Il testo del discorso che S.E. il Signor Cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, ha tenuto nella basilica di San Petronio il 4 ottobre 1989, trascritto – con un titolo redazionale – dal pieghevole diffuso dall’Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali.
Ritorna il bel giorno di San Petronio, il giorno così nostro, così bolognese, il giorno che ci raduna e ci invita – quanti l’amiamo – a riflettere sulla nostra città, sulla sua anima più vera, sul suo destino.
Un acuto pensatore russo ha scritto che “l’idea di un popolo non è ciò che esso pensa di se stesso nel tempo, ma ciò che Dio pensa di esso nell’eternità”. E ciò che Dio pensa del popolo bolognese ci è rivelato dalla nostra lunga storia cristiana e dal volto incancellabile che Bologna è andata progressivamente assumendo nei secoli.
Questa è una città che – a saperla leggere – da ogni angolo della sua bellezza visibile rimanda alla verità del mondo invisibile. Le sue antiche porte evocavano anche nel numero quelle della città celeste, descritteci nell’Apocalisse. Il complesso mirabile di Santo Stefano – ripresentando i luoghi della Redenzione e configurando così una suggestiva Ierusalem bononiensis – ci sollecita continuamente a pellegrinare con cuore all’evento centrale della storia che è la passione e la gloria del Figlio di Dio, e ad anticipare nella speranza la felicità della Gerusalemme eterna. Il colle della Guardia col suo santuario – verso il quale la città sembra col portico protendersi in uno slancio d’amore – è un appello a elevare lo sguardo alla Casa del Padre, dove la Vergine Maria ha raggiunto il Signore risorto: dove vive, ci aspetta, ci protegge, ci aiuta nella nostra difficile ascesa. E che cos’è questo stupendo edificio, eretto dai nostri padri in onore del Vescovo nostro Patrono? È prima di tutto immagine eloquente della santa Chiesa Cattolica, che riconosce in Cristo il suo centro, il suo fondamento, il suo altare, e nei fedeli ravvisa le pietre ben connesse secondo il progetto sapiente del Creatore. È la figura del Regno di Dio, regione di luce, di mistero, popolata dagli Angeli e dai Santi. Nella sua architettura è, per così dire, l’allegoria dell’intera creazione che, nata dall’inspiegabile amore del Padre, è chiamata tutta a ricongiungersi a Lui nell’adorazione, nella lode, nell’obbedienza affettuosa al suo disegno.
L’anno prossimo si compirà il sesto secolo dall’inizio della costruzione di questa basilica, e io esorto fin d’ora l’intera cittadinanza a celebrare con slancio gioioso e con giusta fierezza la ricorrenza pluricentenaria.
Ma su questa ricorrenza si può tentare già adesso qualche iniziale riflessione.
Come mai i bolognesi di seicento anni fa hanno saputo concepire e realizzare un’impresa di queste proporzioni e di questa eleganza? Donde hanno attinto la sovrumana capacità di comporre come per incanto la vastità degli spazi, la grazia e l’ardimento delle strutture, l’intensità e la genuinità del richiamo religioso?
Certo una Fabbrica così è anche frutto della floridezza economica della città di quel tempo; ma oggi Bologna è di gran lunga più ricca di allora. Senza dubbio qui si manifesta l’eccellenza tecnica delle maestranze medievali; ma la nostra tecnica è infinitamente più agguerrita e più dotata di mezzi. Come mai questi prodigi da un pezzo non avvengono più? E come mai oggi la bellezza pare irrimediabilmente latitante nei nostri lavori?
Il vescovo Petronio ha regalato a Bologna, che già aveva avuto i suoi martiri (come Procolo, Vitale e Agricola) e i suoi pastori santi (come Zama, Eusebio, Felice), il compimento dell’evangelizzazione e la piena acclimatazione del messaggio di Cristo nella mentalità e nell’indole della nostra gente. Perciò egli si è iscritto per sempre nella nostra coscienza storica come il vero padre di questa città: padre di una fede che, conservando la sua assoluta autenticità, si è fatta perfettamente bolognese, padre della nostra cultura tipica, padre della nostra inconfondibile umanità, padre della nuova e definitiva Bologna. Egli ci ha insegnato a credere: prima di ogni altra cosa a credere in Dio creatore di tutte le cose, visibili e invisibili.
