Nonostante la secolarizzazione e il relativismo, ancora oggi si tramandano molte benedizioni e tradizioni “sacrali” legate al mondo del lavoro.
di Susanna Manzin
È dicembre e mi trovo in una località di provincia in Piemonte. Si avvicinano le festività natalizie e il parroco della vicina chiesetta viene invitato dai gestori di un supermercato a benedire i locali ed il personale che vi lavora. Il sacerdote si presenta in negozio con la stola e tutto l’occorrente e così si svolge una piccola cerimonia tra i sorrisi di commesse e clienti. Una notizia da poco, potremmo dire, di ordinaria vita cittadina. Eppure, è un gesto che trova spazio nella cronaca dei giornali locali, vista la sua originalità che ci proietta in un passato neanche tanto remoto ma sovente dimenticato, quando era appunto normale invocare la protezione del Signore sul proprio lavoro con benedizioni, processioni, riti solenni comunitari che erano parte integrante della cultura contadina, con l’impegno delle antiche Confraternite e delle bande musicali che accompagnavano la cerimonia suonando inni tradizionali.
Il parroco nel supermercato offre un piccolo segnale di speranza. Nonostante la laicizzazione della nostra società e l’atteggiamento prometeico dell’uomo moderno che pensa di costruire il futuro contando solo sulle proprie forze, non tutto è andato perduto e molti di questi riti resistono ancora.
Penso alla bella tradizione che tutti gli anni viene celebrata in Borgogna nell’ultimo fine settimana di gennaio, quando una solenne processione porta tra le vigne la statua di Saint-Vincent, patrono dei vignaioli, con i membri della Confraternita adornati con sontuosi abiti, alla presenza del Vescovo che benedice le vigne. Chi lavora la terra sa che ci vuole tutto l’impegno e la competenza possibili affinché si possano a tempo debito raccogliere frutti copiosi, sani e buoni ma sa anche che bisogna fare i conti con la “natura” e la sua imprevedibilità, con i suoi doni ma anche con i suoi imprevisti: la bontà del raccolto, in fin dei conti, dipende anche e soprattutto dalla Provvidenza divina. Il 17 gennaio è tradizione benedire gli animali, in occasione della festa di Sant’Antonio Abate, e all’ingresso delle stalle si collocano immagini del Santo monaco, protettore degli animali, affinché non faccia mancare la sua intercessione. In campagna si benedicono anche i trattori perché, come ebbe modo di spiegare il Cardinale Ratzinger nel corso di una omelia, «La benedizione dei trattori è una preghiera perché il nostro lavoro stia nelle mani di Dio e nella sua bontà; una preghiera affinché, tramite il nostro lavoro, la terra diventi sempre più giardino e patria; una preghiera affinché il nostro lavoro e il nostro uso delle macchine non diventi distruzione ma costruzione della terra, costruzione di un mondo umano e preparazione della città futura, del giardino futuro, del Regno di Dio. La benedizione dei trattori è inoltre un riconoscimento del fatto che anche oggi la vita dell’uomo non dipende ultimamente dalle macchine, ma dalla bontà di Dio». (Joseph Ratzinger, Per Amore, ed. Cantagalli).
Questa stessa consapevolezza di dipendenza da un Altro la si ritrova facilmente sulle nostre montagne, che sono costellate da crocifissi ed edicole religiose lungo i sentieri, gli alpeggi, in cima alle vette. La forte religiosità delle popolazioni montane e contadine si esprime anche con feste religiose, in genere all’inizio o alla fine della stagione agricola o il giorno dell’Assunta, con processioni verso i Santuari posti al limitare dei ghiacciai e lungo le pendici dei monti. Con lo stesso spirito, nelle località di mare si tengono processioni di barche e pescherecci che portano statue della Madonna o dei santi protettori, con il sacerdote che benedice il mare e invoca la protezione del Cielo su tutti i marinai ed i pescatori.
Viviamo l’epoca della secolarizzazione e del relativismo eppure, meno raramente di quanto si pensi, ancora oggi si tramandano queste tradizioni “sacrali” legate al mondo del lavoro, sovente molto suggestive e capaci di attirare turisti e visitatori, anche perché sono occasioni di sagre e gioioso divertimento. Non bisogna scandalizzarsi, anche nei tempi passati questi appuntamenti religiosi erano un momento di incontro con gli abitanti dei paesi vicini, si organizzavano mercati e scambi commerciali e la giornata si concludeva con un momento di festa, con ricche tavolate, canti e balli popolari. Oggi è facile che prenda il sopravvento la parte più laica e godereccia dell’evento, la gente affolla le bancarelle di golosità mentre sono sempre di meno le persone che pregano seguendo in processione la statua della Madonna. Ma il fatto che certe tradizioni vengano mantenute è cosa buona, è il “lucignolo che fumiga”. La bellezza di quei riti e di tutto quello che la cultura e la tradizione popolare ha costruito loro intorno, resistendo agli attacchi del materialismo e del laicismo, ci ricordano che abbiamo bisogno di alzare lo sguardo verso Chi ci protegge e aiuta, che non siamo monadi autosufficienti, che il lavoro non necessita solo della forza delle nostre mani e del nostro ingegno. Occorre qualcosa di più: una forza e un sostegno che non siamo in grado di darci da soli, una protezione che viene dall’alto. La bellezza di certe espressioni di pietà popolare, la festa gioiosa e senza trasgressioni che fa loro da cornice sono testimonianze di una cultura ricca e attraente, positiva e piena di speranza, di quella speranza della quale il nostro tempo ha “disperatamente” bisogno.
Sabato, 3 febbraio 2024