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Andrej Andreevič Vlasov (1900-1947)

19 Ottobre 2018 - Autore: Marco Respinti

di Marco Respinti

 

Andrej Andreevič Vlasov (1900-1947)

 

1. Lo scenario

Il 22 giugno 1941, rotto il patto Molotov-von Ribbentrop dell’agosto del 1939 che prevedeva la non-aggressione fra Germania nazional­so­cialista e Unione Sovietica comunista, il Terzo Reich scatena contro l’ex alleato, ora acerrimo nemico, l’«Operazione Bar­ba­ros­sa».

L’avanzata della Wehrmacht accende non poche speranze fra i cittadini sovietici stretti nella morsa del terrore sta­liniano, che sperano di poter sfruttare l’occasione per liberarsi del giogo totalitario. Nel primo volume di Arcipelago GuLag. Saggio di in­chiesta narrativa, del 1973, lo scrittore russo Ale­k­sandr Isaevic Solzenicyn ricorda che «[…] unità an­ti­so­vie­ti­che con­sistenti di ex sudditi sovietici furono create fin dai primi mesi della guerra. I primi a sostenere i tedeschi furono i lituani (quante angherie avevano subìto in un solo anno!); poi fu creata la divisione ucraina volontaria, SS-Galicia; infine reparti di e­stoni; nell’autunno 1941 apparvero battaglioni di guardie in Bielorussia; in Crimea ci fu un battaglione tataro. […] Più tardi passarono dalla parte dei tedeschi reparti caucasici e truppe co­sacche (più di un corpo di cavalleria). Durante il primo inverno si cominciarono a formare plotoni e compagnie di volontari rus­si, ma il co­mando tedesco nutriva una forte sfiducia verso le for­mazioni russe». Questa ribellione anti-comunista viene spes­so sbrigativamente e maliziosa­mente liquidata come fenomeno di semplice «collaborazionismo» ideologico, mentre essa ag­giunge una dimen­sione decisamente interessante per la miglior comprensione della questione del famoso «appello patriottico» con cui Iosif Vissarionovič Džugašvili «Stalin» (1878-1953) — in nome della Santa Russia —, chiamò alle armi i sovietici contro l’aggressore tedesco, com­piendo, pe­raltro, un gesto con cui — momentaneamente e suo malgrado — il despota si vide di fatto costretto ad allentare la morsa dispotica sul paese e a sop­portare il ritorno di valori e di concetti radicalmente contrastanti con l’ideologia marxista-leninista.

2. Vlasov, anticomunista dell’Armata Rossa

Fra i cittadini sovietici che si rivoltano in armi contro Mosca, emerge la figura del generale russo Andrej Andreevič Vlasov e dei soldati ai suoi ordini, detti vlasovcy.

Il futuro ufficiale nasce nel 1900 a Lomakino, nel gover­na­to­ra­to di NiznijNovgorod, da una famiglia contadina. A di­ciotto an­ni si arruola nell’Armata Rossa e, dopo essere stato ammesso nel Partito Comunista dell’Unione Sovietica nel 1930, prosegue la carriera nell’esercito. Nel 1936 è consigliere mili­ta­re in Cina e nel 1940 viene nominato generale.

Durante la campagna dell’inverno 1941-1942 comanda la 2a Armata che, stanziata nei dintorni di Mo­sca, difende la capitale minacciata dalla Wehrmacht e scongiura la vittoria militare tedesca. Dopo aver guadagnato la gloria su quel campo di battaglia, partecipa ai combattimenti nella regione del Volkhov, ma, accerchiato per diverse set­ti­mane nei pressi di Leningrado dalle truppe tedesche che ne im­pediscono ogni ma­novra, viene abbandonato da Stalin a morire di fame. Messo alle strette e persa ogni fiducia nello Stato Mag­giore e nella dirigenza politica sovietiche, dopo un lungo cal­va­rio decide di arrendersi ai soldati tedeschi il 13 luglio 1942, nel distretto di Siverskij.

Nella speranza di poter creare un organismo politico e militare indipendente capace di condurre una lotta patriottica e anti­-co­mu­nista che porti al rovesciamento del regime staliniano, decide di riprendere le armi a fianco dei tedeschi e di organizzare il Mo­vi­mento per la Liberazione dei Popoli della Russia.

3. Il KONR e la ROA

Alla fine del 1942 Vlasov ottiene dal comando tedesco il per­messo di costituire un centro di propaganda a Dabendorf, non lontano da Berlino, compiendo poi alcuni viaggi in Germania, a Bruxelles e a Parigi per promuovere l’iniziativa. Il 12 aprile 1943 rende pubblico un programma patriottico e anti-comunista nel quale viene però negata ogni concessione all’Ucraina, alla Li­tuania e agli altri territori non russi inglobati dall’imperialismo sovietico, che rivendicano l’indipendenza e che si tro­vano analogamente in armi contro Mosca.

