Di Giacomo Gambassi da Avvenire del 03/04/2022
«La città sta aspettando». Ha il piglio deciso il vescovo Stanislav Szyrokoradiuk. La città a cui si riferisce è quella di Odessa dove il presule vive. «Si ipotizza un attacco russo come dimostrano le costanti ricognizioni dal cielo. E la notte scorsa alcuni missili si sono abbattuti sulla regione. Come ci prepariamo? Da credenti, prima di tutto pregando. Ma la città saprà difendersi». Frate minore francescano, 65 anni, guida da due anni la diocesi latina di Odessa-Simferopol dove aveva fatto il suo ingresso nel febbraio 2020 benché l’anno prima papa Francesco lo avesse nominato coadiutore. È originario dell’Ucraina. E la sua biografia racconta di una vocazione “clandestina” a venticinque anni quando, in pieno regime sovietico, era entrato segretamente nella famiglia francescana dove sarebbe diventato sacerdote.
«Qui le giornate sono scandite dal suono delle sirene antiaeree – spiega il vescovo –. Ci sono stati tentativi da parte dell’invasore russo di bombardarci dal cielo. Ogni tanto sentiamo qualche colpo di artiglieria. Tutto ciò inquieta ma al momento, grazie a Dio, la vita comunitaria prosegue nonostante si avverta di essere sotto assedio». Una pausa. «Dormiamo in un rifugio seminterrato. Tuttavia, durante il giorno, possiamo pregare e lavorare. Però sulle nostre teste passano aerei e abbiamo attacchi dalle navi». Perché Odessa, che nell’ultimo censimento contava un milione di abitanti, è il principale porto dell’Ucraina e Putin la considera strategica all’interno della sua visione militare. Il vescovo non usa giri di parole quando accenna al presidente russo. «È un terrorista in quanto intende distruggere un intero popolo e la nostra nazione», afferma con risolutezza. E aggiunge: «I cristiani che lo sostengono sono come lui». Il territorio della sua Chiesa si estende su cinque regioni del Paese, fino alla Crimea. «E non è un azzardo dire che siamo in mezzo a un genocidio», avverte.
Eccellenza, si continua a fuggire dalla sua diocesi e da Odessa.
Tantissimi sono già partiti. È rimasto chi non è riuscito a mettersi in viaggio. Molti sono poveri, persone sole, anziani. Si dorme nei rifugi quando scattano gli allarmi. E c’è bisogno di beni di prima necessità.
La Chiesa cattolica è in prima linea. Come?
Distribuiamo prima di tutto gli aiuti umanitari. Si tratta di prodotti igienici, di vestiario e in particolare di cibo. Siamo in grado anche di preparare pranzi caldi e abbiamo creato un punto di sostegno per gli sfollati. Non solo. La casa che usiamo per i ritiri spirituali e per le vacanze estive dei bambini, una struttura di ampie dimensioni, è diventata un centro d’accoglienza. La capienza sarebbe per settanta persone: ma ora ve ne sono oltre cento.
Chi fa tappa in città?
In gran parte sono donne e bambini che giungono continuamente. Alcune restano; altre proseguono verso Occidente. Come Caritas abbiamo allestito strutture d’ospitalità per i profughi in più regioni. E siamo anche in grado di inviare aiuti in città che hanno particolari difficoltà come Mykolaïv dove si combatte da giorni.
Francesco sta denunciando giorno dopo giorno il «massacro» che si consuma in Ucraina. E ha definito il conflitto «sacrilego» e «ripugnante».
Più volte la voce del Papa è stata dura e forte. Le sue parole di vicinanza alla nazione e i suoi appelli sono molto importanti per il nostro popolo e speriamo contribuiscano a fermare queste atrocità. Servono comunque parole di denuncia indirizzate all’aggressore e anche ai leader religiosi che lo supportano.
Il Papa ha consacrato l’Ucraina e la Russia al Cuore Immacolato di Maria. Un segno per avvicinare le due nazioni?
Siamo grati al Pontefice per questo significativo gesto. Ci siamo preparati alla celebrazione e ci siamo uniti all’atto compiuto da Francesco che ha coinvolto tutti i continenti. Certo, occorre che giunga il tempo del perdono. Solo in seguito potrà cominciare un cammino di riconciliazione. Comunque chiedo a tutte le persone di buona volontà di pregare per l’Ucraina perché il vero aiuto proviene dal Signore, anche se da tutto il mondo abbiamo avuto straordinarie espressioni di sostegno concreto.
Il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, ha difeso l’attacco. La guerra sta dividendo i cristiani?
Kirill non soltanto l’ha difeso, ma l’ha benedetto. Sì, il patriarca ha benedetto Putin e la sua iniziativa bellica. Perciò la Chiesa russa è complice di quanto sta avvenendo.
Odessa è sempre stata amata dai russi. Ed era una meta turistica degli oligarchi.
Nella nostra bellissima città sono presenti più di 120 nazionalità. Il Cremlino ha tentato di convincere il mondo che la nostra è una città russa. Invece, è una città multiculturale. E adesso i russi che vivono qui provano vergogna per l’ignobile aggressione in corso. Anzi, direi che si sono schierati a fianco dell’Ucraina.
Come l’Europa può aiutare il Paese?
L’Ucraina è parte del continente. Gli Stati europei dovrebbero impegnarsi per difendere la nostra gente e non soltanto limitarsi a guardare da lontano ciò che i fascisti russi compiono. Sostenere la “no fly zone”, chiudendo i cieli dell’Ucraina, sarebbe un passo preciso per tutelare il Paese.
La Santa Sede si è proposta come mediatore fra le parti. I negoziati sono iniziati ma faticano. Che cosa fare?
Come si fa a imboccare la via diplomatica quando siamo davanti a uno Stato straniero che devasta le nostre città, uccide la popolazione, lascia intere zone senza cibo e acqua, come succede a Mariupol o a Volnovakha? Non si possono neppure aprire i corridoi umanitari perché si spara sui mezzi che portano gli sfollati. Sono stati ammazzati bambini e donne. Vengono distrutti ospedali o scuole. E tutto questo su vasta scala. Quale accordo può esserci di fronte a una tragedia che non conosce tregua?