Da Avvenire del 2/09/2023
L’ad di The European House Ambrosetti, davanti al gotha della finanza, ha aperto i lavori del Forum con dati preoccupanti sui risvolti sociali ed economici del calo delle nascite: «Tra due secoli l’ultimo bambino in Italia»Corre l’anno 2225 e in Italia nasce l’ultimo bambino: 82 anni più tardi, alla sua morte, il popolo italiano cessa di esistere. Uno scenario «distopico» (mai termine fu più utilizzato nel 2023) già paventato, a volte con dati diversi, da ricerche ufficiali e da campagne pubblicitarie. L’allarme per l’inverno demografico che attraversa l’Italia non è dunque nuovo, ma fa rumore che a rilanciarlo sia, davanti al gotha della finanza e della politica, il principale think tank italiano in apertura dei suoi tre giorni di lavoro. Un «inverno demografico sta ridisegnando il perimetro del nostro mondo con implicazioni di medio lungo termine gravissime », ha infatti sottolineato ieri Valerio De Molli, managing partner e amministratore delegato di The European House – Ambrosetti, addirittura in apertura della 49esima edizione del Forum a Cernobbio, invitando politici ed economisti a riflettere su questo tema. «Se i tassi di natalità non dovessero cambiare l’ultimo italiano nascerebbe nel 2225 e la popolazione italiana cesserebbe di esistere nel 2307: è uno scenario distopico ma stimola la riflessione », ha quindi aggiunto De Molli.Da anni organismi come il Forum delle Associazioni familiari, solo per citarne uno, chiedono politiche adeguate e un piano per la natalità, necessari per invertire una dinamica demografica negativa che favorisce anche l’invecchiamento della popolazione e ha risvolti sociali e produttivi drammatici. L’Istat stesso, nel 2021, ha previsto un calo dei residenti italiani a 54,1 milioni nel 2050 e 47,6 milioni nel 2070, parlando di un quadro di crisi in cui nel 2050 il rapporto tra giovani e anziani sarà di 1 a 3, mentre i cittadini in età lavorativa scenderanno in un trentennio dal 63,8% al 53,3% del totale.De Molli è arrivato ieri a parlare del rischio di una vera e propria «apocalisse demografica», che si tradurrebbe in «una perdita economica pari a un terzo del pil, la produttività dovrebbe almeno raddoppiare ed oggettivamente è un obiettivo irraggiungibile». E ancora: « L’attuale modello di welfare sarebbe insostenibile, il rapporto debito pubblico pil esploderà raggiungendo il 200% nel 2070; alla nascita ogni persona si troverà con un debito pari a 127mila euro; la spesa sanitaria pubblica esploderà fino a 220 miliardi nel 2050».Un’inversione di rotta è dunque necessaria. Nel 2022, secondo l’Istat, il numero medio di figli per donna è stato di 1,24, con il minimo storico di nuovi nati dall’Unità d’Italia, a quota 393mila. «L’Italia sta scomparendo», scrisse su Twitter anche il miliardario Elon Musk alla pubblicazione di quei dati. Cosa fare, dunque? A economisti, politici e osservatori, The European House – Ambrosetti ha fornito un ventaglio di proposte, non del tutto mai sentite e non tutte condivisibili dalla politica, ma che assumono valenza nel dibattito pubblico anche per l’importanza del contesto in cui sono state presentate. Secondo De Molli, occorre «agire in primis sull’immigrazione, aumentando ad almeno 250mila l’anno la quota di permessi di soggiorno per motivi di lavoro rispetto alla media dell’ultimo quinquennio; sviluppare una politica di attrazione di immigrati qualificati; realizzare una legge sull’immigrazione che favorisca integrazione e mobilità sociale; favorire l’allungamento della vita lavorativa anche fino a 75 anni; coinvolgere gli anziani in servizi a supporto della collettività; far leva sulla tecnologia; avviare una fase sperimentale nell’impiego dei robot per l’assistenza e il supporto agli anziani; investire nelle politiche di conciliazione vita lavoro; introdurre momenti formativi nei programmi di educazione civica sui temi della demografia, natalità, genitorialità; sviluppare una narrativa positiva e promuovere genitorialità condivise paritaria; ampliare l’accesso alla procreazione medicalmente assistita. Inoltre, avviare un programma di investimenti in nuove abitazioni; incrementare la componente servizi a sostegno della genitorialità; incrementare i benefici monetari a supporto della genitorialità ». Le associazioni di base invocano da tempo politiche fiscali e incentivi che tengano conto dei carichi familiari, l’aumento di servizi come gli asili nido e, in generale, politiche familiari che diventino parte integrante delle politiche di sviluppo, strettamente connesse all’occupazione giovanile, alla partecipazione femminile al mercato del lavoro e allo sviluppo umano dall’infanzia fino a tutte le fasi della vita. Richieste che appaiono oggi sempre meno rimandabili.