quelli della Bassa, ma non troppo differenti nei caratteri e caratteracci, tra canoniche e case del Popolo, e liti composte tra il fumo dei sigari e quello dell’incenso.
A farne un “classico” che dovrebbe essere studiato a scuola non è solo il successo dei libri di Guareschi né quello della splendida serie cinematografica con Gino Cervi (1901-1974) e Fernandel (1903-1971); ma è quella capacità di scrivere «roba inventata e perciò tanto verosimile che mi è successo un sacco di volte di scrivere una storia e di vederla, dopo un paio di mesi, ripetersi nella realtà» (ibid., pp. 5-6). E di scavare nel cuore di ogni uomo per scoprire che anche il compagno Peppone, in fondo, ben più che nel “paradiso” sovietico si sentiva a casa sotto il Cristo dell’altar maggiore.
Sabato, 09 febbraio 2019