di Michele Brambilla
Le prime parole di Papa Francesco alla recita delll’Angelus del 20 gennaio sono di raccordo con quanto celebrato la domenica precedente. «Domenica scorsa, con la festa del Battesimo del Signore, abbiamo iniziato il cammino del tempo liturgico chiamato “ordinario”: il tempo in cui seguire Gesù nella sua vita pubblica, nella missione per la quale il Padre lo ha inviato nel mondo. Nel Vangelo di oggi (cfr Gv 2,1-11) troviamo il racconto del primo dei miracoli di Gesù. Il primo di questi segni prodigiosi si compie nel villaggio di Cana, in Galilea, durante la festa di un matrimonio».
Come sottolinea il Pontefice, «non è casuale che all’inizio della vita pubblica di Gesù si collochi una cerimonia nuziale, perché in Lui Dio ha sposato l’umanità: è questa la buona notizia, anche se quelli che l’hanno invitato non sanno ancora che alla loro tavola è seduto il Figlio di Dio e che il vero sposo è Lui», venuto a ricongiungere l’Eterno con l’umanità dispersa dal peccato. «Gesù si manifesta come lo sposo del popolo di Dio, annunciato dai profeti, e ci svela la profondità della relazione che ci unisce a Lui: è una nuova Alleanza di amore».
Il miracolo di Cana si svela compiutamente agli occhi dell’interprete solo se questi si colloca proprio nell’ottica dell’alleanza, categoria fondante della storia di Israele. «Nel contesto dell’Alleanza si comprende pienamente il senso del simbolo del vino, che è al centro di questo miracolo. Proprio quando la festa è al culmine, il vino è finito; la Madonna se ne accorge e dice a Gesù: “Non hanno vino” (Gv 2,3)». Non era un problema da poco: all’epoca le bevande della festa di nozze erano interamente a carico della famiglia dello sposo e la negligenza in questo delicatissimo compito poteva costare l’accusa di non tenere in grande considerazione né la sposa, né il clan dal quale la fanciulla proveniva.
Diventava, insomma, una questione “diplomatica” prima ancora che di etichetta. Tuttavia, nelle nozze di Cana si avverte, secondo il Papa, una sfumatura in più. «Le Scritture, specialmente i Profeti, indicavano il vino come elemento tipico del banchetto messianico (cfr Am 9,13-14; Gl 2,24; Is 25,6). L’acqua è necessaria per vivere, ma il vino esprime l’abbondanza del banchetto e la gioia della festa» dell’umanità riconciliata nello Sposo divino. Gesù sceglie come primo miracolo la trasformazione dell’acqua in vino a un banchetto nuziale e sceglierà di nuovo i medesimi elementi per riempire il calice del Sacramento che esprime compiutamente la nuova Alleanza, quello eucaristico. «Per ognuno di noi, attingere dall’anfora equivale ad affidarsi alla Parola e ai Sacramenti per sperimentare la grazia di Dio nella nostra vita. Allora anche noi, come il maestro di tavola che ha assaggiato l’acqua diventata vino, possiamo esclamare: “Tu hai tenuto da parte il vino buono finora” (Gv 2,10)», lo hai reso persino perpetuo.
Fare la Comunione significa, poi, obbedire a Gesù nella vita quotidiana. In questo, dice Francesco, ci è maestra Maria, l’altra grande protagonista del brano giovanneo. «Anche oggi la Madonna dice a noi tutti: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Queste parole sono una preziosa eredità che la nostra Madre ci ha lasciato. E in effetti a Cana i servitori ubbidiscono» perché comprendono che è un ordine dato da una Persona diversa dalle altre. «Servire il Signore significa ascoltare e mettere in pratica la sua parola. È», ripete ancora il Papa, «la raccomandazione semplice, essenziale della Madre di Gesù, è il programma di vita del cristiano».