Il Papa canonizza la prima santa argentina per insegnarci un apostolato che non si fa abbattere neppure dalle difficoltà nella Chiesa
di Michele Brambilla
L’11 febbraio Papa Francesco canonizza in S. Pietro Maria Antonia de la Paz y Figueroa (1730-99), monaca argentina formatasi nella spiritualità ignaziana e strettamente legata alla Compagnia di Gesù, tanto che diffuse la pratica degli Esercizi spirituali anche nei decenni successivi alla soppressione dell’ordine gesuita (1773) e decise, proprio in quei frangenti non molto favorevoli, di aprire delle case specificamente dedicate alla loro predicazione.
L’omelia della Messa di canonizzazione ripete parole molto care al Pontefice. «Paura, pregiudizio e falsa religiosità: ecco tre cause di una grande ingiustizia, tre “lebbre dell’anima” che fanno soffrire un debole, scartandolo come un rifiuto. Fratelli, sorelle, non pensiamo che siano solo cose del passato. Quante persone sofferenti incontriamo sui marciapiedi delle nostre città! E quante paure, pregiudizi e incoerenze, pure tra chi crede e si professa cristiano, continuano a ferirle ulteriormente», rimprovera infatti, invitando ancora una volta i cattolici ad abbattere le barriere del perbenismo, dei pregiudizi, e ad aprirsi ad uno spirito missionario che non esclude nessuno, imitando Colui che, «di fronte alla “lebbra” più grave, quella del peccato, non ha esitato a morire in croce, fuori dalle mura della città, rigettato come un peccatore, come un lebbroso, per toccare fino in fondo la nostra realtà umana».
“Mama Antula”, come era popolarmente soprannominata santa Maria Antonia, «è stata una viandante dello Spirito. Ha percorso migliaia di chilometri a piedi, attraverso deserti e strade pericolose, per portare Dio. Oggi è per noi un modello di fervore e audacia apostolica. Quando i Gesuiti furono espulsi, lo Spirito accese in lei una fiamma missionaria basata sulla fiducia nella Provvidenza e sulla perseveranza», virtù da riacquisire anche nella nostra contemporaneità, in cui i cattolici si scoraggiano facilmente. I cattolici, insomma, non devono giocare di rimessa, ma essere sanamente propositivi, come ci fanno comprendere le biografie dei santi che, come Maria Antonia, sono vissuti in un’altra epoca difficile per la Chiesa, quella dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese.
Durante l’Angelus, il Santo Padre insiste ad indicare il comportamento di Gesù, che «parla poco e alle parole fa seguire prontamente le azioni: si china, prende per mano, risana. Non indugia in discorsi o interrogatori, tanto meno in pietismi e sentimentalismi. Dimostra piuttosto il pudore delicato di chi ascolta attentamente e agisce con sollecitudine, preferibilmente senza dare nell’occhio», perché la carità autentica non si vanta.
«L’amore ha bisogno di concretezza, l’amore ha bisogno di presenza, di incontro, ha bisogno di tempo e spazio donati», ribadisce Francesco. «Per questo oggi voglio esprimere a tutte le persone ammalate o più fragili la mia vicinanza e quella di tutta la Chiesa. Non dimentichiamo lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza», ripete ancora.
Proprio l’11 febbraio, memoria liturgica della Madonna di Lourdes, si celebra la Giornata del malato, «ma in questa Giornata, fratelli e sorelle, non possiamo tacere il fatto che ci sono tante persone, oggi, alle quali è negato il diritto alle cure, e dunque il diritto alla vita», specialmente nelle aree di guerra, tra le quali il Papa cita anche il Myanmar.
Lunedì, 12 febbraio 2024