Da Tempi del 15/04/2018. Foto da Lanuovabq
Al netto dei consensi raggiunti dal primo partito italiano, quello del rifiuto, che viene fuori dalla somma degli astenuti, delle nulle e delle bianche, coloro che il 4 marzo hanno avuto il coraggio di andare alle urne e di esprimere un voto valido, per che cosa hanno votato? Per “che cosa”, non per “chi”. Il “chi”, tranne poche eccezioni, è stato un panorama poco allettante. Il senso lo dà il “che cosa”.
Mi spiego. Una ricognizione sincera delle norme che regolano la nostra vita quotidiana fa emergere che la gran parte di esse sono di fonte europea: diretta o mediata, con gli strumenti del recepimento. Ogni impegno di spesa – quindi ogni atto di governo – deve stare nei meccanismi definiti in sede europea. Non c’è legge di stabilità che non conosca prima del varo la puntuale verifica delle istituzioni comunitarie. La legge comunitaria è il mezzo per far entrare ogni anno nel nostro ordinamento una serie di disposizioni, anche di dettaglio, concordate fra Consiglio e Commissione europei. Quel che resta fuori da tale recinto spesso consacra ex post decisioni giudiziarie: la legge sul cosiddetto fine vita ha tradotto in articoli le sentenze pronunciate dieci anni fa sul caso di Eluana Englaro, mentre la legge sulle unioni civili addirittura rinvia ai provvedimenti dei giudici quanto all’adozione da parte della coppia same-sex.
È quindi legittimo chiedersi a che serve il voto per il Parlamento nazionale, visto che fa da transito a scelte operate altrove, quasi sempre da organismi privi di mandato popolare. Non è questione solo italiana. Vi sono numerose controprove: per tutte la Germania. Se per ben sei mesi questa nazione è riuscita a fare a meno di un governo, e della parallela attività parlamentare, e anzi il suo Pil è cresciuto e la capacità di stare sui mercati delle sue aziende si è consolidata, è perché ciò che regola il suo ordinamento prescinde dalle scelte del Bundestag e dell’esecutivo che da esso riceve la fiducia.
Sarebbe stato interessante che durante la splendida campagna elettorale finalmente alle spalle questo tema fosse stato al centro dell’attenzione: non è proprio un dettaglio, poiché chiama in causa la ragion d’essere della democrazia parlamentare e della partecipazione dei cittadini alle decisioni di chi li rappresenta. Un’area così ampia di non voto è il riflesso, non sempre consapevole ma di cui il buon senso popolare percepisce la sostanza, del fatto che se la qualifica di “prodotto alimentare dal nome pizza” viene decisa a Bruxelles e non nel forno a legna di una pizzeria di Forcella, passando sulla testa di Montecitorio e di Palazzo Chigi, è inutile che mi interessi di chi lavora in questi edifici. E sappiamo che a prescindere da Parlamento e governo nazionale si sceglie qualcosa di molto più importante del pur significativo elenco degli ingredienti della pizza.
I rari cenni all’Europa ascoltati nei confronti tv non sono andati oltre gli slogan, da quelli evocativi di una impossibile fuoriuscita dall’Unione a quelli celebrativi di istituzioni comunitarie che ordinariamente prevaricano. Mai qualcuno che abbia esposto un’idea di presenza effettiva e combattiva nell’Unione, mirata alla rinegoziazione di limiti troppo rigidi e alla considerazione di voci di maggior sostanza, come la prevenzione e il contrasto al terrorismo. Mai qualcuno che abbia indicato una prospettiva da perseguire per il futuro.
Dopo le fake news, i fake issues
Nell’incertezza sul per “che cosa” votare c’è stata anche la nausea per larga parte di una campagna elettorale rivolta al passato, con la riesumazione della dialettica fascismo-antifascismo. Per la quale, in analogia con la categoria delle fake news, andrebbe coniata quella dei fake issues. Il preteso fascismo di ieri che tornerebbe sulla scena è in realtà il bullismo di oggi. A che serve CasaPound? A far recuperare il collante dell’antifascismo per chi non ha più nulla da proporre, senza correre il rischio che qualcuno reciti la parte dell’opposizione vera alla deriva antiumana radicaloide: visto che su aborto, eutanasia e selezione genetica CasaPound predica esattamente come i salotti buoni dell’establishment entusiasticamente europeista.
Stracciarsi le vesti di fronte alla così estesa area del rifiuto del voto suona irritante. Rispondiamo prima a qualche domanda di buon senso: per “che cosa” oggi votare?
Alfredo Mantovano