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Ti trovi qui: Home / Dalla stampa / “All’iter di legge sulle Dat manca solo una cosa: la protesta dei medici”

“All’iter di legge sulle Dat manca solo una cosa: la protesta dei medici”

24 Marzo 2017 - Autore: Alfredo Mantovano

Perfino al gemelli o a casa sollievo della sofferenza i dottori si troveranno costretti a uccidere il paziente invece che a curarlo

Immaginiamola così: aula della Camera, all’ordine del giorno una norma che riduce sensibilmente gli emolumenti per i medici, e magari ne contrae pure il numero in servizio negli ospedali. Faci­le prevedere le reazioni da parte degli in­teressati: scioperi, proteste, sit-in davanti alle sedi istituzionali, pressioni sui parla­mentari perché riflettano prima di vota­re. Non è immaginazione, ma realtà: au­la della Camera, all’ordine del giorno una norma che costringe il medico ad applica­re le disposizioni sul trattamento sanita­rio del paziente, redatte in tempi e in con­testi diversi da quello nel quale è richiesto l’intervento sanitario; lo costringe, in al­tri termini, a praticare l’eutanasia, certa­mente per omissione. E cioè all’ordine del giorno una legge che demolisce millenni di deontologia professionale, in linea con disposizioni varate negli ultimi anni in al­tri Stati europei, che hanno portato all’uc­cisione pure di minori solo perché disabi­li. I medici restano in silenzio. Perché?

Fra le ragioni vi sono: una pressione mediatica che, secondo un copione con­sueto, esalta ‘casi pietosi”, li mette insieme, pur essendo profondamente diversi l’uno dall’altro, ne manipola i contorni pur di conseguire il risultato; una “cultu­ra dello scarto”, per riprendere l’espressio­ne di papa Francesco, che si è insediata da tempo nel sistema sanitario, e considera uno spreco di energie e di risorse occupar. si di chi rappresenta un costo pesante, ri­tenendo più semplice sbarazzarsene; una crescente scarsa attenzione a temi etici, considerati marginali, al punto che quasi sfugge l’aggressione all’essenza della pro­fessione. Articolo 1 comma 7 della propo­sta in discussione: «Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal pazien­te di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo», e per questo è «esente da responsabilità civile o penale».

Significa che al medico viene chiesto di commettere un reato o quanto meno un illecito civile, altrimenti non avrebbe sen­so stabilire l’esenzione da responsabilità. Qualche rigo più avanti l’articolo 3 com­ma 4 dice che le Dat «possono essere di­sattese C…) qualora sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di assicurare possibilità di miglio­ramento delle condizioni di vita».

Diamo queste norme per già operati­ve: il medico si trova di fronte un paziente non cosciente che ha lasciato anni prima disposizioni precise di sospensione della terapia, da cui deriverà un esito letale: nel frattempo però quella patologia è diven­tata aggmlibile con previsione di mag­gior successo. Come si regola? Se rispetta la volontà del paziente e Io lascia mori­re rischia denunce penali e azioni civili da familiari che gli contestano di non aver praticato le nuove te­rapie. Se disattende le Dat rischia analoghe denunce perché la guarigione non è così certa – e quando mai lo è? – e comun­que il malato aveva stabilito diversamen­te. Ogni medico avrà bisogno dell’avvoca­to più che dell’infermiere, Ma non è detto che l’intervento dell’avvocato – che non è un volontario e costa – sia risolutivo.

Tutti coinvolti, pubblici e privati
Abbiamo presente che cosa accade quan­do un commerciante reagisce all’intrusio­ne di un rapinatore? Magari dopo qualche anno gli si riconosce la legittima difesa: nel frattempo è indagato, magari arresta­to, processato, con prezzo elevatissimo in termini di stress e spese legali. Voglia­mo rendere tale la condizione quotidiana di ogni medico? Il medico farà un’assicu­razione? E pensiamo che l’assicurazione non faccia penare il professionista scaricando su di lui il mancato rispetto della previsione più facile?

Ultimo dettaglio. La legge si appliche­rà a ciascuno degli oltre 100 ospedali e ca­se di cura presenti in Italia, senza eccezio­ni rispetto alla sanità pubblica. L’articolo 1 comma 10 ne impone infatti l’attuazio­ne a «ogni azienda sanitaria pubblica e privata» e non prevede l’obiezione di co­scienza per medici e personale ausiliario. É qualcosa su cui non devono aver riflettu­to a sufficienza quei cattolici – compreso qualche autorevole pastore – che si sono espressi per l’approvazione delle nuove norme. Vuol dire che perfino al Gemelli o a Casa sollievo della sofferenza i medi­ci si troveranno costretti a uccidere il pa­ziente invece che a curarlo. Non ce ne sa­rebbe per protestare finché si è in tempo?

Alfredo Mantovano

Da “Tempi” del 23 marzo 2017. Foto da Faro di Roma

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