di Michele Brambilla
Papa Francesco introduce l’udienza generale del 5 febbraio dicendo: «ci confrontiamo oggi con la prima delle otto Beatitudini del Vangelo di Matteo. Gesù inizia a proclamare la sua via per la felicità con un annuncio paradossale: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3)».
Per comprendere questo annuncio occorre considerare che «lo spirito, secondo la Bibbia, è il soffio della vita che Dio ha comunicato ad Adamo». Come spiega il Papa, «[…] è la nostra dimensione più intima, diciamo la dimensione spirituale, la più intima, quella che ci rende persone umane, il nucleo profondo del nostro essere. Allora i “poveri in spirito” sono coloro che sono e si sentono poveri, mendicanti, nell’intimo del loro essere. Gesù li proclama beati, perché ad essi appartiene il Regno dei cieli»: consapevoli dei propri limiti, hanno saputo accogliere le “sorprese” di Dio nella loro vita.
Francesco non può non osservare come il mondo postmoderno suggerisca l’atteggiamento diametralmente opposto. «Quante volte ci è stato detto il contrario! Bisogna essere qualcosa nella vita, essere qualcuno… Bisogna farsi un nome… È da questo che nasce la solitudine e l’infelicità: se io devo essere “qualcuno”, sono in competizione con gli altri e vivo nella preoccupazione ossessiva per il mio ego. Se non accetto di essere povero» nel senso evangelico del termine e inseguo senza posa il mito del “self-made-man” «prendo in odio tutto ciò che mi ricorda la mia fragilità». Nella quotidianità «le persone orgogliose non chiedono aiuto, non possono chiedere aiuto, non gli viene di chiedere aiuto perché devono dimostrarsi auto-sufficienti» a tutti i costi.
Il Papa recupera allora un concetto che gli è molto caro: «quando io do qualche consiglio agli sposi novelli, che mi dicono come portare avanti bene il loro matrimonio, io dico loro: “Ci sono tre parole magiche: permesso, grazie, scusa”». Delle tre, la più difficile è proprio chiedere perdono. «Perché è difficile chiedere perdono? Perché umilia la nostra immagine ipocrita». Il riferimento è proprio al significato etimologico di “ipocrisia”, che rimanda alle maschere che indossavano gli attori di teatro greco-romani. Esse disegnavano sul viso un’espressione fissa, che non permetteva di modulare l’espressione facciale a seconda della battuta assegnata dal copione. Da allora l’ipocrita è colui che cela il suo vero volto ed è prigioniero della sua stessa immagine.
Coloro che nel mondo detengono un qualche potere corrono sempre il rischio dell’ipocrisia, ma Gesù ha indicato ai suoi discepoli un modello differente. «In che cosa Cristo si è mostrato potente? Perché ha saputo fare quello che i re della terra non fanno: dare la vita per gli uomini. E questo è vero potere. Potere della fratellanza, potere della carità, potere dell’amore, potere dell’umiltà». La vera grandezza dell’uomo sta nella capacità di amare.
Giovedì, 6 febbraio 2020