Enrico Chiesura, Cristianità n.427 (2024)
1. Nella sua recente opera La speranza africana (1) l’editorialista Federico Rampini denuncia un accostamento superficiale e profondamente sbagliato dell’Occidente al cosiddetto Continente Nero. Il punto di partenza è un errore tanto elementare quanto macroscopico: ignorare che l’Africa non è una nazione, ma un continente grande sette volte l’Unione Europea e tre volte l’intera Europa, inclusa la Federazione Russa (2), che comprende cinquantaquattro Stati sovrani, quarantotto dei quali nell’area sub-sahariana. Trattare, quindi, l’Africa come un tutt’uno indifferenziato, distinguendo al più il Nord dal Sud, avendo come linea di demarcazione il deserto del Sahara, è una enorme storpiatura della realtà (3). Un po’ come se trattassimo in forma indifferenziata l’Asia, da Israele al Giappone, mettendo in un unico calderone India, Cina, Coree, Iran e così via (4).
In realtà, in Africa riscontriamo da zona a zona profonde differenze culturali, religiose, economiche, sociali, oltre a significative diversità anche per quanto riguarda l’andamento demografico e quello migratorio. Senza contare che quel continente costituisce l’area più diversificata del pianeta quanto a numero di realtà etniche e linguistiche — circa duemila (5), cifra stimata per approssimazione —, che stride parecchio con le ventiquattro lingue ufficiali dell’Unione Europea.
Rampini mette in evidenza anche un altro aspetto, che definisce patologico, dell’accostamento all’Africa da parte dell’Occidente. Un aspetto che emerge dal modo in cui da noi se ne parla, modo che risente di un inguaribile complesso di colpa, quasi che tutti i mali dell’Africa dipendessero dalla violenza e dal saccheggio perpetrati dal colonialismo europeo fra i secoli XIX e XX. Un complesso di colpa che sfocia in atteggiamenti che l’autore definisce «sadomaso» (6), intensificatisi soprattutto da quando, negli ultimi anni, l’Africa è stata riscoperta come oggetto di desiderio da parte un po’ di tutti: americani, francesi, cinesi, russi, arabi, turchi, indiani.
Un’attenzione che vede oggi presenti in Africa oltre un milione di imprenditori cinesi, il cui Paese si è aggiudicato il 60% degli appalti per realizzare le infrastrutture del continente. Un’attenzione che non si limita alla penetrazione economica, ma si estende anche ad altri aspetti. Basti pensare che nel 2023 sono state annunciate manovre militari congiunte fra Repubblica del Sudafrica, Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese (7). Noi occidentali invece, dice Rampini, di questa attenzione e di questa presenza vediamo solo il lato oscuro: cioè, lo sfruttamento, il razzismo, la distruzione dell’ambiente. Tanto da considerare con sospetto qualunque iniziativa africana della nostra imprenditoria privata o dei nostri governi, su cui grava sempre e comunque il sospetto di neocolonialismo. Il risultato pratico è quello di considerare l’Africa esclusivamente come oggetto di compassione e di pietà, nonché fonte di auto-colpevolizzazione: atteggiamenti che sfociano nella cultura degli aiuti, più dannosa che utile perché non risolve i problemi, non promuove lo sviluppo e infantilizza gli africani, escludendo che possano diventare protagonisti del proprio futuro (8).
Questa è l’unica cultura che finora siamo stati capaci di elaborare: nell’immaginario collettivo occidentale, l’africano può essere pensato solo come miserabile, sfruttato, rigorosamente denutrito, straccione, triste perché infelice, spesso ramingo e fuggitivo dalla propria terra. Secondo questa narrazione, l’ondata migratoria che investe l’Europa sconta la tragedia della fame, delle guerre, dell’assenza di prospettive che inducono masse di disperati a cercare altrove un posto dove vivere decentemente. Rampini nella sua rigorosa indagine analizza e smonta questo teorema, mettendo in luce una realtà diversa, che spiega altresì il diverso approccio che le riservano Paesi e culture estranee alla cancel culture che affligge l’Occidente (9).
