Nei mesi di legislatura ci si opponga veramente alle leggi ostili alla vita e alla famiglia (in primis quella sulle dat) ancora pendenti, e si provi a dare voce all’Italia vera
Funziona così? Vieni eletto in un partito e grazie a questo vai al governo. Resti in carica pur quando quel partito, dopo pochi mesi, esce dalla coalizione e sceglie l’opposizione: un’inezia, all’incirca quattro anni. Nel frattempo fai di tutto: approvi il divorzio facile e il divorzio breve, la legge sul matrimonio same-sex, la droga “leggera” e accessibile a tutti, la fecondazione eterologa a carico del Servizio sanitario nazionale, tagli le risorse necessarie per la salute, ti disinteressi della persecuzione dei medici obiettori, non alzi un dito di fronte alla diffusione del gender nelle scuole, dai il tuo contributo perché in un ramo del Parlamento passi l’eutanasia, hai qualche ripensamento in prossimità del traguardo dello ius soli dopo averlo votato solo perché hai visto qualche sondaggio, col tuo voto favorisci fiscalmente le multinazionali e deprimi la famiglia, rinunci a governare l’emergenza immigrazione e ignori l’anoressia demografica che interessa la nazione di cui saresti una delle guide. Senza trascurare il sostegno attivo che hai dato a una riforma costituzionale – per fortuna abortita – che affievoliva la sussidiarietà. Di più, hai ignorato gli allarmi e le richieste di dissociarti da questo o da quel provvedimento provenienti da piazze affollate di famiglie non rappresentate da nessuno; anzi, le hai illuse e le hai prese in giro, salvo optare sempre per l’esatto contrario di quel che ti sollecitavano quei luoghi civili e responsabili di esercizio di democrazia.
Il voto è una sentenza definitiva
Alla fine, come nel gioco dell’oca, torni al punto di partenza e riprendi posizione esattamente nel recinto dal quale hai preso le mosse nella primavera del 2013, come se nulla fosse stato. Come direbbe Guareschi, è «bello e istruttivo» questo tuo disinteressato ri-passaggio a un’area politica che pare avere oggi le maggiori prospettive di vittoria elettorale. Sul piano oggettivo, è l’equivalente di un sondaggio interno al Palazzo: segnala la percezione che dell’esito delle prossime politiche hanno gli inquilini di quel condominio. Sul piano soggettivo, è difficile da seguire senza ricorrere a generose dosi di antivomito.
Funziona così? Le esperienze elettorali più recenti, dentro e fuori i confini nazionali, suggeriscono di contenere lo sfruculiamento del cittadino che vota. Perché costui deciderà poco di quel che accade nella sua quotidianità, ma quando decide mostra una maturità mediamente superiore a quella che presume chi ne sollecita il consenso. Lo scorso 4 dicembre media e influencer di vario tipo davano per certa la vittoria del “sì” al referendum costituzionale, e sappiamo come è andata; e anche i risultati delle ultime amministrative, che hanno aperto gli occhi e il cuore alla transumanza in corso, sono andati in controtendenza con le previsioni, soprattutto in luoghi simbolici come Genova o in giro fra Toscana, Emilia e Abruzzo. Dunque, se c’è qualcosa di sicuro, un po’ più sicuro di quella poltrona alla cui riconferma stai puntando con sprezzo del pericolo e spirito di abnegazione, è che l’urna elettorale è l’equivalente di una sentenza definitiva: quando arriva non la puoi modificare. E se nei fatti hai disprezzato per quattro anni fasce importanti del tuo potenziale elettorato, non puoi pensare che ti riscatti con un’acrobazia all’ultimo (o al penultimo) giorno utile.
Il vizietto del tradimento
Vale per il transfuga. Vale per chi lo accoglie, e anzi organizza i tour del rientro. Chi l’ha detto che l’algebra non si applica pure in politica? I gitanti che tornano a casa non solo non aggiungono nulla, ma vanno in sottrazione: quanti dei partecipanti alle manifestazioni di piazza San Giovanni e del Circo Massimo sono pronti a sostenere un partito che riprenda nelle proprie fila personaggi col curriculum prima riassunto? Per avere la garanzia del rinnovato rinnegamento dei princìpi cari a quel popolo? Chi ha tradito così tante volte dà la certezza che alla prima utile continuerà a farlo. Idem se il rientro fosse non nel partito originario ma in una formazione messa su ad hoc per questi reduci non combattenti. Quale attrattiva ha una bad company?
Nei pochi mesi di legislatura che restano ci si opponga veramente alle leggi ostili alla vita e alla famiglia (in primis quella sulle dat) ancora pendenti, e si provi a dare voce all’Italia vera, come è stato fatto con successo in più d’una città alle ultime amministrative. Chi cerca, e magari ottiene, il riciclo dopo una parvenza di “differenziata” non per questo cessa di essere un rifiuto.
Alfredo Mantovano
Da “Tempi” dell’8 agosto 2017. Foto da articolo