Di Emanuele Scimia da AsiaNews del 14/08/2021
Continua in Afghanistan l’avanzata dei talebani, che ora controllano metà delle 34 capitali provinciali, minacciando in modo diretto Kabul. Le rapide conquiste dei ribelli islamisti, favorite dal ritiro degli Usa e dei suoi alleati dopo 20 anni di presenza militare nel Paese, pongono l’interrogativo di dove essi trovino risorse e armi per sconfiggere a più riprese l’esercito afghano, sulla carta meglio addestrato ed equipaggiato (da Washington).
Saifullah Ahmadzai, ricercatore di stanza a Kabul dell’International Crisis Group, riferisce ad AsiaNews che secondo i media locali le armi e l’equipaggiamento militare sottratti ai talebani dalle forze governative sono molto moderni e costosi. La maggior parte di essi è di produzione pakistana, iraniana e russa.
Non è provato che questi armamenti siano forniti dai Paesi citati. Ahmadzai fa notare che nella provincia pakistana di Khyber Pakhtunkhwa vi sono molti mercati clandestini dove si può trovare e acquistare ogni tipo di arma. Egli spiega che i talebani si sono appropriati anche di armamenti Usa abbandonati dalle Forze di sicurezza afghane in fuga.
Ajmal Shams, un ex vice ministro nel primo governo guidato dal presidente afghano Ashraf Ghani, punta il dito contro “le complesse relazioni” dei talebani con i Paesi della regione, soprattutto quelli da sempre preoccupati per la presenza Usa in Afghanistan. L’ex consigliere politico di Ghani, ora vice presidente del Partito socialdemocratico afghano, non fa nomi, ma gli indizi portano a Russia, Cina, Iran e Pakistan: tutti Stati che però hanno in varia misura criticato il rapido ritiro Usa e Nato.
Senza copertura aerea statunitense, l’esercito regolare afghano perde in capacità operative, dovendo anche combattere su più fronti, spiega Shams: “Fronteggiare una guerriglia è poi più impegnativo di una guerra regolare”. Dopo tanti investimenti e una cooperazione ventennale, il politico afghano è convinto che gli Stati Uniti e i suoi alleati continueranno a impegnarsi per il legittimo governo di Kabul. “I nostri partner internazionali – precisa Shams – credono però che serva un accordo politico per mettere fine al conflitto”.
L’offensiva talebana al momento lascia poco spazio all’idea che i ribelli accettino una soluzione negoziata. I talebani sono fondamentalisti islamici di etnia pashtun, originari del sud del Paese. Washington e le forze afghane dell’Alleanza del nord (formata in prevalenza da tagiki e uzbeki) hanno rovesciato il loro governo tra la fine del 2001 e gli inizi del 2002, subito dopo gli attentati dell’11 settembre: il gruppo estremista ospitava i leader di al-Qaeda, ideatori e autori degli attacchi alle Torri gemelle di New York e al Pentagono.
Secondo diversi osservatori, l’attuale scenario non è preoccupante solo per Stati Uniti ed Europa, ma anche per la Cina. Dall’annuncio in aprile della ritirata statunitense, Pechino ha intensificato i contatti con la leadership politica dei talebani. Come ricorda Ahmadzai, i cinesi vogliono evitare che islamisti uiguri possano installarsi in Afghanistan per lanciare attacchi contro lo Xinjiang, la loro terra d’origine che chiamano Turkestan orientale. La Cina intende anche proteggere i propri investimenti in terra afghana.
Ahmadzai osserva che se i talebani assumeranno il controllo dell’Afghanistan, la loro relazione con Pechino diventerà strategica. Questa situazione, egli aggiunge, “alimenterà però in Russia il sospetto che la Cina stia diventando la potenza dominante in Asia centrale”. Tradotto: la regione sarà ancora più instabile.
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