L’ex generale comunista, peraltro, non gode affatto della fi­du­cia di Adolf Hitler (1889-1945), che ne disprezza il patriottismo e certe tendenze ispirate al nazionalismo russo e gran-russo. Se Vlasov può contare su una certa simpatia del ministro degli E­ste­ri tedesco Joachim von Ribbentrop (1893-1946), è invece de­te­stato da Heinrich Himmler (1900-1945), Rei­chsführer delle SS — Schutzstaffeln, «staffette di difesa» —, che nutre forti pre­giu­dizi razziali nei confronti degli slavi, accarezzando progetti di completa colonizzazione e sottomissione al Terzo Reich dei ter­ritori dell’Est. La costituzione dell’armata anti-comunista dei vla­sovcy viene dunque ritardata fino alla vigilia della conclusione della guerra mondiale, vanificandone ogni eventuale efficacia patriottica. Inconsapevolmente, Vlasov finisce anche per dive­ni­re uno strumento della lotta di potere fra von Ribbentrop, da un lato, e Himmler e il Reichskommissar dell’Est Alfred Rosenberg (1893-1946), dall’altro. Il Rei­chsführer delle SS, intanto, cerca di riunire le minoranze russe per meglio adattarle alle proprie ne­cessità ideologico-militari, tanto che all’inizio del 1945 i suoi quadri militari possono contare su cinque divisioni composte di lettoni, estoni e russi bianchi, oltre a numerose brigate formate da caucasici e turkestani musulmani, e alle tre divisioni di co­sac­chi e di ex emigrati poste sotto il comando del generale tedesco Helmut von Pannwitz (1898-1947), poi riconosciuto come ataman dai propri uomini. Per volere dell’alto comando tedesco, Vlasov non avrà mai alcuna autorità effettiva sulla totalità di questi uomini, spes­so a torto identificati nel complesso come «Eser­ci­to Vla­sov».

L’avanzata tedesca sul suolo sovietico volge intanto in ritirata. Così, il 16 settembre 1944, Himmler e Vlasov s’in­contrano a Ra­stenburg, nella Prussia Orientale (oggi Kętrzyn, in Polonia), quartier generale di Hitler sul fronte est, per concordare le creazioni di un esercito antistaliniano e di un comitato, il KONR, Comitato per la Liberazione dei Popoli della Russia, con il compito, ri­con­quistata la patria, di creare un governo provvi­so­rio. In questa e in altre occasioni, il generale russo resiste con successo alle forti pressioni del Rei­chsführer delle SS che au­spi­ca l’inserimento di princìpi positivamente anti-semiti nei pro­grammi del KONR.

Mentre l’Armata Rossa raggiunge la Vistola e il Danubio, i vla­sovcy — narra Solzenicyn — «[…] cucivano sulla manica sini­stra della divisa tedesca lo scudetto con il bordo bianco-azzurro-rosso, la croce di sant’Andrea e le lettere ROA». È la sigla della Russkaja Osvoboditel’naja Armija, l’Esercito di Liberazione Rus­so, la cui costituzione viene permessa dai vertici del Terzo Reich solo di fronte all’assottigliarsi del numero dei propri soldati che, dalla metà del 1944, pesa in maniera decisiva sugli obiettivi mi­li­tari tedeschi.

Il progetto è quello di affidare a Vlasov un’armata russa di 25 divisioni per un totale di 650mila uomini, ma il generale potrà in effetti contare solamente su tre divisioni, delle quali solo una — 18mila uomini agli ordini del generale Sergej K. Bunjacenko — viene di fatto impegnata in combattimento.

Con una cerimonia solenne, il 14 novembre viene ufficialmente fondato a Praga il progettato KONR, accompagnato dalla pubbli­cazione di un manifesto che si propone, dopo la vittoria, di ga­rantire ai russi molte delle libertà negate dal regime sovietico: il ritorno dei territori agricoli al possesso privato, la liquida­zione del lavoro forzato e la libertà di religione e di parola.

Quat­tro giorni più tardi, truppe statunitensi en­trano in territorio tedesco. A questo punto, come nota lo storico inglese barone lord Nicholas William Bethell (1938-2007)in The Last Se­cret. Forcible Re­patriation to Russia 1944-1947, del 1974, «Vla­sov, dopo tutti gli schiaffi ricevuti, era meno preoccupato di aiu­ta­re i nazisti che non di dar vita a una forza che sarebbe di­ve­nu­ta un’entità po­li­ti­ca. Proget­tava, comunque la guerra finisse, di negoziare con la parte vincente e di offrire il pro­prio aiuto nella marcia contro Stalin. Era convinto che se, come sembrava probabile, gli Alleati avessero vinto, lo scontro fra l’Ar­mata Ros­sa e la Gran Bre­ta­gna e gli Stati Uniti sarebbe stata solo que­stione di tempo. In quel caso, Vla­sov e i suoi uomini si sa­reb­bero volentieri uniti al­l’Occidente per scagliarsi contro l’Unio­ne So­vietica».

