Di Michele Brambilla
Con l’udienza del 10 aprile Papa Francesco riprende la catechesi sul Padre nostro, focalizzandosi sulla frase «rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6, 12). “Debiti” sta qui per “peccati”, pertanto il Papa osserva che «come abbiamo bisogno del pane, così abbiamo bisogno del perdono» di Dio e dei fratelli. «E questo», soggiunge, «ogni giorno».
Occorre puntualizzare che «il cristiano che prega chiede anzitutto a Dio che vengano rimessi i suoi debiti»: un atteggiamento che pensa soprattutto ad elencare i peccati altrui non sarebbe giusto dal punto di vista cristiano. «Questa è la prima verità di ogni preghiera: fossimo anche persone perfette, fossimo anche dei santi cristallini che non deflettono mai da una vita di bene, restiamo sempre dei figli che al Padre devono tutto. L’atteggiamento più pericoloso di ogni vita cristiana qual è? È l’orgoglio», uno dei due motori della Rivoluzione anticristiana (l’altro è la sensualità).
Secondo il Papa l’orgoglio «è l’atteggiamento di chi si pone davanti a Dio pensando di avere sempre i conti in ordine con Lui: l’orgoglioso crede che ha tutto al suo posto. Come quel fariseo della parabola, che nel tempio pensa di pregare ma in realtà loda sé stesso davanti a Dio: “Ti ringrazio, Signore, perché io non sono come gli altri”. E la gente che si sente perfetta, la gente che critica gli altri, è gente orgogliosa. Nessuno di noi è perfetto, nessuno. Al contrario il pubblicano, che era dietro, nel tempio, un peccatore disprezzato da tutti, si ferma sulla soglia del tempio, e non si sente degno di entrare, e si affida alla misericordia di Dio. E Gesù commenta: “Questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato” (Lc 18,14), cioè perdonato, salvato. Perché?». Il Santo Padre risponde: «perché non era orgoglioso, perché riconosceva i suoi limiti e i suoi peccati».
Siamo tutti peccatori, bisognosi della grazia di Cristo. In proposito, Francesco fa riferimento a una celebre espressione teologica usata per definire il mistero della Chiesa, «semper reformanda»: «c’è quello che i teologi antichi chiamavano un “mysterium lunae” non solo nell’identità della Chiesa, ma anche nella storia di ciascuno di noi. Cosa significa, questo “mysterium lunae”? Che è come la luna, che non ha luce propria: riflette la luce del sole. Anche noi, non abbiamo luce propria: la luce che abbiamo è un riflesso della grazia di Dio, della luce di Dio». Segue l’interrogativo: «come non riconoscere, nella catena d’amore che ci precede, anche la presenza provvidente dell’amore di Dio? Nessuno di noi ama Dio quanto Lui ha amato noi. Basta mettersi davanti a un Crocifisso per cogliere la sproporzione: Egli ci ha amato e sempre ci ama per primo» con una misura nettamente superiore alle capacità del più santo tra gli uomini, come le pagine di Vangelo lette nella Settimana Santa stanno di nuovo per confermare.
Giovedì, 11 aprile 2019