Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 69 (1981)
Se Ronald Reagan saprà preservare la propria équipe dirigenziale dalla nefasta influenza di coloro che fanno capo al Council on Foreign Relations (CFR), il potente governo occulto che da anni dirige la politica americana in senso progressista, gli Stati Uniti potranno ritornare sulla via del buon senso, del rispetto delle proprie tradizioni, della reale ed efficace opposizione al totalitarismo socialcomunista. Una breve ma precisa diagnosi del male arrecato agli Stati Uniti dalla socializzazione della sua economia e dalla nozione di Stato parassita, abbondantemente realizzati sotto la presidenza di Carter. Un invito ai governi europei perché vogliano ricostruire una coesione economica, commerciale e politica con gli Stati Uniti, in modo da fronteggiare su tutti i campi la sovversione marxista.
Prima dell’insediamento di Ronald Reagan
Caratteri e conseguenze del nuovo potere americano
Il 4 novembre le cifre hanno parlato. Ma in modo diverso da quanto generalmente si dice. Anzitutto è poco importante che vi sia stato solamente poco più del 51% dei votanti sulla popolazione in età di voto. Ronald Reagan ha ottenuto molti più voti di Woodrow Wilson, che nel 1912 fu eletto dall’11,7% degli americani. Roosevelt stesso era saltato al 30,1%, ma questo succedeva nel 1932, e nel 1944 ricadeva al 29,9%. Nixon raggiunse il 33,7% nel 1972, ma Carter ha rappresentato solo il 27,2% della popolazione adulta. Reagan ha raggiunto approssimativamente il 38% degli elettori iscritti e il 25% di quelli in età di votare; ma questa ultima cifra significa poco. Una certa America rifiuta «il sistema» da anni: quella che non si iscrive per avere il diritto di deporre la propria scheda; quella che, anche se iscritta, non trova all’ultimo momento conveniente questa scelta.
Tutto questo riduceva tanto la vittoria di Carter nel 1976 quanto quella di Reagan oggi, quali che siano le nostre vive simpatie per la sua équipe e per lui. La scossa è venuta dal fatto che tutti i politicamente informati sapevano, oltre Atlantico, che David Rockefeller e i suoi amici avevano piazzato le loro pedine nello stesso tempo dietro l’incredibile John Anderson, «il terzo uomo», e in parte nelle tasche di qualcuno dei membri della équipe Reagan.
Da ciò, il fatto che non vi sia stato un partito schierato di fronte a un altro, ma in seno al Partito Democratico, democratici che di fatto sono «di destra» e in seno al Partito Repubblicano, repubblicani minoritari, che sono di fatto «di sinistra»: legame tra tutti i liberal, quel governo occulto costituito dal famoso Council on Foreign Relations (CFR) e la sua proiezione mondialista, la Commissione Trilaterale.
Bisogna anche sapere che i negri rappresentano il 13% della popolazione e che, in media il 51% di loro non va mai a votare. Succede lo stesso per il 65% dei latino-americani, che rappresentano dal 13 al 18% dei voti negli Stati del Sud, e che hanno l’abitudine di astenersi. Così nel 1976 …
Inoltre, quando un grande settimanale francese afferma che «l’83% dei negri nel 1980 è rimasto fedele a Carter», è una falsa apparenza, Perché nel 1980, come nel 1976, si tratta dell’83% del 48 o 49% dei negri votanti, e non del 100% dei negri stessi.
Una maggioranza dinamica dietro a Reagan
Fatte queste riserve, Ronald Reagan dispone di un sostegno che non hanno avuto né Kennedy nel 1960, né Carter nel 1976: uno scarto di più di 3 milioni di voti sul campo progressista, composto di neorooseveltiani, di kennedyani e di liberal, che praticamente, dal 1960, hanno sempre dominato l’amministrazione federale, se non il paese. Benché avessero avuto rispettivamente meno di 200 mila o meno di 700 mila voti di scarto, nel 1960 e nel 1976, beneficiavano inoltre di un congresso in cui erano maggioritari e soprattutto della presidenza delle commissioni che, negli Stati Uniti, dettano veramente legge.