Visibili e invisibili: questo è il punto. Petronio ci ha insegnato, cioè, a guardare le realtà del mondo come riverberi e cifre della realtà eterna: in questo modo anche i beni di quaggiù – lungi dal vanificarsi – hanno potuto essere avvalorati e meglio apprezzati. Egli ha immesso in noi la virtù di modellare la scena della città terrena sulla beata Gerusalemme, dolce visione di pace: e appunto per questo non solo la fede, ma anche la verità e la bellezza si sono sentite di casa a Bologna. In questa luce si spiega non solo il grande capolavoro di questo edificio, ma anche il capolavoro ancora più grande di questa bellissima città.
Il mondo è nativamente una foresta di segni: tutti ci parlano del Padre, della sua vita d’amore, del suo mistero di misericordia. L’uomo di oggi è largamente inappagato e infelice proprio perché non li sa leggere più. Con tutta la sua scienza è diventato analfabeta: per lui l’universo è un libro scritto con caratteri sconosciuti. Perciò è perennemente tentato di usare delle pagine affascinanti ma indecifrabili di questo libro per i suoi bassi servizi, distruggendole. Si è convinto che le cose siano solo cose, opache, impenetrabili, che non gli parlano più. E allora egli si sente triste e alienato, come può esserlo uno che non riceve più da nessuna parte messaggi di amicizia e di amore.
La fede donataci da Petronio è stata insidiata in questi ultimi due secoli – cioè a partire dai celebri avvenimenti commemorati quest’anno, gli avvenimenti che hanno regalato alla storia l’invenzione della ghigliottina e l’introduzione delle stragi di Stato – da “fedi” diverse, tanto infondate quanto sicure di sé.
È comparso, ad esempio, il razionalismo: una malattia della ragione, che ha tolto all’uomo l’intelligenza più alta, quella del senso ultimo e vero delle cose e della sua stessa esistenza.
È stato predicato un umanesimo ateo, cercato sulle strade del materialismo così detto scientifico – il materialismo storico e il materialismo dialettico – che è approdato alle conclusioni più disumane e più amare, dando vita a “formicai” (per usare la parola profetica dello stesso filosofo citato all’inizio) senza pietà, senza giustizia, senza libertà e perfino il più delle volte senza benessere materiale.
L’edonismo – la filosofia pratica oggi trionfante, che tutto valuta in funzione di un egoismo individualistico allergico a tutti i limiti e a tutte le finalizzazioni – sta portando inesorabilmente la nostra gente al rifiuto della vita e al suicidio sociale.
Tutte queste “fedi”, che hanno in comune la negazione della verità del mondo invisibile, senza dubbio non sono soltanto mali nostri, ma innegabilmente sono anche nostri.
Una Bologna che come comunità umana, non prende più sul serio il primo articolo del Credo e, tutta presa nel visibile, non presta più all’invisibile nessuna attenzione, è una Bologna che sta smarrendo l’eredità di Petronio, è una Bologna dimezzata, è una Bologna che non capisce più la sua vocazione, è una Bologna che per questo non si dimostra più in grado di ricercare efficacemente la verità e di esprimere la bellezza.
San Petronio però non ci abbandona: egli continua a essere il nostro vero pastore e saprà indicarci le strade della nostra rinascita. Egli ci conosce: sa che questo è un popolo spiritualmente più ricco dei suoi programmi, è un popolo in profondità più sapiente della pubblica opinione che esprime: è un popolo molto migliore delle sue scelte. San Petronio sarà sempre con noi e ci aiuterà e credere ancora, abbandonato ogni idolo, nel Dio creatore di tutte le cose visibili e invisibili.
Giacomo Cardinale Biffi
Arcivescovo di Bologna