2. Numerosi sono i motivi che pongono oggi l’Africa al centro dell’attenzione internazionale.
Il continente possiede il 30% delle risorse naturali dell’intero pianeta (10). Fra queste, in misura compresa tra il 20% e il 90%, sono inclusi i minerali necessari per attuare la transizione energetica, su cui si concentra da alcuni anni la crescita della domanda internazionale: cobalto, cromo, zircone, platino, litio, manganese, grafite, bauxite, fosfato, ittrio.
L’Africa possiede anche il 60% delle terre fertili non ancora coltivate del globo. Quindi vanta il massimo potenziale alimentare non ancora sfruttato.
In Africa, infine, l’età media della popolazione, circa 1,4 miliardi di persone, è compresa fra i 19 e i 20 anni (11), un dato che sicuramente sconta la minore aspettativa di vita rispetto alle aree più avanzate, ma che fa dell’Africa il continente più giovane del pianeta.
In altri termini, l’Africa è il continente più ricco e più promettente del mondo.
3. Se ciò giustifica l’attenzione più o meno predatoria da parte di tutti nei suoi confronti, anche per la Chiesa l’Africa rappresenta un interesse, anzi costituisce un autentico segnale di speranza.
I dati forniti dall’Annuario Statistico della Chiesa (12), aggiornati al 31 dicembre 2021, indicano una costante, rilevante crescita della presenza cattolica nel continente; una crescita in netta controtendenza con ciò che avviene nel resto del mondo, fatta eccezione per il solo continente asiatico, dove però la Chiesa ha un ruolo estremamente marginale.
I cattolici rappresentano il 19,4% della popolazione africana, circa 270 milioni su 1.390.000.000, con una crescita di 8.312.000 battezzati rispetto al 2020, un numero che riproduce sostanzialmente la crescita registrata negli anni precedenti, stabilizzata intorno agli 8 milioni all’anno.
Anche in questo caso, dobbiamo evitare l’errore di considerare l’Africa un tutt’uno indifferenziato, quasi fosse una realtà omogenea. Tutt’altro: esistono tante Afriche, profondamente diverse l’una dall’altra. Questa la mappatura dei Paesi dove la Chiesa cattolica è maggiormente presente:
Guinea Equatoriale – Capo Verde oltre 90%
Burundi oltre 60%
Angola – Sud Sudan – Lesotho – Congo (Rep. Dem.) – Gabon oltre 50%
Ruanda – Uganda oltre 40%
Togo – Camerun – Tanzania – Centrafrica – Mozambico –
Zambia – Benin oltre 25%
Nigeria – Costa d’Avorio – Kenya – Madagascar – Namibia oltre 15%
Va aggiunto che la presenza cristiana nel suo complesso, comprensiva delle confessioni protestanti, è sensibilmente più numerosa: per esempio in Nigeria, il Paese più popoloso dell’Africa, raggiunge il 45% della popolazione.
Invece in altri Paesi, soprattutto quelli a prevalenza musulmana, la presenza cristiana si riduce drasticamente, fino a scomparire del tutto. L’ultimo posto in assoluto spetta alla Somalia, dove tutte le chiese sono state distrutte, o requisite, e i missionari espulsi; qui la presenza cristiana è ridotta a un centinaio di fedeli su dodici milioni di abitanti, per effetto della totale proibizione di culti diversi dall’islam.
Per quanto riguarda la situazione del clero e delle vocazioni, in controtendenza rispetto a ciò che avviene in Europa, in America e in Oceania, anche sacerdoti e religiosi registrano un aumento (+1.518 e +2.275, rispetto a -3.632 e -7.804 dell’Europa; -963 e -5.185 dell’America). L’Africa, inoltre, è l’unico continente che registra un aumento assoluto del numero di seminaristi (+0,6% rispetto al -5,8% del Nord America e dell’Europa; -1.8% dell’America Latina; -1,6% dell’Asia).