È questo che ha costantemente disturbato Nixon. Egli era immobilizzato tra un congresso in maggioranza ostile e le pressioni occulte delle alte istanze del CFR, che gli avevano imposto certi loro uomini (di cui Henry Kissinger è fra i più conosciuti) fino negli uffici della Casa Bianca. Mi si permetta di richiamare, ancora una volta, un ricordo personale: questa considerazione, fatta davanti a testimoni, di un banchiere dal quale ero ricevuto, la sera delle elezioni del 1972: – Certo, Nixon passa ancora. Ma se non cambia certi comportamenti, se non segue la «nostra» linea, lo destituiremo!
– Come è possibile?
– Il dossier Watergate è in sonno. Potrebbe certamente risaltare fuori, nel maggio prossimo …
Ed effettivamente, nel maggio del 1973, «risaltò fuori» un caso a proposito del quale non è ancora stato detto tutto. L’eminenza grigia aveva parlato alla perfezione; e raccolto attorno a sé funzionari americani di grado molto elevato, di cui uno dirigente della politica vietnamita al dipartimento di Stato, che giudicavano che Richard Nixon non seguiva la «loro» linea. Quella del CFR. Queste sono cose di cui non si parla, negli Stati Uniti e neppure in Europa, ma Ronald Reagan le conosce quanto basta per avere preso fino a ora le sue precauzioni. Resta da sapere se saranno sufficienti perché certuni non sabotino il suo programma, fingendo di servirlo. Crediamo che possano esserle, per molteplici ragioni.
Anzitutto, maggioranza netta degli elettori. Poi, egli possiede ciò che Nixon non aveva: una maggioranza netta tanto al senato che fra i grandi elettori. Maggioranza più importante del numero di seggi, perché certi senatori democratici condividono assolutamente i punti di vista della maggioranza repubblicana. Certo, i repubblicani sono minoritari alla camera dei rappresentanti, ma questa e altre difficoltà sono compensate da un fatto essenziale: le commissioni-chiave del congresso, affari esteri, affari militari, giustizia, finanze, bilancio, passano nelle mani di repubblicani a proposito dei quali l’esame di come hanno votato oppure di che posizioni hanno assunto in questi ultimi dieci anni provano che non sono né liberal, né mondialisti, né partigiani dell’apaisement senza reciprocità di fronte all’URSS.
Contro il socialismo di Stato
Essi sono anche ostili alla sorda e progressiva socializzazione della economia americana, che si è tradotta in questi ultimi anni in cifre che bisogna conoscere. Esse parlano da sole: così il bilancio dello Stato era di 100 miliardi di dollari nel 1962; di 300, nel 1975; di 400, nel 1977; e Carter lo ha fatto passare a 500, poi a 616 miliardi nelle sue previsioni per il 1981.
Lo Stato parassita creava commissioni su commissioni e distribuiva sovvenzioni su sovvenzioni. Si contano così, alla fine del 1980, più di 800 di questa commissioni, uffici federali, consigli, comitati, ecc., che hanno reso dipendente dello Stato un americano su tre quest’anno, invece di uno su otto prima del 1975.
Mentre 8 milioni di americani vivono di agricoltura senza problemi personali (a parte le fluttuazioni del mercato), il ministero dell’Agricoltura ha un bilancio di 24 miliardi di dollari, e 117 mila dipendenti. A che scopo? Per esempio, per «organizzare» o inquadrare la distribuzione di colazioni nelle classi elementari con 4 miliardi di dollari di questo bilancio. Per mantenere 600 economisti e 400 redattori e giornalisti, che si suppone ricerchino se il pomodoro è più popolare del peperone; se i giovani preferiscono gli spaghetti ai maccheroni, ecc.
I liberal, furiosi per essere stati spodestati, chiedono dove Reagan prenderà il denaro, dal momento che vuole ridurre le imposte. Qui senza dubbio, ma anche in numerose sinecura e simili sperperi. Così, il bilancio di 5 miliardi di dollari all’anno, che pagava «consulenti» in viaggio attraverso gli Stati Uniti per spiegare le ragioni di spazzolarsi i denti dopo ogni pasto; come, grazie al jogging, il presidente Carter si manteneva in forma ecc. E si trovano altrove 301 milioni di dollari, perché in pensione certi militari possano imparare a giocare a golf (1).
