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Aquila e Priscilla, sposi e missionari

14 Novembre 2019 - Autore: Michele Brambilla

di Michele Brambilla

Nell’udienza generale del 13 novembre Papa Francesco continua a seguire i passi apostolici di san Paolo: «nuova tappa del suo viaggio missionario è Corinto, capitale della provincia romana dell’Acaia, una città commerciale e cosmopolita, grazie alla presenza di due porti importanti», collocati strategicamente ai due lati dell’istmo che la città domina tutt’ora. Proprio a Corinto, dal 146 a.C. colonia romana, san Paolo incontra i primi due cristiani provenienti dalla capitale dell’Impero di cui la Scrittura tramanda il nome. «Come leggiamo nel capitolo 18 degli Atti, Paolo trova», infatti, «ospitalità presso una coppia di sposi, Aquila e Priscilla (o Prisca), costretti a trasferirsi da Roma a Corinto dopo che l’imperatore Claudio aveva ordinato l’espulsione dei giudei (cfr At 18,2)», a cui i credenti in Cristo erano ancora pigramente assimilati dalle autorità pagane. Sarà infatti Nerone (54-68 d.C.) il primo imperatore a perseguitare i cristiani in quanto cristiani. L’editto di Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (questo il nome intero di Claudio) è del 49 d.C. ed è citato anche dagli storici latini. Di fronte alla necessità di trasferirsi in una città sconosciuta Aquila e Priscilla non si perdono d’animo, ma «questi coniugi dimostrano di avere un cuore pieno di fede in Dio e generoso verso gli altri, capace di fare spazio a chi, come loro, sperimenta la condizione di forestiero. Questa loro sensibilità li porta a decentrarsi da sé per praticare l’arte cristiana dell’ospitalità (cfr Rm 12,13; Eb 13,2) e aprire le porte della loro casa per accogliere l’apostolo Paolo», che osserva come in poco tempo i due sposi fossero riusciti a costituire a Corinto un embrione di comunità cristiana. «Paolo infatti può parlare della “comunità che si raduna nella loro casa” (1Cor 16,19), la quale diventa una “casa della Chiesa”, una “domus ecclesiae”, un luogo di ascolto della Parola di Dio e di celebrazione dell’Eucaristia».

Il Papa ama sottolineare che «tra i numerosi collaboratori di Paolo, Aquila e Priscilla emergono come “modelli di una vita coniugale responsabilmente impegnata a servizio di tutta la comunità cristiana” (Benedetto XVI, Catechesi, 7 febbraio 2007) e ci ricordano che, grazie alla fede e all’impegno nell’evangelizzazione di tanti laici come loro, il cristianesimo è giunto fino a noi». Viene così condannato ancora una volta il clericalismo, cioè la tendenza a demandare tutto al clero: il Battesimo ci ha resi tutti apostoli, pur nella diversità di ministero. Francesco prende spunto dall’episodio di At 18 per dire la sua anche sul “ritorno di fiamma” dell’antisemitismo che si starebbe vivendo in Europa: «io vorrei fare una parentesi. Il popolo ebraico ha sofferto tanto nella storia. È stato cacciato via, perseguitato … E, nel secolo scorso, abbiamo visto tante, tante brutalità che hanno fatto al popolo ebraico e tutti eravamo convinti che questo fosse finito. Ma oggi, incomincia a rinascere qua e là l’abitudine di perseguitare gli ebrei. Fratelli e sorelle, questo non è né umano né cristiano. Gli ebrei sono fratelli nostri», come affermò san Giovanni Paolo II (1978-2005) nel 1986 visitando la sinagoga di Roma.  

Giovedì, 14 novembre 2019

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