Sono interessanti altri due dati: quelli riferiti al cosiddetto «tasso vocazionale», cioè il numero di seminaristi — nei seminari maggiori — per 100.000 fedeli, e il «tasso di rimpiazzo», cioè il numero di candidati al sacerdozio in rapporto al numero di sacerdoti attivi. Nel primo caso, se a livello mondiale si registrano 8,23 seminaristi per centomila fedeli, questo dato oscilla fra i 4,13 dell’America meridionale, i 5,01 dell’Europa e i 12,75 dell’Africa, mentre il primo posto spetta all’Asia con 20,96. Per quanto riguarda il rimpiazzo, il dato tiene conto dei 43-44 anni di vita attiva media dei sacerdoti e dei 6 anni di formazione in seminario, dove la soglia per garantire il ricambio generazionale fissa in 12,5 il numero di seminaristi per ogni 100 sacerdoti attivi. Ebbene, questa soglia minima di rimpiazzo non è raggiunta ormai da anni in Europa, dove non si arriva nemmeno a 9 seminaristi per 100 sacerdoti attivi, il che giustifica la diminuzione di anno in anno dei sacerdoti presenti nelle nostre parrocchie: un dato che stride con i 65 seminaristi africani ogni 100 sacerdoti, che spiegano quel provvidenziale surplus per cui sempre più frequentemente vediamo nelle nostre Chiese sacerdoti africani.
4. Questi numeri sono il risultato di quell’opera di evangelizzazione che, a prezzo di sforzi inauditi e del sacrificio di intere generazioni di missionari, ha portato il seme del Vangelo nella cosiddetta Africa Nera.
La sua storia è ripercorsa nell’Esortazione apostolica«Ecclesia in Africa» (13), che distingue le tre fasi in cui essa si è svolta.
4.1 La prima si colloca agli albori del cristianesimo, quando regnava la pax romana e la vita dell’Impero ruotava intono al bacino del Mediterraneo, le cui sponde costituivano un tutt’uno sotto i profili politico, economico e culturale. In questo contesto l’Africa settentrionale gravitava nell’orbita di Roma più che in quella del continente africano. Alessandria e Cartagine erano metropoli d’avanguardia, centri propulsori della vita sociale e culturale, dove il cristianesimo trovò subito le condizioni favorevoli per attecchire e svilupparsi. Pensiamo al contributo che hanno dato alla Chiesa dei primi secoli personaggi dello spessore di sant’Atanasio (295-373), san Policarpo (69 ca.-155), Origene (185-253), Tertulliano (155-220 ca.), sant’Agostino (354-430), nonché la Scuola di Alessandria. Pensiamo alle origini del monachesimo, che nasce nel deserto egiziano con sant’Antonio abate (251-356) e san Pacomio (292-348), e si sviluppa prima nell’area medio-orientale e solo successivamente in quella occidentale. In un contesto di questo tipo la conoscenza e la civilizzazione dell’Africa non andavano oltre la fascia costiera — dal Mar Rosso alla catena dell’Atlante —, trovando nel deserto un limite invalicabile.
A partire dal secolo VII quanto appena descritto viene letteralmente spazzato via dall’invasione arabo-islamica. Questo ciclone, che si abbatte sul Nord-Africa e si consuma nell’arco di più o meno sessant’anni (647-709), finisce con l’alterare non solo l’assetto politico-culturale e religioso della regione, ma anche i suoi equilibri etnici e la sua geografia economica. Le popolazioni autoctone, infatti, sottoposte a una islamizzazione forzata, in molti casi perdono la propria identità, cosa che si traduce in una loro parziale arabizzazione: una trasformazione ricca di conseguenze se si pensa che il beduino arabo è nomade per natura e musulmano per adozione. Non coltiva e non alleva; e dove arriva il nomadismo, avanza il deserto. Se a ciò si aggiunge che i vigneti vengono estirpati perché inutili, non essendo consentito bere vino a un buon musulmano, e che la stessa fine fanno i querceti, le cui ghiande non servono più ad alimentare maiali di cui è proibito cibarsi, ecco che si innesca quel processo che nell’arco di qualche generazione trasforma in larga parte il «granaio dell’Impero» in un’arida distesa di sabbia. La penetrazione islamica, da est a ovest, continuava tuttavia a tralasciare la zona sub-sahariana.
