Intervista ad Alfredo Mantovano di Fausto Carioti da Libero del 16/06/2019. Foto redazionale
«È lo svelamento di ciò che tutti sapevano. Se leggo le conversazioni che da giorni appaiono sulle pagine dei quotidiani, non ci trovo nulla di diverso dal contenuto dei colloqui che da tempo immemorabile avvengono tra consiglieri del Csm, quando si tratta di affidare incarichi direttivi o di ripartire le funzioni all’interno della magistratura». Chiusa la parentesi in politica, che lo ha visto sottosegretario nei governi di Silvio Berlusconi e parlamentare per quattro legislature, Alfredo Mantovano sei anni fa è tornato alla magistratura. Non è iscritto ad alcuna corrente. «Meravigliarsi è da ipocriti», dice. «Adesso, però, per non perpetuare l’ipocrisia, occorre mettere mano ai rimedi. La politica è chiamata ad atti coerenti e mi auguro che il tutto non si riduca alla riforma elettorale del Csm, perché il quadro è ben più complesso».
È il momento giusto?
«E’ il momento migliore. Sino a non molto tempo fa, quando venivano evocate riforme incisive della giustizia e dell’ordinamento giudiziario, gli organismi rappresentativi della magistratura si chiudevano a riccio. Sembrava di avere di fronte un corpo unico che si ribellava».
Non è più così?
«No. Oggi, a prescindere dalla corrente di riferimento, è forte l’insofferenza per come vanno le cose. Sia riguardo alla spartizione di ogni posto, dai quelli nei tribunali e nelle procure agli incarichi nel consiglio direttivo della scuola di formazione di Scandicci, sia in ordine all’organizzazione delle funzioni: parlare di separazione delle carriere, tra i magistrati, non è più un tabù. Questa insoddisfazione può essere l’alleato ideale per fare buone riforme, ricevendo qualche suggerimento dall’interno».
Sempre lì torniamo, alla separazione delle carriere.
«Quando continuano a esserci casi di gip che copiano e incollano le frasi dei pubblici ministeri, senza effettuare quella valutazione autonoma che il codice prescrive, si ha la conferma che tra la funzione inquirente e quella giudicante ci deve essere una linea di confine molto più netta. Certo, la politica dovrebbe avere il coraggio di fare qualche passo importante, al di là delle logiche di schieramento. La bicamerale guidata da Massimo D’Alema, vent’anni fa, aveva in agenda cose di assoluto buon senso. Si potrebbero riprendere e aggiornare».
Cos’altro, oltre alla separazione delle carriere?
«L’estromissione del giudizio disciplinare dal Csm. Importantissimo. Se la responsabilità disciplinare viene esercitata da una sezione del Csm, composta anch’essa con criteri correntizi, quale garanzia c’è sull’oggettività della valutazione? Se io ho concorso ad eleggere un componente di quella sezione, mi aspetto che lui, se mi capita qualcosa sul piano disciplinare, pensi a me come parte della sua corrente».
Chi dovrebbe occuparsi del giudizio disciplinare?
«In passato sono state fatte tante proposte, anche da parte della sinistra. Si è immaginata una sezione formata da ex componenti della Corte costituzionale nominati dal Capo dello Stato, oppure da ex presidenti di sezione della Cassazione… L’importante è rompere il meccanismo, svincolare la composizione del giudice disciplinare dal meccanismo correntizio».
Occorre intervenire anche sui criteri di accesso alla magistratura?
«Assolutamente sì. Oggi si entra in magistratura essendo molto preparati e avendo una certa dose di fortuna nel concorso. Si trascura una qualità essenziale nel lavoro del magistrato: l’equilibrio».
Come si fa a valutare l’equilibrio di una persona?
«Esistono molti test che consentono di farlo, di capire come un individuo reagisce in condizioni di stress. Pensiamo a quelli cui si sottopongono i piloti d’aereo. Quale differenza c’è, per la vita di una persona, tra lo stare a bordo di un aereo guidato da uno squilibrato e avere un’ordinanza di custodia in carcere firmata da uno squilibrato? Le verifiche dovrebbero essere periodiche, sia sulla preparazione che sull’equilibrio della persona. Ma senza metodi oggettivi di valutazione, rischia di prevalere il criterio dell’appartenenza alla corrente».
E lei crede davvero che in questa legislatura si possa fare una cosa del genere? Con una maggioranza legata da un “contratto” nel quale non appare nulla di tutto ciò?
«Non so quanto durerà questa legislatura. Ma la cosa non può essere ridotta alle sole forze di governo. Troverei davvero strano che la stragrande maggioranza delle forze politiche non convergesse sulla necessità di una riforma, dinanzi alle scene viste in questi giorni».
Cinque stelle e guardasigilli Alfonso Bonafede inclusi?
«Se vogliono prendere atto della realtà, sì. Cosa deve succedere, più di questo, per convincerli che le regole attuali delegittimano la magistratura?».