Nel maggio del 1945, gli uomini di Bunjacenko corrono in soc­corso degli abitanti di Praga e liberano la città dai tedeschi che minacciano di distruggerla completamente, un fatto che i par­ti­giani comunisti boemi e la storiografia ufficiale non hanno mai riconosciuto volentieri. «Il 9 maggio — osserva lo storico sta­tu­nitense Warren Hasty Carroll (1932-2011) in 70 Years of the Communist Revolution, del 1989 —, i carri armati sovietici entrarono a Praga. L’Armata Rossa occupava ora la Cecoslovacchia, l’Un­gheria, la Germania Orien­tale e l’Austria orien­tale, insieme ai quattro paesi che già si era assicurata o che erano ben avviati sulla strada della conquista comunista: Polonia, Romania, Bul­garia e Jugoslavia».

4. Il tragico epilogo

Gli ultimi momenti della ROA sono drammatici. Gli ufficiali inviano messaggi alle controparti statunitensi, ma non riescono a stringere alcun accordo certo. I vlasovcy decidono allora di arrendersi alle truppe nord-americane che inizialmente li accolgono con benevolenza: i graduati statunitensi impegnanti sul territorio tedesco sono infatti ancora all’oscuro degli Accordi di Jalta fra Stalin, sir Winston Leonard Spenser Churchill (1874-1965) e Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) in cui è stato segretamente deciso il rimpatrio di tutti i sovietici «ribelli» o pri­gionieri dei tedeschi, anche con la forza. Una volta sciolto il ri­serbo, gli ufficiali nordamericani eseguono gli ordini.

La storia del rimpatrio forzato delle unità della ROA s’intreccia così con i fatti luttuosi che coinvolgono migliaia di altri anti-­co­mu­ni­sti orientali, caucasici, cosacchi, emigrati e pure slavi me­ri­dio­na­li rispettivamente consegnati a Stalin e al leader jugoslavo Josip Broz detto «Tito» (1892-1980), soprattutto per volontà dell’alta dirigenza politico-militare britannica che finisce per coinvolgere anche gli Stati U­niti d’America in un clamoroso crimine di guerra, negletto e sco­modo, raccontato nei minimi dettagli dallo storico anglo-russo conte Nikolai Dmitrevič Tolstoy Miloslavskj.

Fatto prigioniero in Cecoslovacchia dall’avanguardia delle truppe statunitensi della 3a Armata al comando del generale George Smith Patton (1885-1945), il generale Vlasov, il 12 mag­gio, vicino a Schlüsselburg, a ovest di Hannover, cade in mano sovietica mentre è sotto scorta nord-americana in una circostanza che Tolstoy definisce «comple­tamente e tragicamente inno­cen­te». Il 2 agosto 1946, la Pravda annuncia che l’ufficiale e altri nove suoi colleghi sono stati condannati a morte e impiccati.

Osserva Car­roll: «Avendo visto la verità, Vlasov aveva assunto la pro­pria posizione. Il comunismo, gridò nella Dichiarazione di Smolensk, “è il nemico del popolo russo”. Ambì al suo completo ripudio, al rovesciamento del suo dominio, alla libertà per la Russia e alla pace con la Germania.

«Ma, come Vlasov avrebbe dovuto ed evidentemente non sa­pe­va, non vi sarebbe potuta essere maggiore pace con Hitler che con Stalin. Hitler avrebbe conquistato e gover­nato, o sa­reb­be morto. La tragedia di Vlasov fu la tragedia dell’intera guerra russo-tedesca, un corpo a corpo fra mostri. Non vi fu alcuna alternativa. Non vi fu alcuna terza scelta — solo i due titani dell’oscurità».

Marco Respinti
19 ottobre 2018

Per approfondire: vedi Adriano Bolzoni (1919-2005), I dannati di Vlassov. Il dramma dei russi antisovietici nella seconda guerra mondiale, Mursia, Milano 1991; Pier Arrigo Carnier, L’ar­mata cosacca in Italia. 1944-1945, 2a ed. ampliata, Mursia, Mi­lano 1990 (cap. V: Uniti nella lotta, rivali nel potere. P. N. Kras­snoff e A. A. Wlas­sow, pp. 93-105); e Idem, Lo sterminio man­ca­to. La domi­na­zione nazista nel Veneto orientale 1943-1945, 2a ed., Mursia, Mi­lano 1988; vedi pure i miei Maggio-giu­gno 1945: il rimpatrio forzato dei cosacchi e altri crimini di guerra «ec­cel­lenti», in Cristianità, anno XXIII, n. 245, settem­bre 1995, pp. 13-20, e An­che gli Al­leati deportavano, in La nuo­va Europa, anno V, n. 6 (270), no­vembre-dicembre 1996, pp. 86-104.

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