Sotto Carter, l’inflazione è passata dal + 4,8% nel 1977 al 12% alla fine del 1979 e, calcolata in termini di consumo corrente, si avvicinava al 18% negli ultimi mesi. Gli oneri sociali accresciuti, come in Francia, schiacciavano le piccole e le medie imprese, e anche quelle poste appena al di sotto delle multinazionali. Al punto da raddoppiare ogni anno i fallimenti, da quattro anni a questa parte. Così 14 mila, al febbraio 1977, ma 29228 al febbraio 1978, ecc. Si prevedevano per l’anno 1981 circa 250 mila fallimenti.
Questo socialismo economico si appesantiva per la spesa petrolifera, le cui importazioni sono quadruplicate nel 1979/1980 in rapporto al 1969/1970, mentre il prezzo di questo petrolio è decuplicato.
Si griderà alla «caccia alle streghe»
Per governare in modo sano Reagan deve evitare ordini non seguiti da effetti, come i sabotaggi interni che ha conosciuto Nixon a suo tempo. Deve non solo sostituire 2500 altissimi funzionari dei diversi ministeri e rappresentanze governative, ma mettere da parte, inoltre, da 4 mila a 6 mila quadri, «consulenti», analisti, specialisti, che da vent’anni o più hanno costituito una sorta di Stato nello Stato. E tra loro una filza di «talpe» di sinistra, per non dire che servono «oggettivamente» e deliberatamente la sovversione. Esempi ne sono l’operazione fallita a Tabas e il recente caso Barnett; si potrebbero poi enumerare politicamente casi Barnett in ogni ministero. Una piccola società chiusa vive nella ossessione di questa pulizia necessaria, e già prepara, attraverso ramificazioni europee diverse, nella stampa, nella radiotelevisione, le campagne il cui punto comune sarà la denuncia di una nuova «caccia alle streghe».
Le ragioni di una équipe «transitoria»
Questa è l’altra ragione per cui Ronald Reagan ha montato una équipe multicolore, della quale si deve avere presente che è soltanto «transitoria», fino alla sera del 20 gennaio. E che se Henry Kissinger vi si trova, non vi ha assolutamente il peso e il ruolo che i mass media gli hanno subito attribuito. Per abitudine.
Kissinger dice e scrive per altro, da un anno, il contrario di quanto ha preconizzato e fatto dal 1965 al 1975. Si trova, in ogni modo, immerso in una commissione incaricata di politica estera che conta 62 esperti, dei quali 51 gli sono sempre stati ostili. E questa commissione è soltanto una delle quaranta commissioni che consigliano Reagan durante la transizione in corso, su ogni problema della loro specializzazione. Certo, sulle 335 persone che appartengono a questa équipe, abbiamo contato circa 22 membri del CFR, di cui 6 membri della Trilaterale. Ma ricordiamo che le commissioni del congresso sono passate in mano a personalità ostili alla demagogia e alle combinazioni apatridi dei liberal e dei trilateralisti. E che vicino a Reagan è ritornato Richard V. Allen, che Kissinger e Rockefeller non possono ancora una volta mettere da parte, come avevano intimato a Richard Nixon, dopo la sua elezione nel 1968.
Accanto ad Allen esperti come Walter Hahn, William van Cleave, diversi generali recentemente ancora in servizio alla NATO, ed economisti come Milton Friedman, sono la garanzia, fin che vi sono e vi restano, di un ritorno dell’America al suo buon senso, alle sue tradizioni, alle sue alleanze, alla fermezza di fronte al totalitarismo.
Questo comporta, in Europa, governi che sappiano cosa vogliono, siano alleati senza essere infeudati, e sul piano economico e commerciale prendano o riprendano abitudini diverse dal rimettersi alle commissioni mondialiste per risolvere i loro problemi. Una coesione morale e sociale è possibile, di fronte alla dittatura e alla sovversione marxista. Se non la manifesterà d’accordo con gli Stati Uniti, l’Europa correrà grandissimi rischi finanziari, sociali, politici e strategici, dal 1981 al 1984.
Pierre Faillant de Villemarest
Note:
(1) Cfr. JOHN REES, American Opinion, novembre 1980.