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Bardesane ed Efrem – La nascita degli Inni cristiani

20 Luglio 2024 - Autore: Marco Drufuca

Sant'Efrem il Siro

Il ciclo di articoli incentrati su nascita e sviluppo della musica sacra cristiana prosegue affrontando la nascita dell’innografia cristiana a opera di Bardesane di Edessa (154 -223) e di Sant’Efrem il Siro (303-373).

di Marco Drufuca

Nel IV secolo le celebrazioni liturgiche si erano manifestate come occasioni chiave per trasmettere positivamente al popolo il contenuto della fede, costituendo nel contempo un antidoto verso le sfide poste dalle posizioni eretiche che andavano affermandosi.

Così non stupisce come in tale contesto figure come S.Ilario di Poiters (310 circa- 367) o S.Ambrogio di Milano (339 circa- 397) introducano per la prima volta nella liturgia dei nuovi inni scritti “secondo la maniera orientale”, come riporta S.Agostino d’Ippona (354-430) nelle sue Confessioni.

Per quanto non sia affatto chiaro il legame che intercorse tra gli inni orientali e quelli occidentali, la precedenza cronologica dei primi sui secondi attestata da Agostino impone di soffermarsi sulle tradizioni orientali, e in particolare siriache, prima di affrontare l’innografia occidentale.

È dunque necessario tornare indietro nel tempo, verso la seconda metà del II secolo, per incontrare nella città di Edessa il convertito Bardesane (154-222), amico e consigliere del re Abgar IX (179-216). Poco si sa di lui, se non che si impegnò nella lotta contro l’eresia marcionita e che avrebbe scritto 150 salmi di sua invenzione, con chiaro riferimento al libro canonico dei Salmi.

Sembrerebbe tuttavia che il suo atteggiamento sincretico, volto a incorporare elementi dell’astrologia babilonese nella dottrina cristiana, lo avesse portatolontano dalla piena ortodossia; in ogni caso quello sarebbe stato il destino nel lungo periodo dei suoi seguaci, che nel seguente secolo e mezzo sposarono posizioni sempre più vicine allo gnosticismo e lontane dall’ortodossia cristiana, scatenando infine la reazione del diacono Efrem (306- 373), “il più grande poeta dell’età dei Padri, e, forse, l’unico teologo-poeta che si attesti ai livelli di Dante” (R. Murray).

Così, per usare un’espressione di E. Werner, “quando gli inni eretici furono diventati un serio pericolo per l’unità della Chiesa, allora sorse un genio poetico e religioso che scelse di combattere l’eretica bellezza con una bellezza ortodossa: Sant’Efrem il Siro, ‘l’arpa dello Spirito Santo’, come veniva chiamato”

Efrem, diacono di Nisibi costretto a trascorrere l’ultimo decennio della sua vita a Edessa a causa della cessione della sua città natale ai Persiani da parte dell’Impero Romano, fu determinato promotore della dottrina affermata al Concilio di Nicea (325), e di conseguenza strenuo oppositore delle varie eresie riconducibili all’arianesimo (inteso in senso lato), così come del manicheismo, del marcionismo e, appunto, della setta dei seguaci di Bardesane. Inoltre, ebbe anche a confrontarsi con il problema noto fin dai tempi del Nuovo Testamento dei “cristiani giudaizzanti”, ossia di quanti continuavano a ritenere necessaria l’osservanza letterale della legge e del culto ebraico da parte dei cristiani.

Volgendo al servizio dell’ortodossia l’intuizione di Bardesane circa l’efficacia catechetica dell’uso di testi metrici musicati, Efrem scrisse innumerevoli raccolte di Madrashè, componimenti le cui strofe, intonate da un solista, erano intervallate dall’acclamazione di un ritornello da parte di tutta l’assemblea, secondo lo stesso principio che abbiamo visto caratterizzare la forma responsoriale della salmodia. Ad aumentare l’efficacia di tali composizioni cooperarono l’utilizzo di melodie spesso già note in precedenza e in ogni caso sempre identiche per ogni strofa, così come l’uso di una metrica isosillabica, assente nelle opere di Bardesane e che rese molto più facilmente memorizzabili i singoli versi. Assente era invece l’uso delle rime, che si sarebbero invece gradualmente affermate nell’innografia latina.

Se si può vedere nei madrashé l’origine dell’innografia cristiana, vale anche la pena notare che Efrem si cimentò anche in altri generi, come le omelie poetiche (memrê) e gli inni dialogati (sugithê), i quali avrebbero avuto sviluppi altrettanto fecondi nei secoli, non ultimo il genere bizantino dei kontákia che due secoli più tardi avrebbero caratterizzato la mirabile opera di S.Romano il Melode (490 circa-556 circa), anche lui di origini siriache.

