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Affinché il Signore regni

26 Novembre 2018 - Autore: Michele Brambilla

di Michele Brambilla

Come spiega Papa Francesco alla recita dell’Angelus del 25 novembre, «la solennità di Gesù Cristo Re dell’universo, che celebriamo oggi, è posta al termine dell’anno liturgico e ricorda che la vita del creato non avanza a caso, ma procede verso una meta finale: la manifestazione definitiva di Cristo, Signore della storia e di tutto il creato». Proseguendo il discorso cominciato nella XXXIII domenica del Tempo ordinario, la liturgia romana ripete che «la conclusione della storia sarà il Suo regno eterno».

Lo afferma, però, sulla base di una pagina di Vangelo in cui Gesùsembra ridotto al massimo dell’impotenza. «L’odierno brano evangelico (cfr Gv 18,33-37)», dice il Pontefice, «ci parla di questo regno, il regno di Cristo, il regno di Gesù, raccontando la situazione umiliante in cui si è trovato Gesù dopo essere stato arrestato nel Getsemani: legato, insultato, accusato e condotto dinanzi alle autorità di Gerusalemme. E poi, viene presentato al procuratore romano, come uno che attenta al potere politico, a diventare il re dei giudei» senza il necessario mandato di Cesare.

Nelle risposte a Ponzio Pilato, Gesù gioca volentieri sull’equivoco politico per far emergere, ancora una volta, la Sua differente idea di regalità. Gesù, infatti, «[…] dapprima risponde che il suo regno “non è di questo mondo” (v. 36). Poi afferma: “Tu lo dici: io sono re” (v.37). È evidente da tutta la sua vita che Gesù non ha ambizioni politiche». Cristo aveva frenato le illusioni dei discepoli già durante la predicazione in Galilea: «ricordiamo che dopo la moltiplicazione dei pani, la gente, entusiasta del miracolo, avrebbe voluto proclamarlo re, per rovesciare il potere romano e ristabilire il regno d’Israele. Ma per Gesù il regno è un’altra cosa, e non si realizza certo con la rivolta, la violenza e la forza delle armi. Perciò si era ritirato da solo sul monte a pregare (cfr Gv 6,5-15). Adesso, rispondendo a Pilato, gli fa notare che i suoi discepoli non hanno combattuto per difenderlo. Dice: “Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei” (v.36)».

Le corone di questo mondo non valgono il sudore che si profonde nel conquistarle. Spiega dunque il Santo Padre: «Gesù vuole far capire che al di sopra del potere politico ce n’è un altro molto più grande, che non si consegue con mezzi umani. Lui è venuto sulla terra per esercitare questo potere, che è l’amore, rendendo testimonianza alla verità (cfr v. 37). Si tratta della verità divina che in definitiva è il messaggio essenziale del Vangelo: “Dio è amore” (1Gv 4,8) e vuole stabilire nel mondo il suo regno di amore, di giustizia e di pace», antitetico a tutte le brame mondane.

L’amore non si impone, si riconosce. Come è scritto nello stesso corpus giovanneo, «ecco: io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (cfr Ap 3,20). Pertanto, dice il Papa, «Gesù oggi ci chiede di lasciare che Lui diventi il nostro re. Un re che con la sua parola, il suo esempio e la sua vita immolata sulla croce ci ha salvato dalla morte, e indica – questo re – la strada all’uomo smarrito, dà luce nuova alla nostra esistenza segnata dal dubbio, dalla paura e dalle prove di ogni giorno».    

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Info Michele Brambilla

Michele Brambilla, celibe, di professione insegnante, nasce il 21 aprile 1987 a Monza (MB). Consegue la laurea specialistica in Lettere il 10 luglio 2013 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il 22 novembre 2017 quella triennale in Scienze religiose presso l’Istituto di Scienze Religiose “Paolo VI” di Milano, con indirizzo pedagogico. Conosce Alleanza Cattolica da adolescente, nel suo ambiente parrocchiale d’origine, e diventa militante nel marzo 2017. Già nel 2012 comincia a collaborare al sito regionale lombardo di AC, Comunità Ambrosiana, per approdare poi, dopo la promessa di militanza, su quello nazionale: su entrambi cura principalmente pagine dedicate al Magistero papale ed episcopale.

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