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“C’è un mondo di cristiani perseguitati: «Incarcerati soltanto per la loro fede»”

29 Novembre 2020 - Autore: Alleanza Cattolica

Da Avvenire del 27/11/2020

Una media di 309 cristiani, ogni mese, vengono imprigionati per la loro fede in una cinquantina di Paesi del mondo. Dieci al giorno. Una situazione questa indicata, come pure i sequestri di persona ad essa associata, come una delle principali ragioni per cui «milioni di cristiani in tutto il mondo […] vivono costantemente sotto minaccia». Sono i dati forniti dalla Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre per segnalare come l’ingiusta detenzione dei cristiani sia «una delle forme di persecuzione prevalenti, durature e gravi». Una denuncia sostenuta anche dagli studi dell’organizzazione Open Doors, che ha indicato in 1.052 i cristiani rapiti lo scorso anno, in molti casi detenuti per periodi di varia durata oppure mai rilasciati. Una statistica difficile da compilare che include, «il rapimento e la conversione forzata di donne, spesso accompagnati da stupri e da altre violenze sessuali » che aprono a una sostanziale privazione della libertà personale.

È una situazione grave nella sua varietà, che Aiuto alla Chiesa che soffre evidenzia in «Libera i tuoi prigionieri», un rapporto sui cristiani ingiustamente detenuti per la loro fede e raccolti in alcune categorie: prigionieri di coscienza, incarcerati per le loro convinzioni religiose, detenzione arbitraria, processi segnati spesso dall’impossibilità di proporre una difesa efficace, condizioni carcerarie inadeguate, tortura, pressione mirata alla conversione che può prendere varie forme, inclusa la privazione della libertà.

Come sottolineato nel rapporto, l’ingiusta detenzione di cristiani da parte degli Stati o di soggetti non governativi viola i diritti umani in 143 Paesi, tra cui Siria, Corea del Nord, India, Sudan, Arabia Saudita, Cuba, con una evidenza particolare nel Rapporto di Acs per Cina, Eritrea, Nigeria e Pakistan. Esemplari anche i casi proposti per questi ultimi Paesi, a partire dal vescovo di Baoding, monsignor James Su Zhimin, incarcerato in Cina dal 1996 senza processo, condanna o comunicazione alla famiglia delle sue condizioni. Agli arresti domiciliari senza alcun giudizio dal 2007 in Eritrea è Abune Antonios, patriarca della Chiesa eritrea ortodossa di Tawahedo, mentre in Nigeria la oggi 17enne cristiana Leah Sharibu è l’unica delle 109 studentesse rapite dai jihadisti di Boko Haram nel febbraio 2018 a Dapchi a non essere stata rilasciata, perché ha rifiutato la conversione. Infine, in Pakistan, la 14enne Maira Shahbaz è costretta a nascondersi dopo essere sfuggita agli aguzzini che l’avevano rapita il 28 aprile, stuprata e costretta alla conversione e a un matrimonio fittizio. Il suo è un caso esemplare della difficoltà dei cristiani pachistani di vedersi garantite sicurezza e giustizia.

Perché queste denunce? «Avevamo già evidenziato altre volte (l’ultima in un rapporto dello scorso ottobre) la difficoltà per i cristiani di vedersi garantire la libertà di pratica religiosa, quindi questo nuovo studio vuole evidenziare esclusivamente una delle forme più aberranti di persecuzione, ovvero la privazione della libertà – è la risposta di Alessandro Monteduro, presidente di Acs-Italia –. Una condizione che viene naturalmente associata all’azione della criminalità ma che per i cristiani, laddove sono una esigua minoranza, diventa espressione di odio di fede. Tuttavia, la situazione ha varie sfaccettature, per questo abbiamo voluto proporre la sorte di Asia Bibi, sequestrata dallo Stato in Pakistan, con quella di Leah Sharibu in Nigeria, quella di Maira Shahbaz con quella del vescovo di Baoding ». «La nostra – sottolinea Alessandro Monteduro – vuole essere una denuncia che stimoli a azioni tempestive che non guardino solo al nostro ambito cristiano».

A questo riguardo, il rapporto segnala come non siano solo battezzati a subire l’ingiusta detenzione. «Più di un milione di persone, soprattutto musulmani, tra cui molti uighuri (etnia di fede islamica originaria della provincia dello Xinjiang), sarebbero infatti detenute in Cina. A questo proposito, si ricorda nel rapporto, documenti governativi cinesi trapelati all’estero riflettono «la misura in cui il Partito comunista cinese ha codificato la sua intrinseca paura della religiosità e della differenza etnica in un sofisticato insieme di criteri per l’internamento».

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