Di Alfredo Mantovano da il Giornale del 23/04/2019. Foto da articolo
Ricordate la Pasqua 2016, a Lahore, in Pakistan? Terminata la Messa, una comunità di cristiani – ma c’erano anche non pochi musulmani – si riunisce in un parco: l’attentatore toglie la vita a nove donne, 31 bambini, 38 uomini. L’anno dopo, alla Domenica delle Palme, in Egitto, 45 persone sono uccise in due chiese copte, a Tanta e ad Alessandria. Il 2 aprile 2015 era Giovedì santo; all’università di Garissa, in Kenya, un gruppo di islamici fa irruzione e chiede a ogni studente di recitare la professione di fede coranica e uccidono 148 giovani solo perché cristiani.
Sarà necessario attendere per conoscere matrice e obiettivi degli attentati che alle 8.45 locali di domenica hanno colpito chiese cattoliche, chiese protestanti ed hotel in tutto lo Sri Lanka. Non è così scontato individuare il profilo degli attentatori, in un’isola teatro negli ultimi anni di episodi di estremismo buddista singalese, rivolti soprattutto alla minoranza tamil, quindi induista, e in generale contro le altre minoranze musulmane e cristiane. Un rapporto dell’Alleanza cristiana evangelica dello Sri Lanka, risalente al maggio 2017, censiva – nel quadro di intimidazioni di gruppi radicali buddisti come Bodu Bala Sena o Sinha Le, al fine di imporre la visione di una «nazione singalese» – 89 incidenti contro cristiani nel 2016, 36 nei soli primi cinque mesi del 2017, dalla negazione del diritto di sepoltura dei propri defunti nei cimiteri pubblici alla demolizione e chiusura di talune chiese, fino alle aggressioni e minacce di morte verso singoli. Lo stesso Rapporto, fra l’inizio del 2015 e il maggio 2017, elencava 44 attacchi alla comunità islamica.
Un quadro così complesso fa essere prudenti sull’attribuzione delle stragi. Ma fa emergere qualche punto fermo. Il primo: la libertà religiosa è un bene prezioso, e dovrebbe stare a cuore a tutti, non essere invocata quando si è minoranza perseguitata, come i musulmani nel Myanmar, e calpestata quando si è in maggioranza, come i musulmani nei Paesi in cui vige la sharia. È l’auspicio di Papa Francesco di ieri: che «tutti condannino questi atti terroristici disumani e mai giustificabili». Tutti significa tutti, senza eccezioni di tempo, di luogo e di confessione religiosa.
Il secondo: avere scelto la Pasqua e le chiese cristiane per colpire vuole dire che i cristiani sono le vittime prescelte. Vittime ideali: fanno notizia, il mondo ne parla, ma poi nella realtà nessuno si preoccupa veramente di loro.
E qui veniamo al terzo punto: la strage di Lahore durò mediaticamente due giorni, poi scomparve dalle cronache. Così è stato per Garissa, per Tanta e Alessandria, per quel che accade nella Nigeria di Boko Haram, per le comunità cristiane della Cina e del Venezuela… Da noi a Messa andiamo sempre meno, anche a Pasqua, nascondiamo le croci, e le nostre corti di giustizia ostracizzano i simboli della nostra fede. Qualche anno fa avremmo detto che lo Sri Lanka di oggi, se ignorato dai media e dai governi occidentali, potrebbe diventare l’Europa di domani. Non è più così: è il presente, come attestano tragicamente Londra, Berlino, Parigi, Nizza, Stoccolma… È ineluttabile? Cambierà quando dedicheremo ai nuovi Colossei qualche minuto in più del tempo del servizio in un tg. E quando ci chiederemo che cosa possiamo fare in concreto – e tanto si può fare! – per chi oggi muore a causa di Cristo a Islamabad, a Mosul, ad Abuja, a Caracas. Cambierà per loro. Cambierà soprattutto per noi.