4.2 Quest’area, infatti, era a tutti gli effetti come una gigantesca bolla d’aria, capace di sopravvivere vergine e impenetrabile anche nei secoli successivi, nonostante i progressi nelle tecniche di navigazione e malgrado le grandi scoperte geografiche, grazie alle quali si sviluppò una seconda fase di evangelizzazione. Questa, per i motivi anzidetti, rimane circoscritta ad alcune regioni prossime alla costa, che fanno parte degli attuali Stati del Benin, dell’Angola, del Congo, del Mozambico e del Madagascar, dove gli europei impiantano basi operative da cui tessono scambi e rapporti con le popolazioni autoctone.
Ma, per quanto riguarda l’interno, i luoghi più remoti dell’area sub-sahariana, esplorati per la prima volta solo nel secolo XIX, non c’è ancora niente da fare. Non a caso, la conoscenza che di questa parte interna del continente si aveva ai tempi dell’imperatore Giulio Cesare Ottaviano Augusto (63 a.C.-14) non differiva granché da quella degli esploratori europei all’inizio dell’Ottocento. Il motivo è da ricercarsi nelle condizioni geografiche e climatiche dell’area sub-sahariana: in particolare, nel fatto che il deserto costituisce una barriera naturale, il cui attraversamento poneva difficoltà enormi; quindi, nella non navigabilità dei suoi principali fiumi — in primis il Nilo, ma anche il Congo —, a causa delle numerose cateratte, che impediscono di risalirne il corso; infine, nel clima micidiale per i non nativi, specie per gli europei, privi degli anticorpi necessari per sopravvivere alle febbri malariche.
4.3 La terza fase dell’evangelizzazione si sviluppa a partire dalla metà del secolo XIX e vede inizialmente come protagonisti un manipolo di missionari austriaci, la cui iniziativa si risolve in un completo fallimento, con la morte di quasi tutti i trentasette uomini che avevano osato risalire il Nilo e addentrarsi nella cosiddetta Africa Nera. La loro eredità viene raccolta da san Daniele Comboni (1831-1881) (14), artefice di un’autentica svolta. Egli elabora quel Piano per la Rigenerazione dell’Africa (15), grazie al quale si inizia a formare un clero autoctono, capace di evangelizzare l’Africa«per mezzo degli africani». Chi poteva prevedere che oggi, a quasi due secoli di distanza, grazie a questa intuizione, avremmo potuto beneficiare di questa provvidenziale onda di ritorno, grazie alla quale continua a essere garantita a noi europei la celebrazione della Messa e dei sacramenti. Per non parlare del contributo teologico e magisteriale di pastori del calibro dei cardinali Bernardin Gantin (1922-2008) (16), Hyachinte Thiandoum (1921-2004) (17), Francis Arinze (18) e Robert Sarah (19). Possiamo così trovare una risposta a quella silenziosa apostasia dell’Occidente denunciata da san Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica «Ecclesia in Europa» (20) e ripresa nella lectio magistralis tenuta il 13 maggio 2004 dal card. Joseph Ratzinger (1927-2022) nella Sala Capitolare del Senato italiano (21). La lezione impartita dal futuro pontefice Benedetto XVI è che, se l’Occidente ha deciso di voltare le spalle a Cristo e alla Chiesa, vuol dire che lo Spirito soffierà da qualche altra parte. La cristianizzazione dell’Occidente è stata un’opportunità che ha prodotto frutti straordinari grazie alla rispondenza alla grazia di tanti uomini i quali, santificandosi, hanno propiziato la nascita della cristianità. Se questo patrimonio culturale e spirituale oggi conosce un declino che sembrerebbe irreversibile, nulla vieta di pensare che ci siano altri luoghi, altri uomini, dove la grazia possa attecchire e produrre i suoi frutti.
Stando ai dati di cui disponiamo, l’Africa sembra essere uno di questi luoghi, che provvidenzialmente viene in aiuto ai problemi che affliggono la Chiesa in Europa, dove, accanto a una popolazione che decresce e invecchia, esiste un clero sempre più anziano e sempre meno numeroso. Ecco che dall’Africa giunge un aiuto insperato, del quale possiamo ringraziare, insieme al buon Dio, tutti coloro che hanno speso la propria vita senza vedere alcun frutto visibile, e nei cui confronti siamo oggi debitori.