Si può dunque ascrivere a merito di Efrem sia l’affermazione della forma degli inni, intesi come componimenti metrici finalizzati al canto di composizione propria di singoli cristiani e dunque di provenienza esterna alle Scritture, sia, come riconosce C. Shepardson, la sua capacità di “sfruttare efficacemente le sue grandi doti poetiche e retoriche nel tentativo di distinguere chiaramente il bene dal male, ciò che era cristiano da ciò che non lo era, e spronare il suo uditorio a rimanere all’interno della comunità cristiano-nicena”. Tutto ciò in un frangente storico in cui capire quale fosse l’autentica Chiesa e l’autentica ortodossia era tutt’altro che scontato: come Efrem stesso lamenta nel suo ventiduesimo inno contro le eresie, i cristiani ortodossi di Edessa stentavano a manifestarsi come membri dell’unica, autentica Chiesa piuttosto che come una setta tra le altre, al punto da essere comunemente chiamati palutiani, dal nome del vescovo Palut, nominato a suo tempo da papa Zefirino ( ?-217), e quindi incorrendo così nella stessa trappola degli eretici che non chiamandosi cristiani ma assumendo denominazioni diverse in base al loro maestro mostravano di non essere affatto seguaci di Cristo, ma di uomini: “Ci hanno chiamati Palutiani, e noi lo evitammo e rifiutammo. Sia anatema a colui che si fa chiamare con il nome di Palut piuttosto che con quello di Cristo” (Inni contro le eresie, 22; 5)

Concludiamo proponendo la lettura di alcune strofe del 23° Inno sulla Natività, nella traduzione italiana di Kees den Biesen. Pur essendo privo della vena polemica che caratterizza altri componimenti di Efrem, si noterà come questo inno unisca il tentativo di insegnare positivamente e di rendere amabile la dottrina cristiana alle preoccupazioni anti-ariane, rivolte qui alle tesi subordinazioniste e razionalistiche di Eunomio.

Ritornello: Gloria a te in tutto, da tutti noi!

  • Chi oserebbe parlare, come essere mortale,

Di colui che dà vita a tutti,

Che lasciò l’altezza della sua maestà

E discese alla nostra piccolezza!

Tu che elevi tutti per il tuo nascimento,

Eleva il mio debole intelletto,

Cosicché posso narrare della tua nascita

– non per scrutare la tua maestà,

Ma per predicare la tua bontà!

Benedetto colui che è insieme nascosto e visibile nelle sue opere

  • È una grande meraviglia: il Figlio,

Che interamente abitava nel corpo,

Ivi dimorava interamente mentre esso non poteva racchiuderlo;

Abitava in esso senza venirne delimitato.

La sua volontà era interamente in esso,

La sua pienezza non era interamente in esso.

Chi è in grado di esprimerlo in parole:

Mentre abitava interamente nel corpo,

Abitava nello stesso tempo interamente nell’universo.

Benedetto l’Illimitato che fu delimitato!

  • La tua maestà ci è nascosta,

La tua bontà ci è visibile.

Tacerò, Signore, della tua maestà

E parlerò della tua bontà.

La tua bontà ti fece pressione

Perché ti inchinassi verso di noi empi.

La tua bontà fece di te un bambino,

La tua bontà fece di te un uomo.

La tua maestà si restrinse e di nuovo si estese.

Benedetta la Potenza che divenne piccola e di nuovo grande!

  • Essendo svanita la speranza degli uomini,

Venne di nuovo molta speranza grazie alla tua nascita.

Una buona speranza annunziarono

Gli spiriti celesti agli uomini.

Satana, che aveva distrutto la nostra speranza,

Di propria mano distrusse la sua speranza,

Vedendo che di nuovo venne molta speranza.

La tua nascita è divenuta per quelli senza speranza

Una fonte dalla quale scaturisce speranza in abbondanza.

Benedetta la speranza che ci portò il lieto annunzio!

  • Mi meravigliai del grembo di Maria,

Che era capace, Signore, di abbracciarti.

Tutta la creazione era troppo piccola

Per celare la tua maestà,

Terra e cieli troppo stretti

Per essere come delle ali

Che coprono la tua divinità.

Il grembo della terra ti è troppo piccolo,

Il grembo di Maria invece ti è abbastanza grande.

Abitava nel grembo e guariva con il lembo del suo mantello.

  • Con tutti questi cambiamenti,

Dei quali il Misericordioso si spogliò e si vestì,

Cercava di rivestire Adamo

Con la gloria della quale costui si era spogliato.

Si avvolse in fasce invece delle foglie di lui

E indossò degli indumenti invece delle pelli di lui.

Fu battezzato a causa del peccato di lui

E imbalsamato a causa della morte di lui;

Risorse e lo fece risorgere in gloria!

Benedetto colui che discese, si vestì e di nuovo salì!

  • Giacché la tua nascita può fare

Tanto per i figli di Adamo quanto per Adamo stesso –

O Potente che sei diventato un bambino,

Mi hai fatto rinascere per la tua nascita!

O puro che sei stato battezzato,

La tua abluzione ci lavi dalla nostra sporcizia!

O Vivente che sei stato imbalsamato,

Possiamo noi guadagnare la vita grazie alla tua morte!

Ti voglio ringraziare in tutto, per tutto.

Gloria a te in tutto, da tutti noi!

Sabato, 20 luglio 2024

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