
Il 31 ottobre, dopo oltre nove anni dietro le sbarre, la cattolica Asia Bibi è stata assolta dall’accusa di blasfemia dalla Corte Suprema del Pakistan. Ma il suo primo Natale di libertà non sarà trascorso in serenità e in compagnia dei propricari.Tanti nel suo Paese e nel mondo avevano salutato con sollievo la decisione dei giudici, ma la rabbia degli estremisti islamici che ne chiedono l’esecuzione è stata immediata e la loro minaccia costringerà la donna a trascorrere, sotto custodia, dei servizi segreti la ricorrenza del Natale. Nonostante le voci di una sua fuga in Europa, negata dalle autorità pachistane, come pure le illazioni sul suo possibile rifugio, nessuno sa dove realmente si trovi se non pochi individui selezionati nei ranghi superiori di militari e polizia. Anche i suoi familiari non hanno mai potuto incontrarla da quando halasciato il carcere femminile di Multan. Unico autorizzato a condividere il Natale con lei è il marito, mentre i figli lo vivranno nascosti, in attesa che si concretizzi per Asia Bibi la possibilità di espatrio verso un Paese accogliente che sembrava a portata di mano a poche ore dall’assoluzione.
La parola “fine” di una vicenda che come mai in altri casi simili ha suscitato emozioni e animosità, incrociando vicende umane, interessi ideologici e politici, potrebbe essere scritta senza preavviso. Probabilmente non appena il giudice supremo Saqib Nisar – peraltro prossimo alla pensione e che a sua volta si trova in una situazione di grave rischio personale – delibererà sull’appello alla sentenza di assoluzione presentato dai suoi avversari più accaniti. La decisione definitiva spetterà però a un governo in evidenti difficoltà a gestire le pressioni contrapposte dei fanatici religiosi e delle diplomazie internazionali.
Difficile ogni pronostico sulla sorte della donna: entro la fine di gennaio “convergeranno” il tempo concesso al giudice e la scadenza dei 60 giorni di fermo per i leader dei gruppi estremisti responsabili delle violenze seguite all’assoluzione.
Intanto, come ricorda Nazir Bhatti, presidente del Pakistan Christian Congress, «Asia Bibi è stata tolta da una gabbia per essere messa in un’altra. La sua mancanza di libertà viola i diritti umani ». A sua volta, Wilson Chowdhry, direttore della British Pakistani Christian Association, impegnata da anni a coprire le necessità della famiglia di Asia Bibi e a sostenerne le spese legali, ha sottolineato come «nonostante la sua gioia per la libertà ritrovata, è difficile pensare che oggi possa sentirsi una vincitrice. Soprattutto perché resta sotto custodia, impossibilitata anche a lasciare la sua stanza per timore di venire assassinata».Se la sorte di Asia Bibi sollecita una grande attenzione, altri cristiani trascorreranno il loro Natale nelle carceri pachistane, perché accusati di blasfemia, in diversi casi già condannati a morte in vari gradi di giudizio: i coniugi Shagufta e Shafqat, i fratelli Qaiser e Amoon Ayub, Shezad Masih, Imran Masih, Nabeel Masih, Perzvaiz Masih, Patras Masih, Awais Qamar, Humayun Faisal, Ishfaq Masih, Asif Stephen, Nadeem Masih, Yaqoob Bashir e Sawan Masih.
Sarà un Natale sotto tutela anche per la comunità cattolica, perché il rischio di azioni terroristiche e di ritorsioni è sempre presente. A chiusura di un 2018 che – che nonostante sia stato segnato da problemi drammatici ha anche visto dare 50mila prime comunioni nell’anno dedicato all’Eucaristia – l’arcivescovo della diocesi di Islamabad- Rawalpini e presidente della Conferenza episcopale, monsignor Joseph Arshad, ha proclamato il 2019 «Anno della Pace» e ha chiesto al clero e ai fedeli di «accendere le candele della pace e della speranza nell’oscurità nel mezzo dell’oscurità e dell’odio che affliggono le nostrevite».