Enrico Chiesura
Note:
1) Cfr. Federico Rampini, La speranza africana. La terra del futuro. Concupita, incompresa, sorprendente,Mondadori,Milano 2023. Federico Rampini è un giornalista e saggista italiano, naturalizzato statunitense. È stato vicedirettore de Il Sole 24 Ore e corrispondente estero per la Repubblica; attualmente è editorialista da New York del Corriere della Sera.
2) L’Africa ha una superficie di 30.370.000 km2; l’Unione Europea di 4.233.000 km2; l’intera Europa, comprensiva della Federazione Russa, di 10.530.000 km2.
3) Cfr. F. Rampini, op. cit., pp. 43-44.
4) Cfr. ibid., p. 19.
5) Cfr. ibid., p. 3.
6) Ibid., p. 11.
7) Le manovre navali, denominate Mosi-2, si sono svolte dal 18 al 27 febbraio 2023, in concomitanza con il primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe.
8) Cfr. ibid., p. 31.
9) Cfr. ibid., pp. 15-20.
10) Cfr. Idem, Cosa fare per l’Africa (e per noi), in Corriere della Sera, Milano 26-1-2024.
11) Dato desunto dal World Population Prospect dell’ONU che, analizzando il fenomeno del cosiddetto «Youthquake», «terremoto giovanile», evidenzia come l’età media africana si discosti grandemente da quella registrata nelle aree più popolose del mondo: l’India (età media 28 anni) e la Cina (età media 38 anni).
12) Cfr. Secretaria Status. Rationarium Generale Ecclesiae, Annuarium Statisticum Ecclesiae, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2023.
13) Cfr. Giovanni Paolo II (1978-2005), Esortazione apostolica post-sinodale «Ecclesia in Africa» circa la Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l’anno 2000, pubblicata il 14 settembre 1995 a conclusione dei lavori dell’Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, svoltasi a Roma dal 10 aprile all’8 maggio 1994. A questa prima assemblea ne è seguita una seconda, dal 4 al 25 ottobre 2009, sotto il pontificato di Benedetto XVI (2005-2013).
14) Fondatore dell’Istituto dei Missionari del Cuore di Gesù (Comboniani) e delle Pie Madri della Nigrizia, è stato beatificato il 17 marzo 1996 e successivamente canonizzato, sempre da san Giovanni Paolo II, il 5 ottobre 2003. Su di lui, cfr. il profilo tracciato da Papa Francesco nell’omelia tenuta il 4 febbraio 2023 nella cattedrale di Santa Teresa a Juba, nel corso del suo viaggio apostolico in Sud Sudan.
15) Il Piano per la Rigenerazione dell’Africa è frutto dell’illuminazione che padre Comboni ebbe a Roma il 15 settembre 1864, mentre si trovava in preghiera sulla tomba di san Pietro, in occasione del triduo in preparazione della beatificazione di santa Margherita Maria Alacoque V.S.M. (1647-1690), la mistica divulgatrice della devozione al Sacro Cuore di Gesù. In soli tre giorni, dopo averlo messo per iscritto, Comboni presentava il suo Piano al beato Papa Pio IX (1846-1878), ottenendone l’approvazione.
16) Nativo del Benin, è stato creato cardinale da san Paolo VI (1963-1978) nel 1977 e nominato prefetto della Congregazione per i Vescovi nel 1984, primo cardinale africano a capo di una congregazione vaticana.
17) Senegalese, arcivescovo di Dakar, è stato creato cardinale da san Paolo VI nel 1976.
18) Nigeriano, creato cardinale da Papa Benedetto XVI nel 2005, ha ricoperto l’incarico di prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti dal 2002 al 2008.
19) Nativo della Guinea, è stato creato cardinale da Papa Benedetto XVI nel 2010 e nel 2014 nominato da Papa Francesco prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, incarico mantenuto fino al 2021, quando vi ha rinunciato per raggiunti limiti d’età.
20) Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale «Ecclesia in Europa» su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa, del 28-6-2003.
21) Cfr. Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani. Lectio magistralis del Cardinale Ratzinger, nel sito web <https://www.senato.it/leg14/3379?testo_generico=1155>, consultato il 9 luglio 2024.