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Alleanza Cattolica sul governo Monti

11 Dicembre 2011 - Autore: Alleanza Cattolica

ACNews 001-2011 — Alleanza Cattolica sul governo Monti

Cristianità n. 362 (2011)

 

Roma, 5 dicembre 2011.

Dopo l’annuncio di gravosi provvedimenti economici, che fra l’altro – e ancora una volta – non comportano quei sostegni alle famiglie con figli a carico che molti avevano auspicato, persone molto per bene, ugualmente leali al bene comune dell’Italia e ispirate dalla dottrina sociale della Chiesa, rischiano oggi di dividersi fra loro sulla questione se, dopo le dimissioni del presidente del Consiglio on. Silvio Berlusconi, chi aveva sostenuto il suo governo debba oggi appoggiare l’esecutivo guidato dal sen. Mario Monti e appoggiato anche dal Partito Democratico e dal Terzo Polo, o debba insistere per immediate nuove elezioni. Sembra importante che amicizie politiche e culturali, talora antiche, non si rompano su questo punto e che si ricordino alcuni aspetti essenziali.

Almeno dal 2008 è in corso una guerra mondiale più difficile da capire di altre, perché combattuta non su campi di battaglia militari – almeno non principalmente, perché non mancano episodi di questo genere, come la guerra in Libia – ma nelle borse, nelle banche e nel sistema finanziario internazionale. Che questa sia una modalità delle moderne guerre dette «asimmetriche», a proposito delle quali la parola «guerra» è usata in senso proprio e non solo metaforico, è stato chiarito dagli stessi ideatori della nozione di «guerra asimmetrica», i colonnelli dell’esercito della Repubblica Popolare Cinese Qiao Liang e Wang Xiangsui, che nel loro libro Guerre senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica tra terrorismo e globalizzazione (trad. it. a cura del Generale Fabio Mini, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2001), talora presentato come «la Bibbia dei nuovi conflitti», oltre all’esempio del terrorismo citano precisamente quello delle aggressioni attraverso tecniche di tipo finanziario. Dopo che la crisi del 2008, seguita dall’elezione di un presidente degli Stati Uniti particolarmente inadatto a governarla, ha dimostrato che per la prima volta dopo la fine della Seconda guerra mondiale l’egemonia statunitense può essere messa in discussione, si è scatenata una guerra asimmetrica di tutti contro tutti per cercare di sostituirla con «qualche cos’altro», dove i principali contendenti sono la Cina, alcuni Paesi arabi – che si muovono anche secondo una logica di tipo religioso –, e il BRI, sigla riferita a Brasile-Russia-India, Paesi che si considerano le potenze economiche emergenti del futuro e formano il cosiddetto BRIC con la Cina, con cui però hanno interessi non coincidenti.

Per cercare di giocare un ruolo in questa guerra, dove l’Europa parte da una posizione piuttosto marginale, Germania e Francia – la prima più forte economicamente, la seconda assai più debole, ma con una rete migliore di contatti politici e d’intelligence internazionali con alcuni dei protagonisti principali, in particolare con il mondo arabo tramite l’alleanza con il Qatar, Paese molto importante anche perché del mondo islamico controlla, e spesso manipola, l’informazione tramite la rete televisiva al-Jazzira – hanno deciso di presentarsi come «direttorio» e di cercare di egemonizzare l’intera Unione Europea, attaccando con manovre piuttosto brutali e spericolate – talora pericolose anche per loro – le economie europee che presentavano un certo grado d’indipendenza, a cominciare da quella italiana, sia tramite un attacco finanziario sia attraverso il colpo portato agli interessi energetici più indipendenti tramite la guerra in Libia e il tentativo d’inserire cunei nei rapporti fra alcuni Paesi europei e la Russia.

Questa autentica guerra non è stata capita, se non da pochi osservatori particolarmente acuti rimasti inascoltati, in un’Italia persa nelle sue beghe politiche nazionali. Pur di scalzare il governo Berlusconi, qualche volta senza capire che cosa stava succedendo ma altre volte capendolo fin troppo bene e rendendosi quindi colpevoli di un vero e proprio tradimento, forze politiche di opposizione, poteri forti economici e culturali ostili per diverse ragioni al governo, e grandi giornali sostanzialmente infeudati a questi poteri, hanno agito oggettivamente da quinte colonne di questo attacco straniero al nostro Paese.

Indebolito non solo dalle quinte colonne – il cui ruolo proditorio e antinazionale va comunque denunciato senza infingimenti – ma anche da comportamenti privati del presidente del Consiglio – perseguiti da magistrati ostili e messi in piazza dai media portavoce dei poteri forti con modalità discutibili e talora scandalose, ma non da loro inventati –, da una notevole litigiosità interna e da una qualità e capacità di comprensione di scenari internazionali complessi rivelatesi alla prova dei fatti spesso gravemente insufficienti, il centro-destra – come dimostra per esempio la vicenda della Libia – non è stato in grado né di resistere alla guerra scatenata contro l’Italia né di spiegare agli italiani che una guerra era in atto.

