di Michele Brambilla
Nel cuore dell’agosto vacanziero circa 90mila giovani, provenienti da tutta Italia, muovono verso Roma per una “Gmg in piccolo”, che intende destare l’attenzione sull’imminente Sinodo ordinario dei vescovi dedicato alla pastorale giovanile e a quella vocazionale.
Papa Francesco presiede la veglia al Circo Massimo dell’11 agosto e scende ancora tra i giovani la mattina del 12 agosto per la recita dell’Angelus (la Messa, in piazza Ssan Pietro, è presieduta dal presidente della Conferenza Episcopale Italiana, card. Gualtiero Bassetti). Il messaggio che il Pontefice intende comunicare nei due momenti di preghiera è unitario: la risurrezione di Cristo impedisce al credente di essere un uomo remissivo e vizioso, ma gli impone di riscuotersi e di combattere attivamente il male, identificato nella «cultura della morte» più volte denunciata anche dagli immediati predecessori di Francesco e caratterizzata dal «disprezzo per l’altro».
Già la sera dell’11 agosto il Papa prende spunto dalla pagina di Vangelo letta durante la veglia (cfr. Gv 20,1-8) per ricordare che «[…] i discepoli di Gesù corrono perché hanno ricevuto la notizia che il corpo di Gesù è sparito dalla tomba. […] Da quella mattina, cari giovani, la storia non è più la stessa. Quella mattina ha cambiato la storia. L’ora in cui la morte sembrava trionfare, in realtà si rivela l’ora della sua sconfitta. Nemmeno quel pesante macigno, messo davanti al sepolcro, ha potuto resistere. E da quell’alba del primo giorno dopo il sabato, ogni luogo in cui la vita è oppressa, ogni spazio in cui dominano violenza, guerra, miseria, là dove l’uomo è umiliato e calpestato, in quel luogo può ancora riaccendersi una speranza di vita».
Il peccato, quindi, non ha più l’ultima parola. Tuttavia, spiega Francesco nel successivo Angelus domenicale, continua a proporre una “controcultura”, che si insinua nella stessa interiorità dell’uomo, come avverte la seconda lettura della XIX domenica del Tempo ordinario: «Nella seconda Lettura di oggi, San Paolo ci rivolge un pressante invito: «Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione» (Ef 4,30)». Lo Spirito si rattrista quando ci si dimentica che «[…] tutti lo abbiamo ricevuto nel Battesimo e nella Cresima, quindi, per non rattristare lo Spirito Santo, è necessario vivere in maniera coerente con le promesse del Battesimo, rinnovate nella Cresima». Il Pontefice insiste: «[…] il cristiano non può essere ipocrita: deve vivere in maniera coerente. Le promesse del Battesimo hanno due aspetti: rinuncia al male e adesione al bene».
La rinuncia va espressa molto chiaramente. «Rinunciare al male significa dire “no” alle tentazioni, al peccato, a satana. Più in concreto significa dire “no” a una cultura della morte, che si manifesta nella fuga dal reale verso una felicità falsa», omicida. Altrettanto chiaro l’appello a un combattimento interiore che non si limiti a rifiutare il male a parole, ma che esiga un completo «[…] aderire al bene e fare il bene», con tutto il proprio essere.
In questo quadro non trova spazio neppure l’omissione. «Oggi vi esorto ad essere protagonisti nel bene! […] Non sentitevi a posto quando non fate il male; ognuno è colpevole del bene che poteva fare e non ha fatto», concetto che il Santo Padre fa ripetere alla folla per ben due volte, come suo costume. Ecco allora i giovani scandire con decisione: «[…] è buono non fare il male, ma è male non fare il bene» possibile. Il male si diffonde «[…] dove mancano cristiani audaci che si oppongono» a esso.