Le cifre ormai catastrofiche dell’attacco finanziario – da non confondersi con le cifre dell’economia reale, che però in questo scenario di guerra mondiale diventa sempre meno rilevante –, il quotidiano passaggio di aziende di eccellenza italiane in mani straniere, l’evoluzione della situazione in Libia, assai meno rassicurante per gl’interessi italiani di quanto si voglia far credere, mostrano che la guerra è stata perduta. Chi non si rende conto di questa circostanza, o si rifiuta di vederla, ha poi difficoltà a capire tutto il resto.

Nelle nuove guerre non sono previste occupazioni del territorio sconfitto – se non, ancora, economiche – ma è previsto il commissariamento dei vinti attraverso un governo che risponda ai vincitori, i quali ne dettano le condizioni di funzionamento: un «governo Badoglio» o se si preferisce – ma le vicende storiche furono diverse – un «governo Pétain».

Se è vero che abbiamo perso la guerra, non possiamo sfuggire a questo tipo di governo. Lo può votare, sotto pressione dei vincitori, il Parlamento. O lo possono votare gli elettori, i quali però non saranno molto più liberi dei parlamentari perché le potenze vincitrici ripeteranno loro tutti i giorni che o «voteranno bene» o «staranno puniti» con altri durissimi attacchi che li impoveriranno oltre il limite del tollerabile, con gravi conseguenze anche per l’ordine pubblico: gli «indignados» insegnano. È possibile che i vincitori della guerra abbiamo referenti e preferenze diverse quanto alle persone: c’è chi conosce da anni il sen. Monti, chi accetterebbe l’on. Pier Luigi Bersani o magari il sindaco di Firenze dottor Matteo Renzi dopo un passaggio elettorale – in cui peraltro ben potrebbe candidarsi lo stesso sen. Monti, verosimilmente riscuotendo un vasto consenso –, perfino chi a suo tempo ha fatto delle promesse all’on. Gianfranco Fini o chi frequenta il dottor Luca Cordero di Montezemolo. Quella che può essere in discussione però è la scelta delle persone, non della politica, che è stata già dettata dai vincitori e che in gran parte è contenuta nella nota lettera della Banca Centrale Europea.

Che il «governo Badoglio» a sovranità limitata e sotto vigilanza dei vincitori sia nato subito con il sen. Monti ovvero rinasca dopo un passaggio elettorale con i carri armati – metaforicamente ma non troppo – fuori dei seggi non è forse l’elemento decisivo, e non dovrebbe dividere chi ha davvero a cuore le sorti della patria. Pochi o nessuno sanno davvero che fare, ma un buon punto di partenza è prendere atto che la guerra è stata perduta. Continua fra altri e con altri scenari, che forse in futuro potranno darci qualche vantaggio. Quanto ai «governi Badoglio» – che vengono comunque, con o senza elezioni – il dilemma che si pose durante e dopo la Seconda guerra mondiale in vari Paesi di volta in volta sconfitti – se stare dentro un governo sostanzialmente imposto dallo straniero, con lo scopo di alleviare le sofferenze della popolazione e iniziare a ricostruire una presenza politica forse in futuro autonoma, o testimoniare una protesta rimanendone fuori – fu risolto diversamente da persone ugualmente di buona fede. Sarebbe bene che le persone di buona fede, pur compiendo di nuovo scelte diverse, non si dividessero neppure ora, ma trovassero un momento di raccordo nello spiegare al Paese che c’è stata una guerra, che l’abbiamo persa – per colpa delle quinte colonne e dei traditori, da denunciare incessantemente, ma anche perché i «buoni» a lungo non l’hanno capita, e gli stessi passaggi finali, la cui inevitabilità era già evidente nell’estate del 2011, sono stati avviati con notevole ritardo – e che occorre operare perché una nuova classe politica s’impegni nella lunga, faticosa e dolorosa opera della diplomazia, della ricostruzione e forse domani perfino della rivincita. Come ha ricordato nel suo viaggio apostolico in Sardegna del 2008, Papa Benedetto XVI, contro il «nichilismo diffuso» (Omelia, Santuario della Madonna di Bonaria, 7-10-2008) la politica «necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile» (ibidem), così come necessita – come Alleanza Cattolica si permette di richiamare – di una rinnovata e corale «grande preghiera per l’Italia», che riprenda quella proposta dal beato Papa Giovanni Paolo II (1978-2005) nella Meditazione con i vescovi italiani presso la tomba dell’Apostolo Pietro il 15 marzo 1994. Fare tutto questo con un piede dentro o con entrambi i piedi fuori dai «governi Badoglio» – forse più di uno – che ci attendono non è irrilevante, ma non è l’elemento decisivo.

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